martedì 8 ottobre 2013

SAN SALVADOR: le vittime della guerra abbandonate dall'arcidiocesi

Proprio nel momento in cui il processo di canonizzazione ufficiale di San Romero d’America sembra non incontrare più alcun ostacolo, un duro colpo alla memoria dell’arcivescovo martire – difesa a parole e calpestata nei fatti – viene dall’attuale arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas. Tanto improvvisa quanto ingiustificata è giunta il 30 settembre la notizia della chiusura di Socorro Jurídico, lo storico ufficio di tutela legale dell’arcidiocesi di San Salvador, fondato nel 1975 e divenuto sotto l’ala protettiva di mons. Oscar Romero (che ai suoi rapporti attingeva per preparare le sue omelie domenicali) un centro, insostituibile, di promozione e di difesa dei diritti (individuali e collettivi) degli ultimi, fino a raccogliere, nel corso degli anni, 50mila denunce di violazione dei diritti umani (prima, durante e dopo la guerra civile). Una chiusura che mons. Escobar Alas ha deciso senza fornire altra spiegazione che quella secondo cui l’ufficio di tutela legale non avrebbe «più ragione d’essere» in tempi di pace: motivazione che l’arcivescovo farebbe bene ad esporre, per esempio, ai familiari delle vittime della strage di El Mozote del 1981, il peggiore dei massacri di civili compiuti dall’esercito durante la guerra, assistiti dall’organismo e rimasti ora privi di rappresentanza legale. Il tutto in un momento in cui la Corte Suprema di Giustizia ha ammesso il ricorso di costituzionalità presentato da almeno 20 organizzazioni sociali contro la Legge di Amnistia promulgata dal governo nel 1993, l’anno successivo alla firma degli Accordi di pace.
«Andate in ufficio, raccogliete le vostre cose e poi recatevi a una riunione con tre rappresentanti dell’arcidiocesi»: sarebbe stato questo, secondo ElFaro.net (30/9), l’avviso che hanno ricevuto i 12 impiegati dell’ufficio di Tutela Legale (il nuovo nome assunto da Socorro Jurídico nel 1982, per iniziativa dell’allora arcivescovo Arturo Rivera y Damas) dopo aver trovato, il 30 settembre, le porte dell’ufficio chiuse, le serrature cambiate e alcuni vigilanti privati armati, e ostili, a fare la guardia. Ben poco lasciava presagire tale decisione. Wilfredo Medrano, vicedirettore dell’organismo, che vi lavorava dal 1989 – l’anno in cui, racconta ElFaro.net, aveva intrapreso insieme alla prima direttrice di Tutela Legale, María Julia Hernández, un viaggio nel Morazán, prima ancora che avesse termine il conflitto, per convincere i familiari delle vittime della strage che avrebbero potuto esigere giustizia – riferisce che sette mesi prima l’arcivescovo aveva nominato una sorta di amministratore con l’incarico di controllare ogni attività dell’organismo e che, quando i dirigenti di Tutela Legale avevano sollecitato una spiegazione, mons. Rafael Urrutia aveva assicurato loro che tutto procedeva normalmente.
Nulla è dato ora sapere sulla fine che farà l’archivio storico con le 50mila denunce di violazioni dei diritti umani (su carta, audio o video) raccolte dall’ufficio («Questo archivio – ha dichiarato uno dei dipendenti, José Lazo – non è della Chiesa, ma è del popolo. Qui c’è il sangue delle vittime»): se gli ormai ex impiegati hanno proposto di affidarne la custodia a mons. Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador (e per ben due volte arcivescovo mancato), nessuna decisione è stata ancora comunicata al riguardo.

Peggio di Saénz Lacalle
«Pensavamo – ha evidenziato Medrano – che qualcosa di simile potesse avvenire per iniziativa di mons. Fernando Saénz Lacalle», il predecessore opusdeista di mons. Escobar Alas, il quale, in effetti, era giunto a destituire “per mancanza di fedeltà” l’allora direttore di Tutela Legale, l’avvocato David Morales, in seguito alla decisione dell’organismo di ricorrere alla Commissione Interamericana sui Diritti Umani per denunciare le inadempienze del governo sul caso dell’omicidio di mons. Romero (v. Adista n. 76/07). Ma mons. Escobar Alas, ha proseguito Medrano, è andato anche oltre: «Non ce lo saremmo mai immaginato da lui. Ci sembra una decisione irresponsabile».
Del resto, che la sensibilità dell’arcivescovo in materia di diritti umani non sia propriamente commovente, era già risultato chiaro dalle sue dichiarazioni relative all’eternamente viva questione dell’annullamento o meno della Legge di Amnistia. Nella Chiesa salvadoregna, ha avuto recentemente modo di spiegare Escobar Alas (v. Adista n. 14/13), «non abbiamo un’opinione unificata al riguardo», anche se, ha assicurato, «siamo a favore della giustizia» (come le due cose possano conciliarsi l’arcivescovo non lo ha spiegato): l’annullamento della Legge di Amnistia, ha detto, potrebbe condurre a «una spirale di violenza», incoraggiando chiunque a pretendere risarcimenti per i danni subiti, tanto per via giudiziaria quanto per via economica».
Anche riguardo alla causa di canonizzazione di mons. Romero, l’attuale arcivescovo – che può vantare sul suo curriculum anche la contestatissima distruzione del bel mosaico, opera dell’artista Fernando Llort (ed espressione della cultura del popolo salvadoregno), che decorava la facciata della cattedrale – si è mantenuto fedele alla linea del predecessore, rivelandosi sempre molto attento a neutralizzare la figura dell’arcivescovo martire, spogliandola di ogni elemento conflittuale: mons. Romero «deve essere visto come il pastore che ci unifica», ha precisato mons. Escobar (v. Adista n. 14/13), mettendo in guardia dal rischio di trasformarlo in un «personaggio politico». «È possibile – ha dichiarato – che si cerchi di appropriarsi di qualche vantaggio politico, esaltando o attaccando l’immagine di monsignor Romero a favore o contro un’idea politica, e questo non sarebbe giusto». 

(claudia fanti, Adista)

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