venerdì 28 febbraio 2014

Bauman: Siamo noi i “Grandi Piccoli Fratelli”

L’era della sorveglianza
di Stefano Rodotà (Repubblica, 22 febbraio 2014
)

Dal 1949, quando comparve 1984 di George Orwell, per molto tempo sulle nostre società si è allungata l’ombra dell’utopia negativa del Grande Fratello. Con il passare degli anni, e con la continua crescita delle possibilità di raccogliere dati personali grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, era divenuto via via più pressante l’invito a rivolgere lo sguardo piuttosto al moltiplicarsi dei Piccoli Fratelli, che penetravano nelle società rendendo concreta una sorveglianza diffusa sulle persone. Molti di questi Piccoli Fratelli sono poi cresciuti, hanno assunto le sembianze di Google o di Facebook, fino a quando il Datagate ha rivelato l’esistenza di un soggetto, l’americana National Security Agency, dove potevano essere riconosciuti i tratti di un vero Grande Fratello planetario.

Abbandonando questo schema, Zygmunt Bauman e David Lyon dialogano mettendo in evidenza una più profonda trasformazione della società, ormai posseduta integralmente dalle logiche della sorveglianza, non più imputabile a questo o quel soggetto, ma divenuta un suo dato strutturale (Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida, traduzione di M. Cupellaro, Laterza). Non siamo di fonte a una variazione nella letteratura sulla morte della privacy, ma a una riflessione sulla sorveglianza «liquida, perché è cruciale cogliere i modi in cui essa si infiltra nella linfa vitale della contemporaneità» fino a distruggerla, facendo regredire la persona alla condizione di puro oggetto sul quale si esercitano poteri fondati, in definitiva, sull’imperativo della sicurezza e sulle pretese del mercato.

L’oggetto della riflessione, allora, divengono la effettiva distribuzione e il concreto esercizio del potere, facendo emergere l’inadeguatezza della politica, l’impotenza degli Stati nazionali e, drammaticamente, anche una sorta di impossibilità individuale e collettiva di opporsi a questo processo. L’orizzonte è quello della ricerca di Bauman sulla modernità liquida che, tuttavia, non diviene uno schema costrittivo, perché David Lyon, con le sue domande, sollecita anche un confronto con molte delle posizioni emerse nella discussione contemporanea sulla sorveglianza, con una ricchezza di riferimenti che qui possono essere colti solo in parte. Ma i veri interlocutori finiscono con l’essere altri - Jeremy Bentham, con la sua teorizzazione del Panopticon; Michel Foucault, per l’indagine sul dispositivo della sicurezza; e l’assai più lontano Etienne de la Boétie, l’autore del Discorso sulla servitù volontaria.

Tutti i processi di trasformazione della persona, infatti, vengono descritti non tanto come l’effetto di una costante imposizione esterna, ma come il risultato di processi che costruiscono le condizioni propizie perché ciascuno accetti le servitù che gli vengono imposte, se non vuole essere vittima dei processi di esclusione che innervano la società della sorveglianza. Siamo così di fronte ad una nuova antropologia, nella trasformazione delle persone in “hyperlinkumani”, in entità bisognose di cogliere ogni occasione di visibilità, mettendo in rete qualsiasi informazione personale, contribuendo così alla “profilazione fai da te”. L’insistenza sull’assoggettamento volontario, tuttavia, non fa dare il giusto rilievo al parallelo processo di espropriazione dell’autonomia delle persone, consegnate agli algoritmi e alle tecniche probabilistiche che costruiscono una identità ad esse ignota, che ipoteca il loro futuro.

La sorveglianza si manifesta così come un dispositivo di esclusione, che rende non più utilizzabile lo schema del Panopticon, la costruzione circolare che consente ai carcerieri di vedere i detenuti senza esser visti e che, con le sue mura, è il simbolo della modernità “solida”. Al suo posto vengono insediati un Banopticon, le raccolte di dati in base alle quali si costruiscono i profili dei soggetti da escludere; e un Synopticon, che coinvolge ogni persona nei processi di sorveglianza. Poiché all’origine di tutto è l’ininterrotta raccolta di ogni informazioni, non è un caso che il libro si apra enfatizzando il ruolo dei droni, le macchine volanti sempre più miniaturizzate, capaci di giungere in ogni luogo e di impadronirsi dei dati in una condizione di quasi invisibilità, emblema estremo della liquidità.

Una nuova società è di fronte a noi, riconducibile alla “passione moderna per la costruzione di un ordine”, che portò ai campi di concentramento di nazismo e fascismo, dei quali i processi di selezione sociale della società della sorveglianza si presentano come la prosecuzione, sia pure in forme più blande ehigh tech. E in uno schema così compatto ed estremo non riescono ad aprire brecce le domande con le quali Lyon cerca di indurre Bauman a una considerazione più articolata della rivoluzione tecnologica, con una amputazione dell’analisi che rischia di rendere più debole la ricostruzione complessiva, che non a caso trascura tutti i contributi che cercano di segnalare le possibilità di intervenire attivamente per contrastare la logica della sorveglianza.

Si torna così al tema del potere, che “evapora” nella spazio dei flussi planetari dell’informazione, e della politica ricacciata nei luoghi fisici degli Stati nazionali. Una politica per ciò impotente, se non recupera la dimensione globale, anche per far sì che la ricostruzione negativa possa divenire una di quelle distopie che si autosmentiscono. Vero è che, perché questo accada, è indispensabile uno “slancio d’azione” (qui Bauman cita Gramsci) che compare come speranza nelle battute finali del dialogo, indicando la strada di “un’etica della cura” che recuperi integralmente la considerazione “dell’Altro” e induca a fissare il limite nel rispetto della dignità della persona. Tutto questo, però, viene collocato piuttosto in un recupero della trascendenza più che nella fiducia dell’azione individuale e collettiva. Ma siamo davvero sicuri che non sia più possibile continuare a seguire anche questa strada?




mercoledì 19 febbraio 2014

Argentina, per la prima volta alla sbarra i giudici della dittatura

Sono 40 gli imputati, fra cui cinque ex giudici federali, per la prima volta in tribunale di fronte a una corte che li giudicherà per i crimini perpetrati durante la dittatura che represse l’Argentina fra il 1976 e il 1983. Accusati di aver partecipato al “terrorismo di Stato”, gli ex magistrati Gabriel Guzzo, Rolando Carrizo, Guillermo Petra e Luis Miret dovranno rispondere per aver avallato e facilitato la strategia di persecuzione politica condotta dalle forze armate, evitando di indagare su centinaia di denunce di arresti arbitrari e scomparse forzate.argentinaotilioromano

Insieme a loro sarà processato anche l’ex giudice Otilio Romano, estradato nel 2012 dal Cile, dove era fuggito una volta raggiunto dalla notizia del suo rinvio a giudizio per complicità in 130 casi di abusi. Sul banco degli imputati ci saranno anche ex militari, ex poliziotti ed ex agenti penitenziari. Il processo affronterà fra l’altro i crimini commessi nel Centro de Operaciones D2, dove diverse donne hanno denunciato di aver subito gravi violazioni. È previsto che saranno chiamati a deporre in totale 660 testimoni.

Nel frattempo, l’Unidad de Información Financiera (Uif) ha annunciato l’avvio di un’inchiesta sulla “rotta del denaro” intrapresa da una dozzina di aziende fondate da ex militari accusati di crimini di lesa umanità sempre durante l’ultima dittatura. Secondo fonti dell’Uif, la ‘task force’ dell’ex Scuola di Meccanica della Marina (Esma), il più grande centro di detenzione clandestina della dittatura, oggi Museo della Memoria, si appropriò dei beni dei prigionieri e per poterli riciclare creò società apposite.


Lara B. Vargas - Atlasweb.it


Aggiornamento F-35

Dai dati F-35 unica certezza:
ha senso solo la cancellazione del programma


Nuovo report della campagna “Taglia le ali alle armi”: il programma Joint Stike Fighter sta sfuggendo al controllo e continua a costare troppo. Già spesi dall’Italia oltre 720 milioni di euro per acquistare i primi velivoli, i cui costo medio sarà di 135 milioni di euro.

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Presentato a Roma il rapporto “Caccia F-35 la verità oltre l’opacità” della campagna “Taglia le ali alle armi”, nuovo contributo all’approfondimento sui cacciabombardieri della mobilitazione che dal 2009 dice NO a questa inutile spesa militare.

In presenza di opacità e carenze informative è ancora una volta il lavoro delle reti della Pace e del Disarmo a mettere a disposizione di politica ed opinione pubblica uno sguardo realistico sul programma militare più costoso della storia.

Il programma di acquisto degli F35 ha molteplici risvolti, non è “solo” una questione che riguarda i pacifisti: sono in gioco il modello di Difesa del nostro Paese e le sue politiche di spesa militare, ma più in generale l’impostazione strategica che guida le scelte economico-finanziarie del Governo e  l'impiego delle risorse pubbliche in una fase di crisi economica e sociale drammatica che sta colpendo gran parte dei cittadini italiani.

Governare significa scegliere. Anche e soprattutto in tempi di forte crisi come questi. Gli oltre 14 miliardi per l’acquisto e lo sviluppo dei cacciabombardieri (e più di 52 per l’intera gestione del programma) potrebbero essere spesi molto meglio.

Ciascuna componente acquistata di un F-35 sottrae le risorse necessarie per affrontare le vere priorità del paese, quelle con le quali i giovani, gli studenti, i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione, gli abitanti di territori abbandonati all’incuria si confrontano ogni giorno: mancanza di occupazione, disagio abitativo, servizi sociali insufficienti, territori a rischio idrogeologico.

Di seguito i principali elementi messi in luce nel Rapporto:

· Il costo complessivo del programma per l’Italia (se confermati 90 caccia) è in minima ascesa ad oltre 14 miliardi di euro. Ciò dipende dalla crescita dei costi unitari (e aumenterà ancora soprattutto considerando che gli USA stanno pensando ad un taglio nelle acquisizioni); si vocifera di riduzioni nell’acquisto anche nel nostro Paese e ciò comporterà rialzi sui costi unitari.

· La proiezione di costo totale “a piena vita” del progetto rimane su una stima di oltre 52 miliardi di euro 

· Per la prima volta vengono elencati in dettaglio tutti i contratti sottoscritti dall’Italia con gli Stati Uniti, e si dimostra come siano già stati spesi 721 milioni di euro nelle fasi di acquisto (oltre ai 2,7 miliardi per sviluppo e FACO)

· Sono 126 i milioni di euro già spesi per i primi tre caccia (quelli del Lotto VI in prospettiva meno utilizzabili), sforando qualsiasi precedente stima del Ministero della Difesa. Secondo la nostra campagna la stima attuale media (conservativa) per aereo è di 135 milioni di euro complessivi

· Le problematiche tecniche e di gestione che continuano a rimbalzare dagli Usa ci parlano di un programma in difficoltà, e per questo pericoloso anche per i partner internazionali, anche se Pentagono e Lockheed Martin minimizzano e continuano nel loro percorso. Tutto ciò però deve essere elemento da considerare attentamente da parte del nostro Parlamento, se vuole essere serio a riguardo di questa spesa pubblica

· Nel corso del 2013 il Governo italiano ha proseguito l’acquisto dei caccia non attenendosi alle indicazioni delle mozioni di metà anno votate alla Camera e al Senato. Ciò è avvenuto non solo comprando definitivamente 3 + 3 aerei dei Lotti VI e VII con una giustificazione risibile (“si erano già sottoscritti contratti per inizio acquisto”, ma tali tipi di accordi non erano assolutamente vincolanti) ma anche facendo partire repentinamente anche il nuovo procurement del Lotti VIII e IX appena qualche giorno dopo l’ultimo voto in Senato

· I dati relativi al ritorno industriale, estrapolati da diverse fonti e confermati anche da Lockheed Martin, confermano ad oggi un rientro per le aziende del nostro paese di circa il 19% in confronto all’investimento pubblico (meno di 700 milioni di euro sui 3,4 miliardi già spesi dal Governo italiano)

· Le aggiornate stime di costo permettono di continuare il confronto tra la spesa per i caccia ed altri utilizzi, più sensati, dei fondi pubblici. In particolare con lo stanziamento medio annuale previsto per i prossimi tre anni di 650 milioni di euro si potrebbero creare 26000 posti di lavoro qualificati, o mettere in sicurezza circa 600 scuole all’anno oppure non tagliare ma aggiungere risorse in più al Servizio Sanitario Nazionale rafforzando anche i servizi di medicina territoriale H24

Inoltre ad un confronto diretto (sempre opportuno) un F35A (il cui costo complessivo è attualmente stimabile in 135 milioni di euro) è pari alla spesa necessaria per:

· la retribuzione di 5400 ricercatori per un anno;

· la messa in sicurezza di 135 scuole (rispetto norme antincendio, antisismiche, idoneità statica);

· l'acquisto di 21 treni per pendolari con 12.600 posti a sedere; 

· la garanzia di 33.750 borse di studio di 4000 euro per gli studenti universitari;

· la partecipazione di 20.500 ragazzi al Servizio Civile Nazionale;

· la costruzione di 405 nuovi asili capaci di accogliere 12,150 bambini e creare 3645 nuovi posti di lavoro;

· l'accoglienza dignitosa di 10.567 richiedenti asilo per un anno.

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TEL 06 8841880
www.sbilanciamoci.org

venerdì 7 febbraio 2014

Honduras: intervista a Berta Caceres


Oggi è un crimine difendere i diritti umani”.
Intervista alla dirigente indigena honduregna Bertha Cáceres
di Orsetta Bellani, Arivista (4 February 2014)

L’Honduras è il paese più violento del mondo, l’impunità copre l’80% dei delitti e il suo territorio è completamente militarizzato. I movimenti sociali sono vittima di repressione e persecuzione giudiziaria, come nel caso di Bertha Cáceres, coordinatrice del Copinh (Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras). Il Copinh è una delle maggiori organizzazioni del paese centroamericano e lotta in difesa dei diritti del popolo indigeno lenca. A causa dell’opposizione alla costruzione dell’idroelettrica Agua Zarca, nella comunità di Río Blanco (Dipartimento di Intibucá), Bertha Cáceres e altri due integranti del Copinh, Tomás Gómez e Aureliano Molina, sono stati accusati di gravi delitti. Abbiamo incontrato Bertha Cáceres alla vigilia delle elezioni del 24 novembre, vinte dal nazionalista Juan Orlando Hernández, proclamato presidente malgrado le numerose accuse di brogli elettorali.

Bertha, di cosa ti accusa la Procura? Come sta andando il processo giudiziario?
La persecuzione giudiziaria è solo un’espressione di tutta la persecuzione politica contro il Copinh ed è una strategia definita a livello presidenziale. Siamo coscienti che con la nostra lotta, che è pacifica però energica, ci confrontiamo con poteri grandi e influenti. Una delle accuse che mi vengono rivolte è possesso illegale di armi e la Procura mi ha offerto di patteggiare: inizialmente mi è stato proposto di chiedere perdono allo stato e indennizzarlo, cosa che certamente non farò, visto che non ho commesso nessun delitto. Poi, vista la pressione esercitata dalla mia difesa, dai movimenti sociali, da Amnesty Internacional e dalle migliaia di espressioni di solidarietà che in tutto il mondo hanno denunciato quest’ingiustizia, il tribunale mi ha proposto di chiudere il processo se, in cambio, avessi pagato tutte le spese sostenute dallo stato. Ho rifiutato anche questa proposta.
Per l’altro processo, in cui l’impresa ci accusa di danni continuati e usurpazione, la prossima udienza è stata fissata per l’11 febbraio.

Il processo è stato avviato a causa dell’opposizione del Copinh al progetto idroelettrico Agua Zarca, nella comunità di Río Blanco. Perché questa lotta è tanto importante per lo stato honduregno?
Anni fa le comunità di Río Blanco che fanno parte del Copinh hanno iniziato una lotta per il territorio e per la difesa del fiume Gualcarque, che è un corso d’acqua considerato sacro dal popolo indigeno lenca. Siamo riusciti a cacciare Sinohydro/Desa, che è la più grande impresa mondiale nella costruzione di centrali idroelettriche, e a dedicarci ad un esercizio di autonomia e controllo territoriale. L’impresa ha ottenuto la concessione illegalmente nel 2010 e grazie ai suoi legami con i militari ha esercitato molta pressione sulle comunità della zona, non solo minacciando ma anche corrompendo le autorità e cercando di manipolare la popolazione. Questo indica che le transnazionali non hanno bisogno di intermediari politici, ma reprimono direttamente le comunità. Dove esiste l’intenzione di costruire progetti minerari o idroelettrici ci sono piani di militarizzazione. La lotta di Río Blanco è un cattivo esempio per il grande capitale, perché ha dimostrato che è possibile fermare un progetto di dominazione e di privatizzazione, dimostra che è possibile cacciare una trasnazionale.

La persecuzione giudiziaria che lo stato sta portando avanti nei tuoi confronti sembra inserirsi in un clima di criminalizzazione della protesta sociale che sta vivendo il paese.
Lo stato ha costruito strutture repressive che sono finanziate da vari organismi, come la Banca Interamericana di Sviluppo nel quadro Piano di Sicurezza Regionale per il Centroamerica. Oggi è un crimine difendere i diritti umani. Il Congresso e l’oligarchia hanno impulsato la creazione della Polizia Militare di Ordine Pubblico, che sta operando come una struttura paramilitare contro i movimenti sociali. Non funzionano solo gli apparati di polizia e di intelligence, ma anche agenti infiltrati e agenzie di sicurezza private, che non sono altro che un altro esercito che protegge gli interessi dei grandi impresari. Lavorano insieme a polizia ed esercito e raddoppiano il numero dei loro effettivi. Nella settimana elettorale è stata incrementata la presenza di militari e poliziotti nelle strade, non è un clima che aiuta lo svolgimento di elezioni democratiche.

Alle elezioni presidenziali di domani la candidata per il partito Libertad y Refundación (Libre) è Xiomara Castro, moglie dell’ex presidente Manuel Zelaya, deposto nel 2009 con un colpo di stato. Ha proposto una “via honduregna” al socialismo e vorrebbe rompere il bipartitismo che dura da cent’anni. Qual è la sua opinione su Castro?
Il popolo honduregno è assetato di cambiamenti profondi, nel periodo successivo al colpo di stato abbiamo vissuto un processo di presa di coscienza e formazione, soprattutto nelle strade, dove abbiamo imparato più che in qualsiasi altro posto. Credo che sarebbe positivo se Libre vincesse le elezioni, è necessario che un altro partito si installi nel governo honduregno, non porterebbe cambiamenti profondi ma sarebbe un governo differente a quello della destra fascista che ha governato finora.

Intervista pubblicata su Arivista nel febbraio 2014.