domenica 29 ottobre 2017

La Valsusa brucia

** Ci sarà tempo per approfondire le diverse cause che hanno provocato gli immensi incendi in Valsusa. Ora c'è solo da sostenere le comunità abituate a difendere in modo straordinario quel territorio. Una cosa però sanno bene in Valle: “quelli che sono in alto” hanno bucato per decenni le montagne della Valsusa - con la prima centrale in caverna a Venaus da parte di Enel e dei francesi di Edf, che qui alcuni chiamano la Nonna delle Grandi opere, e più recentemente con i lavori per l'alta velocità - massacrando quei recipienti millenari di acqua che ora avrebbero difeso case e boschi. E ora istituzioni e grandi media si disperano mentre i canadair arrivano fino in Croazia… Perfino studi commissionati per la Torino-Lione mostrano l'evidente relazione tra il disseccamento delle montagne e il progredire dello scavi delle Grandi opere. Il fumo delle fiamme alte più di cinquanta metri che hanno devastano Mompantero puzza di ipocrisia e di profitto **


Borgone Susa, domenica 29 ottobre.
Ottava giornata di fuoco e fumo. Altri ettari di boschi resi estremamente infiammabili da oltre novanta giorni di siccità stanno bruciando inesorabilmente nonostante la lotta commovente che sfinisce pompieri, Aib (Antincendi boschivi) e volontari che noncontano le ore, i pasti saltati e i veleni respirati.
Loris Mazzetti - scrittore, giornalista e dirigente Rai che era venuto a trovarci giovedì per presentare il suo ultimo lavoro, La profezia del Don dedicato a un prete che non prometteva miracoli, (li faceva) - ha voluto trattenersi per altri due giorni per vedere di persona quel che stava succedendo nella Valle dei No Tav… Ecco cosa ha scritto sulla piazza virtuale facebook, la più frequentata al mondo:

Sono stato in Valsusa a presentare il libro La Profezia del Don. La valle è devastata da incendi dolosi, non si vede il sole per colpa del fumo, si respira a fatica, la solidarietà non basta, occorre la presenza dell'esercito, ci vogliono leggi adeguate contro chi provoca gli incendi.
L'informazione nazionale deve fare di più, non è un problema che riguarda solo il Piemonte è l'Italia che è stata colpita. In alcune zone le fiamme sono a ridosso delle case, un giovane di venti…sei anni mentre tentava di spegnere le fiamme è morto d'infarto, vigili del fuoco salvati per miracolo, animali morti. No, no la solidarietà non basta. Basta con i soldi sperperati dalla politica per inutili referendum, basta con treni che vanno su e giù per il Paese per campagne elettorali che durano mesi e mesi. I cittadini della Valsusa hanno bisogno di risposte immediate.
Portiamo le telecamere nella valle”.

Di telecamere siamo invasi ma per inquadrare noi, la nostra ribellione contro chi - prima che qualcuno desse fuoco ai boschi - ha bucato per decenni le nostre montagne, i recipienti millenari di acqua potabile e di quella (comunque di buona qualità) di fossi e torrenti che oggi sarebbe stata preziosa per difendere le case, oltre le piante.
Milioni di metri cubi persi per sempre con la realizzazione - oltre mezzo secolo fa - della prima centrale in caverna a Venaus da parte dell'Enel e dei francesi di Edf che non appena appropriatisi del Moncenisio nel 1947 - come ritorsione per la guerra persa dall'Italia del duce - vi hanno costruito una della più imponenti dighe d'alta quota d'Europa, decapitando - allo scopo - una montagna trasformata in cava di inerti (la Carrier du Paradis che forse dovrebbe essere rinominata “dell'inferno”).

Fino alla grande centrale in caverna - questa Iren, ma sempre a Venaus - che dopo il versante Cenischia ha mezzo disseccato il versante Dora prelevando l'acqua fin da Pont-Ventoux per far girare le turbine dell'ingegner Garbati (anno 2006) … Versante che era già stato impoverito negli anni Settanta/Ottanta con lo scavo delle gallerie di raddoppio delle ferrovia esistente (altro che storica) e successivamente (anni Ottanta/Novanta) dallo scavo delle innumerevoli gallerie dell'Autostrada A32 del Frejus! Per finire, per adesso, con lo scavo del cunicolo della Maddalena di Chiomonte che appena terminato ci si è accorti di dover prolungare di mezzo chilometro e che - nonostante i soli 7 chilometri di lunghezza e il piccolo diametro - di acqua ne ha dispersa e avvelenata in modo sproporzionato.

Mentre non si ricorda mai abbastanza che un experise internazionale commissionato dagli stessi proponenti la galleria Tav Torino-Lione aveva quantificato nel fabbisogno di una città di un milione di abitanti l'acqua potabile che sarebbe sparita con lo scavo di 57 chilometri di doppia galleria… Paolo Ferrero - naturalista e guardaparco - ha realizzato qualche anno fa un censimento delle sorgenti disseccate che mostra (attraverso delle slide comprensibili persino da un politico di professione) la evidente interrelazione tra il loro disseccamento e il progredire dello scavi di “Grandiopere”. Mentre scrivo sento l'ormai familiare rumore dei Canadair che fanno la spola ancora tra il lago di Viverone (credo) e le Pendici del Rocciamelone dove sta notte sono state evacuate altre borgate di Monpantero e alcune cascine (anche nel territorio della stessa Susa!).

Ora quel che sto facendo, scrivere, so che è una attività che - per inutilità conclamata - è seconda solo alle visite pastorali dei politici di palazzo, come quella di di Sergio Chiamaparino che di ognuna di queste Grandiopere è stato ed è un fan scatenato. La drammatica notte di Mompantero e Susa appena trascorsa speriamo lo inducano almeno a restarsene nel suo polveroso e fuligginoso ufficio di Piazzacastello e ad uscirne solo per andare a ricevere a Portanuova il suo amico Matteo Renzi di ritorno dal comizio-omelia nella chiesa di Capaccio (Paestum)…

domenica 1 ottobre 2017

Thomas Sankara, il fratello giusto che voleva cambiare l’Africa

Ci sono rivoluzionari che sono diventati, loro malgrado, icone globali. Volti da stampare sulle magliette. Ce ne sono altri invece che sulle t-shirt non ci finiranno mai, forse perché il loro insegnamento può essere ancora pericoloso. A questi ultimi appartiene il Che Guevara d’Africa oppure, semplicemente come ancora oggi lo chiamano i suoi conterranei, Le frère juste, il fratello giusto

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"... e quel giorno uccisero la felicità "
[Silvestro Montanaro,
RAI3]

Thomas Sankara nacque in un piccolo villaggio di nome Yako, in quello che allora si chiamava Alto Volta, il 21 dicembre 1949, terzo di dieci figli. Suo padre era un militare e pure lui ne seguì le orme, fino a diventarne in pochi anni ufficiale di grande popolarità grazie al suo carisma innato. Divenne primo ministro nell’agosto del 1983, in seguito a quello che sui libri viene definito un colpo di stato militare, ma che ebbe successo grazie all’appoggio della popolazione, stanca delle miserie e delle sopraffazioni subite dal governo fantoccio imposto fino ad allora all’ex colonia dalla Francia.
Una mano oscura gli concesse solo quattro anni. Un tempo brevissimo per la politica, sufficiente a Sankara per rivoluzionare il suo Paese. A cominciare dal nome: Alto Volta era un nome deciso a tavolino dalle potenze coloniali, venne cambiato in Burkina Faso, letteralmente La patria degli uomini integri. Il giovane militare ribelle si trova a governare un paese in ginocchio. Una terra di sette milioni di uomini il 98% dei quali non sa leggere né scrivere, dove 1 bambino su 5 muore prima di compiere cinque anni, con un solo medico ogni 50mila abitanti e un reddito pro capite che non arriva a 100 dollari l’anno. Il 4 ottobre 1984 si presenta per la prima volta all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, di fronte a lui i leader dell’ex oppressore francese, dei paesi occidentali che con le loro politiche e le loro multinazionali affamano l’Africa e molti altri Paesi del sud del mondo che nulla fanno per i loro cittadini, intenti solo a dividersi le ricchezze. Mentre lo guardano stupiti annuncia il suo programma e li accusa tutti quanti allo stesso tempo: «Abbiamo dovuto indirizzare la rivolta delle masse urbane prive di lavoro, frustrate e stanche di vedere le limousine guidate da élite governative estraniate che offrivano loro solo false soluzioni concepite da cervelli altrui. Abbiamo dovuto dare un’anima ideologica alle giuste lotte delle masse popolari che si mobilitavano contro il mostro dell’imperialismo. Abbiamo scelto di rischiare nuove vie per giungere alla felicità, respingendo duramente ogni forma di diktat esterno, al fine di creare le condizioni per una dignità pari al nostro valore. Finora abbiamo porto l’altra guancia, gli schiaffi sono raddoppiati. Ebbene, i nostri occhi si sono aperti alla lotta di classe, non riceveremo più schiaffi».
Felicità, giustizia sociale, sviluppo economico, benessere e salvaguardia ambientale. Obiettivi che sembrano impossibili da garantire a tutti i cittadini anche nelle nazioni più ricche, da perseguire in una delle nazioni più povere al mondo. «La causa della nostra malattia è politica, quindi politica deve essere la soluzione», sostiene il presidente rivoluzionario. Per prima cosa vuole avvicinare la classe politica alla popolazione: Sankara si percepisce un figlio del popolo e tutti i suoi ministri devono esserlo; vende le costose auto del vecchio governo e le sostituisce con delle Renault 5, livella gli stipendi suoi e dei collaboratori al livello di un operaio specializzato, mentre continua ad abitare nella vecchia casa di famiglia insieme alla madre e ai fratelli. Due chitarre sono i suoi unici averi.
Le sue ricette politiche sono semplici quanto coraggiose, come il suo modo di parlare di fronte ai grandi della terra: terre e miniere sono gestite da compagnie straniere e non portano ricchezza alla nazione? La risposta è nazionalizzarle e metterle al servizio della ricchezza popolare. La mancanza di istruzione rende i cittadini incapaci di perseguire i propri diritti? La scuola diventa obbligatoria, gratuita per tutti e diffusa anche nelle zone più remote del paese. I cittadini muoiono per diarrea, febbre e altre patologie facilmente curabili? Si costruiscono presidi sanitari in ogni villaggio per garantire le cure di base. Ad ogni domanda di base si cercano risposte mirate. Per far fronte alla carenza idrica e all’erosione del territorio causata dalla desertificazione si piantano migliaia di alberi e si costruiscono nuove reti per ottimizzare l’approvvigionamento idrico, per distribuire terre ai contadini si attua la riforma agraria, per far progredire il commercio e la mobilità si inaugura il primo sistema di trasporti pubblici urbani dell’Africa francofona e per migliorare la condizione delle donne, si sancisce la parità tra i sessi e si vieta la pratica dell’infibulazione. In soli quattro anni di governo Sankara migliora l’economia della nazione e garantisce a ogni cittadino istruzione, cure di base, due pasti al giorno e cinque litri di acqua potabile. Un successo straordinario e senza uguali nell’Africa nera. Ottenuto con la ricetta base del socialismo, arricchito da misure concrete per far entrare la popolazione nel processo decisionale della politica tramite esperimenti concreti di democrazia diretta, come l’istituzione nelle province dei Consigli dei contadini, ai quali vengono concessi poteri decisionale in materia di organizzazione del lavoro sui campi, o dei tribunali popolari, dove i lavoratori si trasformano in giudici autorizzati a processare i rappresentanti politici accusati di corruzione.

Per tutti i burkinabè quel giovane militare comunista diventa il fratello giusto, ma fuori dai confini della nazione il numero dei suoi potenti nemici cresce di pari passo con l’aumentare della sua fama tra i poveri di tutta l’Africa. Le élite politiche dei paesi vicini temono che l’esempio del povero Burkina Faso possa sobillare le masse, dimostrando a tutto il continente che la povertà non è un destino immutabile, mentre le grandi potenze – in primis l’ex padrone francese e gli Usa – non possono tollerare che un paese povero si permetta di alzare la testa facendo perdere profitti alle proprie aziende con le nazionalizzazioni, denunciando i crimini del neocolonialismo e stringendo accordi con i nemici giurati dell’Occidente ai tempi della guerra fredda: l’Urss e la Cuba di Fidel Castro. Secondo i potenti del mondo l’Africa deve continuare ad essere un paese povero e soggiogato, da spremere in cambio di materie prime a basso costo.

 
 OUA (Organizzazione per l’Unità Africana),
Addis Abeba, Luglio 1987

Il 29 luglio 1987 Sankara si trova ad Addis Abeba, all’incontro tra i leader dei paesi africani. Decide di denunciare quello che secondo lui è il più brutale dei meccanismi attraverso cui i paesi occidentali tengono sotto scacco l’Africa: il debito. Milioni di dollari da rimborsare ogni anno ai paesi ricchi, i quali concedono dilazioni e sconti solo in cambio di misure politiche gradite, come le privatizzazioni. Prende il microfono e dice: «Quelli che ci hanno prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano le nostre economie. Noi non c’entriamo niente con questo debito. Dicono che pagarlo è un obbligo morale, ma invece è non pagandolo che facciamo giustizia. Quelli che ci hanno condotto all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema, ora che perdono esigono il rimborso. No signori, non funziona così. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco». Poi invita tutti i leader africani ad unirsi a lui e rifiutare di pagare il debito, utilizzando i soldi pubblici per avviare progetti in favore della popolazione, perché se non ci sarà unità tra i Paesi africani e solo il Burkina Faso rifiuterà di pagare il debito «non credo che io sarò qui alla prossima conferenza». La platea ride, la prende come una battuta di spirito, ma è l’ammissione profetica di un rivoluzionario che ha capito perfettamente di aver toccato un tasto che lo addita a nemico numero uno delle grandi potenze mondiali.
Passano tre mesi appena e il 15 ottobre Thomas Sankara viene ucciso. Il probabile esecutore materiale è il suo stesso vice, Blaise Compaoré, che tutto l’Occidente si affretterà a riconoscere come nuovo presidente e a sostenere al potere per i successivi 27 anni. Le riforme di Sankara vengono revocate, il Burkina Faso torna ad essere uno dei paesi più poveri al mondo, mentre i suoi politici ricominciano a viaggiare in limousine e le multinazionali straniere tornano a realizzare profitti con le miniere e il cotone. Tutto, insomma, torna al suo posto. Dove si trova ancora oggi.
Si potrebbe pensare che ricordare un personaggio come Sankara a 30 anni dalla morte possa essere solo un’opera storica. Tutt’altro. Proprio in questi tempi di “emergenza rifugiati” significa fare un passo nella comprensione delle ragioni endemiche della povertà dell’Africa e, quindi, dell’emigrazione di massa.

Fiorella Mannoia
"
Thomas SANKARA. Il Presidente del futuro"


Ogni possibile Sankara nel terzo mondo è stato sistematicamente eliminato, sempre con la partecipazione diretta o indiretta delle ex potenze coloniali. Ogni riforma che voleva redistribuire le ricchezze tra la popolazione sottraendole alle grandi aziende straniere è stata soffocata con l’arma del debito. «Aiutiamoli a casa loro», si sente dire spesso oggi: il primo passo per farlo sarebbe quello di benedire la nascita di ogni possibile Thomas Sankara, anziché approvarne (e probabilmente pianificarne) l’uccisione. La storia insegna che fino ad ora i nostri governi si sono impegnati per impedire all’Africa di aiutarsi da sola, costringendo un intero continente a sottostare alle necessità geopolitiche occidentali in cambio di un tozzo di pane sotto forma di aiuti umanitari. Ciò che avviene oggi ne è la conseguenza.