sabato 3 marzo 2018

[Iran] Sono una delle ragazze di #Enghelab

WhiteWednesday: una manifestante

Dopo 30 anni di vita, solo recentemente sono venuta a conoscenza di alcuni miei diritti di donna, anche se possono essere definiti come diritti di ogni essere vivente, ma qui, in Iran, i diritti umani sono solo per gli uomini e i diritti per le donne sono sotto un’altra categoria.
Comunque non è di questo che voglio parlare (almeno non questa volta, per vostra fortuna)!

Io, da piccola, pensavo che il mio diritto di donna, dopo i 18 anni, sarebbe stato il permesso di cambiare la ricetta del brodo della bisnonna e non metterci più i piselli. Anche se i piselli ci sono ancora e dopo aver letto il libro “Ingoia il Rospo” li ingoio senza dire niente. Spero però di trovare il coraggio necessario per poterli almeno mettere da parte nel piatto, uno di questi giorni.
Devo confessare che l’arrivo delle parabole e dei canali satellitari, è stato un aiuto enorme alla mia trasformazione esistenziale e a quella di tante altre ragazze/donne iraniane.
Perché prima vedevamo solo le nostre mamme, zie, nonne. Tutte uguali, tutte sposate, tutte obbedienti e spesso incinte.
Ma avendo avuto accesso ai canali turchi e, anni dopo, a quelli europei, riuscimmo a vedere un mondo diverso dal nostro. Vedemmo le donne “vere”. Quelle belle, bionde, truccate, sexy, libere e felici.

Raggiunti i 18 anni, capii che i miei diritti erano decisamente superiori a quelli che pensavo.
Fino a quell’età, non avevo mai comprato gli occhiali da sole perché a mio padre non piacevano. Diceva che solo le “poco di buono” mettevano gli occhiali da sole e che era un modo per far capire agli uomini “poco di buono” che erano disponibili. Poi, in TV, vidi che, nel mondo, c’erano persino delle donne che compravano gli occhiali e li mettevano sui capelli mentre guidavano: straordinario!
Quando mi accorsi che avevo il diritto di comprarmi gli occhiali e metterli, anche fuori casa, fiera di questa scoperta che mi avrebbe cambiato la vita, feci un minuto di standing ovation per me stessa.

Però devo dire che la svolta ci fu con i miei 21 anni, quelli che ricordo come pietra miliare della mia esistenza. Ero seduta con delle amiche sulle panchine fuori dall’università, tutte con i nostri occhiali da sole e un bicchiere di thè tra le mani, per scaldarci, quando venne una nostra amica molto trasgressiva e coraggiosa. Aveva una bibita colorata – di quelle senza zucchero che bevevano le donne fighe in TV – e disse con molto orgoglio: “Sapete che anche noi abbiamo il diritto di tornare a casa dopo il tramonto?”. Noi tutte pensammo che ci volesse solo prendere in giro: “Bugiarda! Mica siamo maschi!”. Lei però continuò seriamente: “Io torno a casa verso le 8, solo poche ore prima di mio fratello perché questo è un mio diritto”.
Pensai tra me e me: “Rivoluzionaria!! Ma di sicuro ci vuole far fare una brutta figura davanti ai nostri genitori con questo scherzetto…”. Ma lei mise i suoi occhiali sul velo e disse: “Questa è la verità, sfigate! Noi abbiamo quasi gli stessi diritti dei nostri fratelli”.
“Allora non sta scherzando! Chissà quant’è bello passeggiare da sola per le strade e guardare le vetrine” pensai con un velo di tristezza.
Quanto avrei voluto essere come lei.
La stessa sera decisi di comunicare alla mia famiglia questo mio nuovo diritto. Mentre cenavamo dissi: “Io ho il diritto di tornare a casa dopo il tramonto”.
Tutti si interruppero, mi guardarono con stupore, poi ripresero a mangiare, pensando che fosse solo una delle mie battute. Mio padre disse: “Passami l’acqua: ti ho detto mille volte che le donne non raccontano barzellette”. Gli risposi: “Padre, hai sentito cosa ho detto? È un mio diritto!”.
Lui sussurrò a mia madre: “Ha trovato il codice di quei canali lì?”. Mia madre arrossì e mi guardò con rabbia e mi fece capire con il movimento degli occhi e le sopracciglia, che dovevo stare zitta.
Rimasi zitta, per anni, ma rimasi convinta che c’era qualcosa di giusto in quello che avevo detto. E poi, di quali canali parlava mio padre?


A 26 anni, sentii una cosa che mi fece fissare il muro della mia stanza per 5 ore.
Non riuscivo a gestire tutti i pensieri e le sensazioni che bombardavano la mia esistenza: “Le donne hanno il diritto di viaggiare da sole come gli uomini”.
Pure adesso, a 30 anni, mentre lo scrivo, mentre lo penso, mi sento svenire da quanto mi suona folle e incredibilmente piacevole sapere di avere questo diritto.
Trovo così coraggiose le donne straniere che viaggiano da sole senza chiedere il permesso scritto di un loro parente maschio!
“Quanto vorrei essere come loro. Che ingiustizia essere nata qui!”.
Ma mi feci una promessa: “Prima di morire farò tutto quello che non mi hanno mai permesso di fare perché sono nata femmina e perché, per loro, sono una creatura inferiore e incapace di intendere e volere”.

Ho 30 anni. Poche settimane fa ci sono state proteste contro il regime totalitario in Iran, contro discriminazione, corruzione, povertà, censura. Stavamo cenando e al telegiornale parlavano delle ragazze arrestate per le strade della capitale, perché si erano tolte il velo dicendo che era un loro diritto scegliere il proprio abbigliamento. Mio padre arrabbiato commentava: “Svergognate! Vorrebbero pure il diritto di vivere da sole senza essersi sposate”.
Oh! Sarebbe bello! Perché non ci ho pensato prima? Dissi: “Non è che ho pure questo diritto e non me lo avete detto?”. Mio padre, nervoso, tossì e mia madre cambiò argomento: “Mangia i piselli e stai zitta”…
… No! Non è andata così! Avrebbe potuto, ma non è andata così!

Per tanti anni non ho saputo di avere dei diritti.
Ora ho 30 anni e so di avere dei diritti e lotto per averli.
Io sono una delle ragazze di #Enghelab .
Io tolgo il mio velo perché questo è un mio diritto.




 JASS.
(
articolo pubblicato su syndromemagazine.com)
 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.