mercoledì 28 giugno 2017

Il sistema militare USA è il maggior inquinatore del mondo



Centinaia di basi gravemente contaminate
Whitney Webb**

Producono una quantità di rifiuti tossici superiore a quella delle cinque maggiori industrie chimiche del Paese. Il Dipartimento per la difesa ha lasciato la sua eredità tossica dappertutto: uranio impoverito, petrolio, carburante aereo, pesticidi, defolianti come l'Agente Orange, piombo e altre sostanze inquinanti.

La settimana scorsa i principali mezzi di comunicazione hanno dato ben poco risalto alla notizia che la base navale USA a Virginia Beach ha riversato qualcosa come 94.000 galloni di carburante per aerei in un corso d'acqua nelle vicinanze, a meno di un miglio dall'Oceano Atlantico. Certamente non si è trattato di un evento catastrofico come in altri casi di perdite da oleodotti, ma mette in luce un fatto ancora poco conosciuto - che il Dipartimento della Difesa americano è il più grande inquinatore non solo degli USA, ma del mondo intero.

Nel 2014 l'ex capo del programma ambientale del Pentagono dichiarò alla rivista Newsweek che il suo ufficio doveva occuparsi di 39.000 siti contaminati -per una estensione complessiva di 19 milioni di acri- nel solo territorio degli Stati Uniti.

Le basi militari USA, sia in patria che all'estero, sono tra i luoghi più inquinati del mondo: i perclorati e altri componenti dei combustibili di aerei e missili hanno contaminato le falde superficiali di acqua potabile, le falde profonde e il suolo.

Sono centinaia le basi militari presenti nella lista compilata dall'EPA (Environmental Protection Agency) dei ‘Superfund sites', siti per i quali è prevista l'erogazione di fondi governativi speciali per la bonifica. Dei quasi 1.200 siti elencati, quasi 900 sono luoghi un tempo utilizzati a scopi militari e ora abbandonati, oppure basi ancora in attività.

John D. Dingell, un politico del Michigan ora in pensione, veterano di guerra, sostiene che quasi tutte le basi militari del Paese sono gravemente inquinate. Una di queste è Camp Lejeune a Jacksonville, nel Nord Carolina. L'inquinamento di questa base si estese, nel periodo dal 1953 al 1987, a causa dell'immissione nella falda acquifera di una significativa quantità di sostanze carcerogene, fino ad avere conseguenze letali.

Tuttavia solo nel febbraio scorso il governo ha autorizzato coloro che erano stati espostialle sostanze inquinanti a Lejeune di presentare richieste ufficiali diindennizzo. Anche in molte basi militari fuori dagli USA le fonti di acqua potabile sono state contaminate: la base più famosa è la Kadena Air ForceBase a Okinawa (in Giappone).

In più gli Stati Uniti, che da soli hanno eseguito più test nucleari di tutte le altre Nazioni messe insieme, sono anche responsabili dell'elevato tasso di radioattività che persiste in molte isole dell'Oceano Pacifico.
Gli abitanti delle Isole Marshall, sulle quali gli USA sganciarono più di 60 bombe nucleari tra il 1946 e il 1958, e della vicina Guam, ancor oggi presentano percentuali molto elevate di casi di tumore.

Anche le regioni del Sud-Ovest furono scelte per sperimentare numerosi ordigni nucleari, e le esplosioni contaminarono enormi estensioni di terra. Inoltre - sempre in queste zone - le comunità degli IndianiNavajo che vivono nelle riserve sono soggetti ad alte dosi di radioattività provenienti da miniere di uranio, ormai abbandonate, che venivano utilizzate dai contractors militari.

Uno dei più orribili lasciti di inquinamento ambientale dei militari USA si trova in Iraq, dove le azioni di guerra hanno trasformato in deserto il 90% del territorio, distruggendo le produzioni agricole e obbligando il Paese a importare più dell'80% del cibo dall'estero.

Oltre all'uso di uranio impoverito in Iraq durante la Guerra del Golfo, i comandi militari USA - dall'invasione del 2003 in poi - hanno utilizzato la tecnica dell'incenerimentoall'aperto per smaltire i rifiuti, provocando un aumento significativo dei casi di cancro sia nei militari americani che nei civili iracheni.

Secondo le stime del Dottor Jawal Al-Ali, un medico di Bassora che fa anche parte del Royal College dei medici di Londra, i casi di tumore sono diventati 12 volte più frequenti rispetto al 1991 (AP/Enric Marti).

I documenti che testimoniano i danni ambientali provocati in passato dai militari USA indicano un approccio non sostenibile: eppure questo non li ha dissuasi dal progettare apertamente future contaminazioni ambientali con la scelta di smaltire i rifiuti in modo inadeguato. Nello scorso novembre la Marina USA ha annunciato il suo piano, per l'anno corrente,di riversare 20.000 tonnellate di “stressors” ambientali, ivi inclusi metalli pesanti ed esplosivi, nelle acque lungo le coste nord-occidentali dell'Oceano Pacifico.

Questo progetto, concepito nella sede nord-occidentale del Centro di addestramento e sperimentazione della Marina, tralascia di chiarire che questi “stressors” vengono descritti dall'EPA (l'Agenzia perl'Ambiente) come sostanze pericolose, molte tossiche a livello sia acuto che cronico.
Queste 20.000 tonnellate di ‘stressors' non includono le ulteriori tonnellate (tra 5 e 14 previste) di metalli potenzialmente tossici che la Marina prevede di smaltire ogni anno nelle acque interne lungo il Puget Sound nello Stato di Washington.

In risposta alle preoccupazioni espresse rispetto a questi progetti, una portavoce della Marina ha affermato che i metalli pesanti, e persino l'uranio impoverito, non sono più pericolosi di qualunque altro metallo: un'affermazione che chiaramente rifiuta di accettare dati scientifici. A quanto pare, dunque, le operazioni militari USA svolte per “la sicurezza degli Americani” avranno un costo superiore a quello che la maggior parte della gente immagina - un costo che sarà pagato dalle future generazioni, sia negli Stati Uniti che all'estero.

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** Whitney Webb scrive su mintpress e su diverse riviste on-line (ZeroHedge, the Anti-Media, 21st Century Wire, True Activist ecc.). Attualmente vive in Cile.
 Whitney Webb - MintPress News. Published on 22 May 2017 at
 U.S. Military World's Largest Polluter - Hundreds of Bases Gravely Contaminated
[Traduzione di Elena Camino per CSSR]



sabato 17 giugno 2017

Nicaragua, il NICA ACT


Gli Stati Uniti ci riprovano. In questa assoluta noncuranza della legittimità delle scelte nazionali, ancora una volta gli Stati Uniti si presentano come salvatori dei popoli afflitti da pseudo dittature, da governi che negherebbero le libertà individuali e collettive, da governanti che si arricchirebbero alle spalle dei cittadini abbandonati alla povertà.
Questa volta è toccato al Nicaragua. Ai primi di Aprile, presso il Congresso degli Stati Uniti, la repubblicana Ileana Ros-Lehtinen ed il democratico Albio Sires hanno proposto un progetto di legge definito NICA Act, ovvero Nicaraguan Investment Conditionality Act, col quale si pretende che gli Stati Uniti votino contro i prestiti internazionali destinati al Governo del Nicaragua. Il progetto, infatti, specifica che gli Stati Uniti dovrebbero approvare solo quei prestiti internazionali destinati a “ragioni umanitarie o per promuovere la democrazia” nel Paese. Il NICA Act verrà sospeso, come afferma il progetto stesso, solo nel momento in cui il governo del presidente Ortega decida di promuovere elezioni “libere, giuste e trasparenti”.
I due congressisti ci tengono a precisare che quello instaurato da Ortega sia un regime, nel quale le libertà individuali vengono negate da anni, in cui la popolazione è sempre più povera mentre il Governo si arricchisce e dove non viene dato luogo a libere elezioni.
Per comprendere la vera natura politicamente offensiva del NICA Act è necessario ricordare che Daniel Ortega è stato rieletto presidente lo scorso 6 novembre, per la terza volta consecutiva, con il 72,5% delle preferenze. Il Frente Sandinista rappresenta in Nicaragua il partito più forte, che persegue una politica i cui cardini principali sono “Fé, Familia y Comunidad”, valori dai quali discendono tutti gli altri.
Persino la segreteria generale dell’OEA (Organización de los Estados Americanos) ha espresso, attraverso un comunicato ufficiale (ed anche un messaggio su Twitter del suo segretario, Luis Almagro) una indubbia perplessità circa il contenuto di questa proposta di legge che, si legge appunto nel comunicato, rischia di incrinare i rapporti di collaborazione hanno impegnato alacremente il Paese centroamericano. Ed è decisamente significativo registrare che persino una organizzazione decisamente pro-USA quale l’OEA è si renda conto dell’azione esageratamente ingerente da parte dei due congressisti. Ingerenza che, come abbiamo visto appena una settimana fa, è stata esercitata dalla medesima organizzazione contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela senza alcuna insicurezza.
Il fatto è ci troviamo dinanzi ad uno Stato, quello del Nicaragua, che ha avuto e continua ad avere con gli Stati Uniti un ottimo rapporto economico, essendo il principale Paese col quale intrattiene i rapporti economici. Una misura di questo tipo, qualora approvata, andrebbe a rovinare tali rapporti generando, inoltre, un clima che non contribuisce affatto alla costruzione della stabilità, del dialogo e del progresso di cui i cittadini nicaraguensi necessitano e per i quali tanto si sta spendendo il Governo di Ortega. Questo, d’altronde, non è il primo tentativo: già nel 2015 il Congresso degli Stati Uniti d’America aveva approvato una legge non troppo dissimile dal NICA Act, la Consolidated Appropriations Act 2016, nella quale si autorizzavano prestiti multilaterali a Honduras, El Salvador e Guatemala con limiti simili a quelli richiesti nell’odierno progetto di legge destinato al Nicaragua.
In un Paese in cui la spesa interna è stata indirizzata, prima della altre cose, al rafforzamento e allo sviluppo di sanità e istruzione di qualità ma che, per troppi anni, è stato vittima di politiche neoliberiste, togliere il diritto di ricevere prestiti internazionali equivale a strozzare la vita e le possibilità del popolo del Nicaragua.
Tutto questo, ovviamente, nel tentativo di porre fine all’esperienza di Ortega, all’indirizzo socialista del suo governo, e di attaccare l’ennesimo Paese non allineato dell’America Latina.
Dietro la richiesta di sovrintendere i prestiti per la pace, la sicurezza, la lotta alla criminalità vi è quella “esportazione della democrazia” e lo sfregio delle libertà sovrane dei popoli di cui abbiamo, purtroppo, una memoria troppo fresca.
Ribadendo il carattere offensivo del progetto di legge NICA Act, affermiamo la vicinanza e la solidarietà attiva al popolo nicaraguense e alle sue legittime istituzioni, compresa l’Ambasciata del Nicaragua in Italia.
Contro l’imperialismo, per la difesa dell’autodeterminazione dei popoli.
Giusi Greta Di Cristina,
responsabile nazionale Dipartimento Esteri PCI per le relazioni con l’America Latina

Dichiarazione ufficiale del Governo del Nicaragua in risposta alla proposta di legge NICA Act:
NOTA DE PRENSA
El Gobierno de Reconciliación y Unidad Nacional ha conocido esta tarde la disposición de un grupo de Congresistas norteamericanos, identificados por sus posiciones radicales e injerencistas, de reintroducir la llamada Nica Act.
Esta tarde, ratificando esa condición de extremistas y promotores del irrespeto a los Modelos de Democracia Protagónica con Idiosincrasia y Carácter propios, los Congresistas que en Septiembre del año pasado instalaron una Propuesta hostil contra el Derecho del Pueblo nicaragüense al Bienestar, la Seguridad, el Trabajo y la Paz, volvieron a irrumpir en el panorama político pre-electoral, en coincidencia con ciertos agrupamientos de Ciudadan@s nicaragüenses, identificad@s con las Políticas norteamericanas más retrógradas.
Al presentar la Nica Act 2017, este grupo de Congresistas pretende vulnerar el Derecho de Nicaragua, nuestro Pueblo y Gobierno, a continuar desarrollando nuestro Modelo Cristiano, Socialista y Solidario, donde la Democracia, el Diálogo, las Alianzas y la búsqueda de Consensos, garantizan Tranquilidad, Armonía Social y Esperanza.
 La Nica Act 2017 és una amenaza más, de las muchas que a lo largo de la Historia se han cernido sobre Nicaragua, en el afán de las mentalidades imperialistas de apropiarse de nuestro País. És un nuevo intento de concederse el Derecho de intromisión destructiva en nuestros Asuntos Nacionales.
 La pretensión irracional, inoportuna e improcedente de este grupo de Congresistas de conocidas posiciones extremas, sólo apunta a desestabilizar un País donde las Personas somos prioridad, donde vivimos tranquil@s, en el arraigo de una valiosa Cultura Religiosa, Familiar y Comunitaria, que cultivamos como Patrimonio Especial.
Nicaragua seguirá siendo Baluarte, Ejemplo, y Fortaleza de la Estrategia de Seguridad de Centroamérica y del Continente Nuestroamericano, trabajando, como lo hemos hecho, y lo seguimos y seguiremos haciendo, para combatir el Narcotráfico, la Delincuencia y el Crimen Organizado, y para fortalecer Fronteras que impidan el avance del Terrorismo Internacional.
 Nicaragua, consolida y consolidará su Modelo de Reconciliación, Trabajo, Paz y Unidad, empeñados en la Responsabilidad de un Estado y un Gobierno que ha sido reconocido por sus Logros Sociales, Económicos y de Seguridad, reconocido también por la Eficacia, Eficiencia y Transparencia de su Administración.
 Nuestra probada Capacidad para gobernar, manejando responsablemente la Economía, nos ha convertido en un País con Crecimiento Sostenido, donde los Avances en la Lucha contra la Pobreza son visibles e innegables.
 La Nica Act aparece como una Propuesta, ciega, sorda, e irracional, concebida por mentes insensibles, mal intencionadas, y cerradas completamente a reconocer el Derecho de l@s nicaragüenses a vivir alejad@s de los conflictos de Tiempos Pasados, habitando, por Gracia de Dios, Tiempos Nuevos, Tiempos de Victorias, Tiempos de Buen Juicio, Tiempos de Buena Esperanza, Tiempos de Sabiduría, Tiempos de Proclamación de Buenas Nuevas.
 Estaremos pendientes del desarrollo de esta Iniciativa funesta, que no representa el Corazón, la Racionalidad, o la Compasión que obliga al Ser Humano a actuar como Herman@. Una Iniciativa que niega el Conocimiento, la Conciencia, y sobre todo, la Dignidad del Amor.
 Nicaragua seguirá promoviendo el Trabajo, el Bienestar, y la Paz. Nicaragua seguirá forjando Alianzas positivas e inteligentes, que procuren Unidad por el Bien Común.
 Nicaragua seguirá promoviendo su Modelo de Fé, Familia y Comunidad con la Dignidad y la altura propias de nuestros Aprendizajes y de un Liderazgo Hábil, Eficaz, Experimentado, Sabio y Prudente.

Managua, Abril 5 del 2017
Gobierno de Reconciliación y Unidad Nacional

venerdì 9 giugno 2017

Italia: sestuplicato l'export di armamenti

Lo sa, ma non lo dice in pubblico. E la notizia non compare ne' sul suo sito personale, ne' sul portale “Passo dopo passo” e nemmeno tra /“I risultati che contano”/ messi in bella mostra con tanto di infografiche da “Italia in cammino”.  Eppure è stata la miglior /performance/ del suo governo. Nei 1024 giorni di permanenza a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha raggiunto un primato storico di cui però, stranamente, non parla: ha sestuplicato le autorizzazioni per esportazioni di armamenti. Dal giorno del giuramento (22 febbraio 2014) alla consegna del campanellino al successore (12 dicembre 2016), l'esecutivo Renzi ha infatti portato le licenze per esportazioni di sistemi militari da poco più di 2,1 miliardi ad oltre 14,6 miliardi di euro: l'incremento è del  581% .
Una vera manna per l'industria militare nazionale, capeggiata dai colossi a controllo statale Finmeccanica-Leonardo e Fincantieri. E' tutto da verificare, invece, se le autorizzazioni rilasciate siano conformi ai dettami della legge n. 185 del1990 e, soprattutto, se davvero servano alla sicurezza internazionale e del nostro paese.

*Renzi e il motto di Baden Powell*
Un fatto è certo: è un record storico dai tempi della nascita della Repubblica. Ma, visto il totale silenzio, il primato sembra imbarazzare non poco il capo scout di Rignano sull'Arno che ama presentarsi ricordando il motto di Baden Powell: “Lasciare il mondo un po' migliore di come lo abbiamo trovato”. L'imbarazzo è comprensibile: la stragrande maggioranza degli armamenti non è stata destinata ai paesi amici e alleati dell'UE e della Nato (nel 2016 a questi paesi ne sono stati inviati solo per 5,4 miliardi di euro pari al 36,9%), bensì ai paesi nelle aree di maggior tensione del mondo, il Nord Africa e il Medio Oriente. E' in questa zona - che pullula di dittatori, regimi autoritari, monarchi assoluti sostenitori diretti o indiretti del jihadismo oltre che di tiranni di ogni specie e risma - che nel 2016 il governo Renzi ha autorizzato forniture militari per oltre 8,6 miliardi di euro, pari al 58,8% del totale. Questo è un altro record, ma pochi se ne sono accorti.

*Il basso profilo della sottosegretaria Boschi*
 Eppure non sono cifre segrete. Sono tutte scritte, nero su bianco e con tanto di grafici a colori, nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento per l'anno 2016” inviata alle Camere lo scorso 18 aprile.  L'ha trasmessa l'ex ministra delle Riforme e attuale Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi. Nella relazione di sua competenza si è premurata di segnalare che “sul valore delle esportazioni e sulla posizione del Kuwait come primo partner, incide una licenza di 7,3 miliardi di euro per la fornitura di 28 aerei da difesa multiruolo di nuova generazione Eurofighter Typhoon realizzati in Italia”. Al resto - cioè ai sistemi militari invitati in 82 paesi del mondo tra cui soprattutto quelli spediti in Medio Oriente - la Sottosegretaria ha riservato solo un laconico commento: “Si è pertanto ulteriormente consolidata la ripresa del settore della Difesa a livello internazionale, già iniziata nel 2014, dopo la fase di contrazione del triennio 2011-2013”.
La legge n. 185 del 1990, che regolamenta la materia, stabilisce che l'esportazione e i trasferimenti di materiale di armamento “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia”: autorizzare l'esportazione di sistemi militari a paesi al di fuori delle principali alleanze politiche e militari dell'Italia meriterebbe pertanto qualche spiegazione in più da parte di chi, durante il governo Renzi e oggi col governo Gentiloni, ha avuto la delega al programma di governo.

*I meriti della ministra Pinotti*
Non c'è dubbio, però, che gran parte del merito per il boom di esportazioni sia della ministra della Difesa, Roberta Pinotti. E' alla “sorella scout”, titolare di Palazzo Baracchini, che va attribuito il pregio di aver consolidato i rapporti con i ministeri della Difesa, soprattutto dei paesi mediorientali. La relazione del governo non glielo riconosce apertamente, ma la principale azienda del settore, Finmeccanica-Leonardo, non ha mancato di sottolinearne il ruolo decisivo. Soprattutto nella commessa dei già citati 28 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon: “Si tratta del più grande traguardo commerciale mai raggiunto da Finmeccanica”- commentava l'allora Amministratore Delegato e Direttore Generale di Finmeccanica, Mauro Moretti. “Il contratto con il Kuwait si inserisce in un'ampia e consolidata partnership tra i Ministeri della Difesa italiano e del Paese del Golfo”- aggiungeva il comunicato ufficiale di Finmeccanica-Leonardo.
Alla firma non poteva quindi mancare la ministra, nonostante gli slittamenti della data dovuti - secondo fonti ben informate - alle richieste di chiarimenti circa i costi relativi “a supporto tecnico, addestramento, pezzi di ricambio e la realizzazione di infrastrutture”.
Anche il Ministero della Difesa ha posto grande enfasi sui “rapporti consolidati” tra Italia e Kuwait: rapporti - spiegava il comunicato della Difesa- “che potranno essere ulteriormente rafforzati, anche alla luce dell'impegno comune a tutela della stabilità e della sicurezza nell'area mediorientale, dove il Kuwait occupa un ruolo centrale”. Nessuna parola, invece, sul ruolo del Kuwait nel conflitto in Yemen, in cui è attivamente impegnato con 15 caccia, insieme alla coalizione a guida saudita che nel marzo del 2015 è intervenuta militarmente in Yemen senza alcun mandato internazionale.
I meriti della ministra Pinotti nel sostegno all'export di sistemi militari non si limitano ai caccia al Kuwait: va ricordato anche l'accordo di cooperazione militare con Qatar per la fornitura da parte di Fincantieri di sette unità navali dotate di missili MBDA per un valore totale di 5 miliardi di euro, che però non compare nella Relazione governativa. Ma, soprattutto, non va dimenticata la visita della ministra Pinotti in Arabia Saudita per promuovere “affari navali”: ne ho parlato qualche mese fa e rimando in proposito ai miei precedenti articoli.

*Le dichiarazioni dell'ex ministro Gentiloni*
Una menzione particolare spetta all'ex ministro degli Esteri e attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. E' lui, ex-catechista ed ex sostenitore della sinistra extraparlamentare, che più di tutti si è speso in difesa delle esportazioni di sistemi militari. Lo ha fatto nella sede istituzionale preposta: alla Camera in risposta a due “Question Time”. Il primo risale al 26 novembre 2015, in riposta ad un'interrogazione del M5S, durante la quale il titolare della Farnesina, dopo aver ricordato che “… abbiamo delle Forze armate, abbiamo un'industria della Difesa moderna che ha rapporti di scambio e esportazioni con molti paesi del mondo…” ha voluto evidenziare che “è importante ribadire che l'Italia comunque rispetta, ovviamente, le leggi del nostro paese, le regole dell'Unione europea e quelle internazionali (pausa) sia per quanto riguarda gli embargo che i sistemi d'arma vietati”.
Già, ma la legge 185/1990 e le “regole Ue e internazionali” non si limitano agli embarghi, anzi pongono una serie di specifici divieti sui quali Gentiloni ha bellamente sorvolato.
Nel secondo, del 26 ottobre 2016, in risposta ad un'interrogazione del M5S che riguardava nello specifico le esportazioni di bombe e materiali bellici all'Arabia Saudita e il loro impiego nel conflitto in Yemen, Gentiloni ha sostenuto che “l'Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti”. Tacendo però sulla Risoluzione del Parlamento europeo, votata ad ampia maggioranza già nel febbraio del 2016, che ha invitato l'Alta rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, ad “avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'UE di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita”, in considerazione delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall'Arabia Saudita nello Yemen. Questa risoluzione, finora, è rimasta inattuata anche per la mancanza di sostegno da parte del Governo italiano.

*Ventimila bombe da sganciare in Yemen*
Rispondendo alla suddetta interrogazione, Gentiloni ha però dovuto riconoscere le “la ditta RWM Italia, facente parte di un gruppo tedesco, ha esportato in Arabia Saudita in forza di licenze rilasciate in base alla normativa vigente”. Un'assunzione, seppur indiretta, di responsabilità da parte del ministro. Il quale, nonostante i vari organismi delle Nazioni Unite e lo stesso Ban Ki-moon abbiano a più riprese condannato i bombardamenti della coalizione saudita sulle aree abitate da civili in Yemen (sono più di 10mila i morti tra i civili), ha continuato ad autorizzare le forniture belliche a Riad. E non vi è notizia che le abbia sospese, nemmeno dopo che uno specifico rapporto trasmesso al Consiglio di Sicurezza dell'Onu non solo ha dimostrato l'utilizzo anche delle bombe della RWM Italia sulle aree civili in Yemen, ma ha affermato che questi bombardamenti “may amount to war crimes” (“possono costituire crimini di guerra”).
Nella Relazione inviata al Parlamento spiccano le autorizzazioni all'Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 427 milioni di euro. Tra queste figurano “bombe, razzi, esplosivi e apparecchi per la direzione del tiro” e altro materiale bellico. La relazione non indica, invece, il paese destinatario delle autorizzazioni rilasciate alle aziende, ma l'incrocio dei dati forniti nelle varie tabelle ministeriali, permette di affermare che una licenza da 411 milioni di euro alla RWM Italia è destinata proprio all'Arabia Saudita: si tratta, nello specifico, dell'autorizzazione all'esportazione di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84. Una conferma in questo senso è contenuta nella Relazione Finanziaria della Rheinmetall (l'azienda tedesca di cui fa parte RWM Italia) che per l'anno 2016 segnala un ordine “molto significativo” di “munizioni” per 411 milioni di euro da un “cliente della regione MENA” (Medio-Oriente e Nord Africa).
La legge n. 185/1990 vieta espressamente l'esportazione di sistemi militari “verso Paesi in conflitto armato e la cui politica contrasti con i princìpi dell'articolo 11 della Costituzione”, ma - su questo punto - nessun commento nella Relazione. E nemmeno da Renzi. Men che meno da Gentiloni. Che l'attuale capo del governo si sia dato come obiettivo quello di migliorare la performance di Renzi nell'esportazione di sistemi militari?

Giorgio Beretta*