lunedì 28 ottobre 2013

Manifestazione "BASTA MENZOGNE SULL'INCENERITORE DEL GERBIDO"

Sabato e' stata una bellissima giornata.
E' sempre bello trovarsi fianco a fianco con tanti cittadini e genitori come noi che, oltre che ricevere le nostre comunicazioni, ci seguono quando scendiamo in piazza.
Sono talmente rare le occasioni in cui il cittadino puo' far sentire la propria voce che non approfittarne e' sempre un peccato.
Saremmo potuti essere molti di piu', ma vi diamo gia' appuntamento fin da adesso alla prossima manifestazione che ci sara' presumibilmente nella primavera prossima.
Oltre che portare avanti le altre iniziative in corso, l'intenzione infatti e' quella di continuare su questo cammino per farci vedere in piazza almeno ogni 6 mesi.
Questo per dare la possibilita' a tutti di far sentire la propria voce in allegria e in modo civile, anziche' subire passivamente le scelte dei nostri amministratori che sempre piu' hanno interessi economici e di salvaguardia della salute diversi da quelli di noi cittadini.

Qui sotto il link sulla manifestazione sul IlFattoQuotidiano:

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Dal sito internet di TRM: ”Torino, 20 ottobre 2013. A seguito di un problema tecnico nelle due linee attive del termovalorizzatore (un blocco alla caldaia della Linea 2 ed un’anomalia al sistema di abbattimento degli ossidi di azoto nella Linea 3), oggi è stato deciso – sulla base del "principio di precauzione" adottato da TRM nella fase di esercizio provvisorio (maggio 2013 – aprile 2014) – di interrompere il funzionamento dell’impianto ed effettuare le necessarie attività di controllo e verifica.“
E SONO SETTE!!!!
In poco meno di sei mesi di attività. Ormai gli incidenti (o guasti come ama chiamarli TRM) sono diventati una consuetudine, degli eventi tanto rari quanto la presenza di acqua in mare.
E’ noto che, proprio in base al principio di precauzione, questo impianto non avrebbe dovuto nemmeno essere costruito. Coloro i quali dicono di rifarsi a questo importantissimo principio, anche giuridico, che dovrebbe sorreggere la gestione delle attività umane per tutelare la salute dei cittadini, lo hanno palesemente disatteso. Infatti, costoro hanno piazzato una bomba ecologica, un “termodistributore” di scorie e di veleni, a poche centinaia di metri da case, scuole ed ospedali.
Il principio di precauzione afferma che TRM deve dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che bruciare i rifiuti non causerà problemi alla salute ed all'ambiente. Peccato che gli studi compiuti sugli inceneritori vecchi dimostrino esattamente il contrario e che sui nuovi non esistano dati sufficienti per provarne l'innocuità al di là di ogni ragionevole dubbio.
Nonostante le notizie sempre più preoccupanti che arrivano da fonti sempre più autorevoli sulla pericolosità delle sostanze emesse dagli inceneritori, dobbiamo ancora vedere sul Telegiornale regionale dei servizi assurdi da Istituto Luce del ventennio, notizie rassicuranti come se il TG3 fosse l'ufficio stampa di TRM, senza contraddittorio e smentite, quotidianamente, da quello che succede davvero nell'impianto del Gerbido. Un muro di gomma che tenta di avvolgere le nostre rimostranze nonché le nostre proposte alternative all’incenerimento dei rifiuti, in una plumbea cappa di silenzio.
Il fatto che il Comitato Locale di Controllo, la maggior parte dei sindaci dei comuni interessati da questo problema, quasi tutte le forze politiche locali ed i media, non si accorgano di quanto sia ipocrita citare il principio di precauzione, dopo aver costruito un impianto che produce sostanze cancerogene, ci obbliga come cittadini a scendere di nuovo in strada, per informare e per dare un segnale forte che la misura è colma.



IL COORDINAMENTO NO INCENERITORE RIFIUTIZERO TORINO INDICE UNA MANIFESTAZIONE PER DIRE:
“ BASTA ALLE MENZOGNE SULL'INCENERITORE DEL GERBIDO”
INVITIAMO TUTTI I CITTADINI, LE ASSOCIAZIONI, I MOVIMENTI, I SINDACATI E LE FORZE POLITICHE RESPONSABILI
SABATO 26 OTTOBRE ALLE ORE 14,00 PRESSO LA VECCHIA STAZIONE DI PORTA SUSA. CI MUOVEREMO POI IN CORTEO ED ARRIVEREMO SOTTO LA SEDE RAI DI VIA VERDI PER CHIEDERE UN'INFORMAZIONE EQUILIBRATA E SOPRATTUTTO VERITIERA.

Ufficio Stampa

Coordinamento No Inceneritore Rifiuti Zero Torino

Tel. 370.710.18.55, 335.672.25.44

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Comitato
NO INCENERITORE - SI RIFIUTI ZERO

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Regola 5R (Riduci, Ripara, Riusa, Ricicla e Riprogettazione) verso l’obiettivo Rifiuti Zero
www.rifiutizerotorino.it
ISCRIVITI AI GRUPPI FACEBOOK: NO INCENERITORE TORINO e ARIA BENE COMUNE
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lunedì 14 ottobre 2013

Zygmunt Bauman: "Il futuro non esiste, va creato"


Il sociologo della modernità liquida è intervenuto a Milano per Meet The Media Guru. Come è cambiata la nostra vita, divisa tra tra online e offline?



"Devo deludervi, non sono un guru", ha esordito Zygmunt Bauman, aprendo il suo intervento milanese a Meet The Media Guru: "non vi dirò come condurre la vostra vita". La conferenza di Bauman, uno dei maggiori pensatori viventi, ha toccato molti aspetti centrali della nostra condizione di esseri umani, a cominciare dal rapporto con la vita digitale. Secondo il sociologo, la nostra esistenza ha conosciuto, con la rivoluzione digitale, l'impatto con una divisione, quella tra online e offline, che ci ha imposto di vivere allo stesso tempo in due differenti dimensioni. In questo contesto, i bambini incontrano Internet ormai già a 4 anni e crescono senza nemmeno poter immaginare che la connessione al Web possa non esserci, tanto il nostro rapporto con la vita online è diventato stretto. La Rete, per Bauman, è parte del progresso, ma porta con sé anche un numero di "perdite collaterali". L'automatizzazione del lavoro, ad esempio, causa diminuzione di posti di lavoro "umani" sia nell'industria pesante che nel lavoro intellettuale, ha puntualizzato Bauman: "i server stanno immagazzinando la nostra conoscenza e la nostra capacità di memorizzare sta scomparendo".

Per esemplificare questa dicotomia tra guadagno e perdita dovuta al progresso, Bauman ha citato Mark Zuckerberg e l'incredibile successo di Facebook: il social network ha intercettato la nostra paura di non essere visti ed essere soli e ha fondato il suo successo sull'allontanamento di questa paura: "il fondamento delle relazioni online è la soddisfazione", ha specificato Bauman, "e le relazioni diventano estremamente fragili". Facebook ci dà un "gadget" che ci fa credere di poter incontrare 500 amici in un giorno stesso, "io non sono riuscito a farne altrettanti in 80 anni di vita", ha scherzato Bauman.  "Il problema con Facebook e gli altri social netwok è che promettono esattamente quello che il progresso promette: rendere la nostra vita più semplice". Questo meccanismo si presenta anche nella gestione delle relazioni umane e sentimentali. Per Bauman, i social media servono, ad esempio, a rendere semplice la conclusione della relazione con un'altra persona, superando le dinamiche del mondo "offline". Ma siamo davvero felici di questa possibilità? Per Bauman la risposta è no: "la felicità non è evitare i problemi, la felicità è superarli".

La Rete, però, nella visione di Bauman porta con sé anche vantaggi, come la disponibilità quasi infinita di conoscenza: "con un click, Google ci presenta due milioni di risposte, un numero che non potremmo consultare nemmeno in tutta la nostra vita". Anche questo aspetto, però, ha un prezzo: l'impazienza e la perdita della capacità di conservare conoscenza "dentro di noi". Sono i server a conservare il nostro sapere, noi possiamo solo consultarlo e questo "avrà un effetto negativo sulla nostra creatività".

Per Zygmunt Bauman, Internet ci fa vivere "senza rischi", consentendoci di relazionarci solo con persone che la pensano come noi e condividono il nostro punto di vista: "le persone diventano così nostri specchi", ha spiegato Bauman; in caso contrario, "clicchiamo il tasto 'delete' e passiamo a un altro sito". Ma come uscire da questa condizione? Per l'autore della "vita liquida" una risposta è piuttosto ovvia: "parlando gli uni con gli altri e dimostrando interesse nel dialogo" per mantenere vivo l'interesse nei confronti di chi la pensa in modo diverso, evitando opinioni preconcette. La seconda soluzione è "essere aperti", dando inizio a un dialogo tenendo viva la possibilità che le nostre opinioni possano essere sbagliate. La terza possibilità è la cooperazione: "il dialogo non deve servire a far prevalere il nostro ego", ha spiegato Bauman, "perché nel dialogo con il diverso non devono esserci né vincitori, né vinti". Queste "arti" sono messe a repentaglio da Internet, nella visione di Bauman. Allo stato delle cose, riscoprire queste capacità di dialogo nei confronti del diverso è una questione "di vita o di morte" per il nostro futuro perché, ha chiosato Bauman, "Il futuro non esiste, il futuro va creato".

martedì 8 ottobre 2013

"Sì ai sacramenti per divorziati e risposati"





Germania, strappo della diocesi di Friburgo 

La circolare dell'arcivescovado: "La Chiesa sia capace di accoglierli". Ammesse la comunione e il battesimo, previsti anche incarichi nelle parrocchie. I vescovi tedeschi avevano già tentato una riforma, ma erano stati fermati da Ratzinger

ANDREA TARQUINI,

BERLINO - Il vento di riforma di papa Francesco spinge la Chiesa cattolica tedesca a nuovi passi coraggiosi. L'arcidiocesi di Friburgo, che in Germania è la seconda per importanza, ha inviato un vero e proprio vademecum ai suoi presuli nei quali si chiede di avere particolare riguardo per i cattolici divorziati e risposati.

La circolare della arcidiocesi, guidata dall'arcivescovo Robert Zollitsch, prevede soprattutto la possibilità riammetterli ai sacramenti, a cominciare dalla Comunione.

Da secoli, le regole della Chiesa cattolica apostolica romana lo vietano, considerando i divorziati risposati come persone che vivono nel peccato. Quasi scomunicati, insomma. Il passo dell'arcidiocesi di Friburgo è certamente destinato ad aprire un dibattito importantissimo, sullo sfondo del rinnovamento avviato da Papa Bergoglio. La circolare, nota lo Spiegel online, punta ad avere un carattere di segnale valido per tutta la Chiesa cattolica tedesca, e poi anche oltre le frontiere federali. "Vogliamo aprire una porta a chi ha alle spalle un matrimonio fallito, ha ricominciato un'altra vita sentimentale, e vuole restare parte della comunità dei fedeli", ha detto al settimanale di Amburgo il decano Andreas Moehrle, responsabile della cura delle anime per l'arcidiocesi della prospera e super-ecologica città nel sudovest tedesco. "Da un lato - prosegue - dobbiamo prendere atto che queste persone si sentono escluse dalla Chiesa, e ne soffrono profondamente, dall'altro dobbiamo tenere conto della dottrina e del diritto canonico".

La decisione di tendere la mano ai fedeli divorziati e risposati - numerosissimi, tenendo conto che in Germania oltre metà dei matrimoni finisce con un divorzio, senza che i divorziati vogliano rinunciare alla fede - è importantissima. Già a fine settembre, all'ultima riunione della Conferenza episcopale tedesca, l'arcivescovo Zollitsch aveva detto che i divorziati risposati "appartengono alla Chiesa, per cui dobbiamo trovare soluzioni per loro nel più vasto ambito ecclesiastico".

I vescovi tedeschi in realtà un passo a favore della riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati lo avevano già tentato, con Zollitsch e con il suo predecessore cardinale Lehmann. Ma la richiesta fu ritirata, dopo che Ratzinger l'aveva severamente criticata. Adesso, con papa Francesco in Vaticano, molti pensano che Zollitsch e i non pochi prelati tedeschi schierati con lui vogliano ritrovare una credibilità agli occhi dei fedeli. Soprattutto Zollitsch, che sta per lasciare l'incarico e vorrebbe comprensibilmente chiudere in bellezza.

La lettera dell'arcidiocesi di Friburgo è chiarissima. Chiede ai sacerdoti di riammettere i divorziati risposati ai sacramenti, prima di tutto la comunione ma anche la confessione e l'estrema unzione, di concedere ai loro nuovi figli il battesimo, la cresima e la prima comunione e tutti gli altri sacramenti. E raccomanda di non bandire più i divorziati risposati dai consigli dei fedeli nelle parrocchie o da altri incarichi ecclesiastici affidati a laici. Friburgo inoltre affiderà a religiosi ben preparati l'incarico di darsi cura delle anime dei divorziati risposati, in colloqui tra fedeli, ascoltando le loro drammatiche situazioni e aiutandoli a trovare di nuovo un posto, nei sacramenti e nel quotidiano, nella vita della Chiesa. I messaggi seminati da Papa Francesco producono frutti, proprio qui in una delle più importanti e forti chiese cattoliche del mondo.

SAN SALVADOR: le vittime della guerra abbandonate dall'arcidiocesi

Proprio nel momento in cui il processo di canonizzazione ufficiale di San Romero d’America sembra non incontrare più alcun ostacolo, un duro colpo alla memoria dell’arcivescovo martire – difesa a parole e calpestata nei fatti – viene dall’attuale arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas. Tanto improvvisa quanto ingiustificata è giunta il 30 settembre la notizia della chiusura di Socorro Jurídico, lo storico ufficio di tutela legale dell’arcidiocesi di San Salvador, fondato nel 1975 e divenuto sotto l’ala protettiva di mons. Oscar Romero (che ai suoi rapporti attingeva per preparare le sue omelie domenicali) un centro, insostituibile, di promozione e di difesa dei diritti (individuali e collettivi) degli ultimi, fino a raccogliere, nel corso degli anni, 50mila denunce di violazione dei diritti umani (prima, durante e dopo la guerra civile). Una chiusura che mons. Escobar Alas ha deciso senza fornire altra spiegazione che quella secondo cui l’ufficio di tutela legale non avrebbe «più ragione d’essere» in tempi di pace: motivazione che l’arcivescovo farebbe bene ad esporre, per esempio, ai familiari delle vittime della strage di El Mozote del 1981, il peggiore dei massacri di civili compiuti dall’esercito durante la guerra, assistiti dall’organismo e rimasti ora privi di rappresentanza legale. Il tutto in un momento in cui la Corte Suprema di Giustizia ha ammesso il ricorso di costituzionalità presentato da almeno 20 organizzazioni sociali contro la Legge di Amnistia promulgata dal governo nel 1993, l’anno successivo alla firma degli Accordi di pace.
«Andate in ufficio, raccogliete le vostre cose e poi recatevi a una riunione con tre rappresentanti dell’arcidiocesi»: sarebbe stato questo, secondo ElFaro.net (30/9), l’avviso che hanno ricevuto i 12 impiegati dell’ufficio di Tutela Legale (il nuovo nome assunto da Socorro Jurídico nel 1982, per iniziativa dell’allora arcivescovo Arturo Rivera y Damas) dopo aver trovato, il 30 settembre, le porte dell’ufficio chiuse, le serrature cambiate e alcuni vigilanti privati armati, e ostili, a fare la guardia. Ben poco lasciava presagire tale decisione. Wilfredo Medrano, vicedirettore dell’organismo, che vi lavorava dal 1989 – l’anno in cui, racconta ElFaro.net, aveva intrapreso insieme alla prima direttrice di Tutela Legale, María Julia Hernández, un viaggio nel Morazán, prima ancora che avesse termine il conflitto, per convincere i familiari delle vittime della strage che avrebbero potuto esigere giustizia – riferisce che sette mesi prima l’arcivescovo aveva nominato una sorta di amministratore con l’incarico di controllare ogni attività dell’organismo e che, quando i dirigenti di Tutela Legale avevano sollecitato una spiegazione, mons. Rafael Urrutia aveva assicurato loro che tutto procedeva normalmente.
Nulla è dato ora sapere sulla fine che farà l’archivio storico con le 50mila denunce di violazioni dei diritti umani (su carta, audio o video) raccolte dall’ufficio («Questo archivio – ha dichiarato uno dei dipendenti, José Lazo – non è della Chiesa, ma è del popolo. Qui c’è il sangue delle vittime»): se gli ormai ex impiegati hanno proposto di affidarne la custodia a mons. Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador (e per ben due volte arcivescovo mancato), nessuna decisione è stata ancora comunicata al riguardo.

Peggio di Saénz Lacalle
«Pensavamo – ha evidenziato Medrano – che qualcosa di simile potesse avvenire per iniziativa di mons. Fernando Saénz Lacalle», il predecessore opusdeista di mons. Escobar Alas, il quale, in effetti, era giunto a destituire “per mancanza di fedeltà” l’allora direttore di Tutela Legale, l’avvocato David Morales, in seguito alla decisione dell’organismo di ricorrere alla Commissione Interamericana sui Diritti Umani per denunciare le inadempienze del governo sul caso dell’omicidio di mons. Romero (v. Adista n. 76/07). Ma mons. Escobar Alas, ha proseguito Medrano, è andato anche oltre: «Non ce lo saremmo mai immaginato da lui. Ci sembra una decisione irresponsabile».
Del resto, che la sensibilità dell’arcivescovo in materia di diritti umani non sia propriamente commovente, era già risultato chiaro dalle sue dichiarazioni relative all’eternamente viva questione dell’annullamento o meno della Legge di Amnistia. Nella Chiesa salvadoregna, ha avuto recentemente modo di spiegare Escobar Alas (v. Adista n. 14/13), «non abbiamo un’opinione unificata al riguardo», anche se, ha assicurato, «siamo a favore della giustizia» (come le due cose possano conciliarsi l’arcivescovo non lo ha spiegato): l’annullamento della Legge di Amnistia, ha detto, potrebbe condurre a «una spirale di violenza», incoraggiando chiunque a pretendere risarcimenti per i danni subiti, tanto per via giudiziaria quanto per via economica».
Anche riguardo alla causa di canonizzazione di mons. Romero, l’attuale arcivescovo – che può vantare sul suo curriculum anche la contestatissima distruzione del bel mosaico, opera dell’artista Fernando Llort (ed espressione della cultura del popolo salvadoregno), che decorava la facciata della cattedrale – si è mantenuto fedele alla linea del predecessore, rivelandosi sempre molto attento a neutralizzare la figura dell’arcivescovo martire, spogliandola di ogni elemento conflittuale: mons. Romero «deve essere visto come il pastore che ci unifica», ha precisato mons. Escobar (v. Adista n. 14/13), mettendo in guardia dal rischio di trasformarlo in un «personaggio politico». «È possibile – ha dichiarato – che si cerchi di appropriarsi di qualche vantaggio politico, esaltando o attaccando l’immagine di monsignor Romero a favore o contro un’idea politica, e questo non sarebbe giusto». 

(claudia fanti, Adista)

mercoledì 2 ottobre 2013

Padre Siano sulla massoneria

Martedì 10 settembre u.s. il padre Paolo M. Siano, dei Francescani dell’Immacolata, ha tenuto una conferenza sulla massoneria presso la sede della Fondazione Lepanto, in Roma.

Davanti ad una sala gremita, il professor Roberto de Mattei ha presentato lo studioso francescano, ricordando la molteplice attività di studioso di padre Siano, esperto sia di “francescanistica” – anche nella veste di direttore degli Annales Franciscani – sia di storia ecclesiastica in generale, con la peculiarità, oggi rara di interessarsi in maniera scientifica e dottrinalmente ineccepibile della filosofia massonica.

Padre Siano ha ripercorso in modo sintetico le ragioni di assoluta incompatibilità tra la Chiesa cattolica romana e ogni tipo e genere di libera muratoria, sia quelle più anticlericali di sinistra che quelle, apparentemente soft, di stampo anglosassone. Tale incompatibilità è stata sempre ripetuta dal Magistero dei Pontefici, dalla prima scomunica della massoneria nel 1738, fino all’ultima nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 26 novembre 1983.

Non è la Chiesa ad avere un a priori anti-massonico, ma è la massoneria ad essere sempre e comunque a-cattolica: questa a-cattolicità si esprime, secondo lo studioso campano, attraverso quegli elementi che compongono il DNA di ogni massoneria che si rispetti. Ovvero, l’esoterismo, il ritualismo e la filosofia massonica, fondata sul principio della assurda coincidenza degli opposti. In effetti, padre Siano nei suoi studi più che ventennali ha notato che le pretese evoluzioni della visione massonica del mondo, non hanno affatto segnato uno stacco dalle ragioni di perplessità che la Chiesa espresse sin da principio. Basti pensare alla ritualità massonica che evidentemente scimmiotta i sacramenti cristiani pretendendo di procurare ai suoi adepti delle “illuminazioni” e dei “poteri” in modo però magico-occultistico, e dunque in un certo senso satanico.

L’esoterismo poi è consustanziale con ogni massoneria e tale tendenza porta i massoni a ritenere la verità, proprio come faceva l’antica gnosi, come qualcosa di riservato agli eletti, disprezzando il volgo comune dei “non-iniziati”. Lo stesso simbolismo massonico di vita/morte, luce/tenebre, Dio/diavolo, è ben lungi da assomigliare alla tradizionale simbologia cattolica: anzi in Loggia questi termini contraddittori troverebbero una sintesi superiore, incomprensibile ai bassi gradi e ai profani. Le domande del pubblico hanno permesso a padre Siano di chiarire molte idee e di mostrare che se le tendenze che oggi vanno per la maggiore hanno una genesi massonica, la Chiesa non può che cercare di contrastarle in nome della vera luce che «illumina ogni uomo» (Gv. 1) e che si è incarnata a Betlemme duemila anni fa.
Fabrizio Cannone,
Corrispondenza Romana

martedì 1 ottobre 2013