martedì 2 dicembre 2014

[INDIA] Bhopal, la lezione ignorata

A distanza di trent’anni dalla tragedia di Bhopal non solo la giustizia resta lontana per quanti sono stati direttamente coinvolti, ma il paese nel suo complesso non ha raggiunto una reale comprensione dei problemi evidenziati da quell’evento, costato finora 20-25.000 vite umane.
Sunita Narain, direttore del Centro per la scienza e per l’ambiente (Centre for Science and Environment, Cse), organizzazione indipendente di studi e progetti ambientali con sede a New Delhi, non ha dubbi: “L’India post-Bhopal ha migliorato la propria legislazione riguardo a disastri provocati dalle industrie chimiche e anche la sicurezza dei lavoratori, tuttavia si tratta di un impegno ampiamente incompleto. Trent’anni dopo, siamo lontani da una soluzione del dramma di Bhopal e non per quanto successo quella notte fatale, ma perché la risposta è stata incompetente e insensibile. Il risultato è che Bhopal vive una doppia tragedia: quella immediata del 1984 e l’altra che si è sviluppata negli anni”.
Affermazioni che gettano un’ombra lunga sulla rincorsa all’industrializzazione del paese, mentre fatica a comprendere la lezione di Bhopal.
“La fuga di gas tossico di trent’anni fa è stato il maggiore disastro industriale dell’India. Fino ad allora, i governi avevano gestito alluvioni, cicloni e terremoti. Di conseguenza si trovarono impreparati. La Legge per la protezione ambientale del 1986 è stato il primo provvedimento specifico, che ha dato alle autorità centrali la possibilità di proibire o regolare ogni iniziativa industriale. Gli emendamenti del 1987 hanno consentito ai vari Stati di costituire comitati per valutare la localizzazione di industrie potenzialmente dannose, oltre a porre in atto sistemi per la salvaguardia dei lavoratori e dei residenti. Nel 1989 il paese si è dotato dei Regolamenti per la gestione e il trattamento di rifiuti nocivi e dal 1991 della Legge per l’assicurazione sulla responsabilità civile consente assistenza immediata a persone che siano interessate da incidenti a contatto con sostanze nocive, prevedendo un apposito fondo di emergenza a livello nazionale”.
“Tuttavia – prosegue l’ambientalista – nonostante le leggi e i regolamenti in vigore, l’India sta rapidamente perdendo la battaglia riguardo la produzione e la gestione di sostanze pericolose per la salute e per l’ambiente. Gli incidenti industriali continuano a ripetersi con frequenza, spesso non denunciati, e la contaminazione di terreni e falde acquifere è un problema crescente. Nel 2010, il ministero per l’Ambiente e le foreste ha individuato dieci siti con migliaia di tonnellate di scarichi nocivi”.
Oggi, le conseguenze della tragedia di trent’anni fa che ancora coinvolgono la popolazione di Bhopal, nel frattempo raddoppiata arrivando a sfiorare i due milioni di abitanti, riguardano 120.000 superstiti con tracce indelebili della contaminazione e oltre mezzo milione di abitanti complessivamente interessati dalla fuga nell’aria di 40 tonnellate di isocianato di metile nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984. Tuttavia, la città è minacciata da una catastrofe almeno equivalente. Sono almeno 20.000 gli abitanti che vivono a ridosso dell’impianto dismesso ma mai bonificato.
“Si calcolano in 350.000 tonnellate le sostanze scaricate dentro e fuori l’impianto in 15 anni di attività della fabbrica – segnala Sunita Narain -. Nel 2009, Cse ha condotto una ricerca indipendente in loco e ha riscontrato elevati livelli di contaminazione del suolo e dell’acqua sul sito della Union Carbide e nelle aree circostanti. Elementi contaminanti come pesticidi, composti di cloro e di benzene e metalli pesanti, tutti riferibili ai processi produttivi”. Ciononostante, e nonostante un gran numero di procedimenti legali, denunce e impegni, la bonifica non ha veri responsabili e finanziatori possibili.
Un accordo extragiudiziale della Union Carbide con il governo di New Delhi nel 1989 (470 milioni di dollari) ha chiuso ogni contenzioso che riguardava la multinazionale, acquistata dalla statunitense Dow Chemical dopo avere ceduto nel 1994 le sue attività indiane a una consociata che a sua volta ha cambiato nome e struttura ma che non ha mai prodotto nulla nell’impianto che ancora domina la città.
Una doppia beffa per le vittime ancora in vita della catastrofe, per i nati negli anni con gravi malformazioni e per la cittadinanza a rischio di quella che per gli ambientalisti è “Bhopal 2.0”, ovvero una catastrofe annunciata.
“Il sistema che impone la responsabilità aziendale non può restare inadeguato quando nuove e a volte poco affidabili tecnologie continuano a porre nuove sfide. Se questo non è possibile, lo Stato deve provvedere onerose soluzioni di salvaguardia umana e ambientale, a costo di rendere non competitive le iniziative produttive. L’insegnamento di Bhopal deve essere che ogni tecnologia deve pagare i costi reali dei rischi presenti e futuri che pone”.

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