lunedì 22 luglio 2013

Acqua bene comune evangelica

Finestra aperta
domenica 14 luglio 2013

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“Chi  vuole privatizzare l'acqua dovrebbe dimostrare di  poter essere padrone anche delle nuvole”.  Questa frase dello scrittore Erri  De Luca sintetizza poeticamente le ragioni che hanno motivato l'impegno di migliaia di volontari che nella primavera del 2011 hanno promosso i referendum contro la privatizzazione dell'acqua. Il risultato fu strabiliante.  Più  di  27  milioni  di  italiani,  il  95  per  cento  dei  partecipanti  al  voto, dichiararono l'acqua bene comune,  e si  espressero contro  la privatizzazione della gestione idrica. E' bene ricordare che il popolo che sostenne quella causa andò ben oltre gli schieramenti dei partiti, e individuò in quella scelta un'opzione culturale prima ancora che politica. L'accesso all'acqua, bene primario, dovrebbe essere considerato anche un diritto umano, come richiesto da oltre un milione e mezzo di firme raccolte in Europa a tale fine. E dovrebbe essere evidente a tutti quanto insana sia anche solo l'idea di vedere l'acqua trasformata in merce sulla quale lucrare profitti.
Ciò che sgomenta, a distanza di due anni da quei referendum, è che sembra che quel risultato, così chiaro, sia stato in molti casi aggirato, esattamente come è avvenuto per il  referendum contro il  finanziamento pubblico dei  partiti.  Per  farlo si  è giocato sul rapporto tra la proprietà dell'acqua che rimarrebbe pubblica e la gestione della rete idrica che invece verrebbe ed in molti casi è già stata privatizzata.
Chi sostiene l'utilità della privatizzazione della rete idrica, indica il  dato sconcertante della sua condizione attuale. Le condutture sono spesso un colabrodo per cui oltre il 33% dell?acqua potabile è dispersa durante la sua distribuzione. Conservare dunque le tubature nelle loro condizioni di fatiscenza apparirebbe dunque funzionale alla loro privatizzazione. Un po' come in quella famosa scena del film di Chaplin “ Il Monello” in cui il figliolo era mandato a rompere i vetri delle case lanciando pietre, per consentire poi al padre di candidarsi a sostituirli!
Il teologo ed esegeta Walter Brueggemann, comincia il suo libro “Viaggio verso il bene comune” con queste parole: “La più grande crisi in cui ci troviamo è quella del bene comune, di quel senso di solidarietà sociale che ci lega tutti ad un destino comune”.
Gesù -  che critica molte volte chi  accumula beni  solo per  il  proprio godimento e incoraggia le persone a placare le ansie per la propria sopravvivenza -, offre la sua proposta, invitando tutti  a sollevare lo sguardo da se stessi.  Dice: “Cercate prima il Regno e la giustizia di Dio e tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta”. Stabilire delle priorità fondate sulla giustizia e su un'etica della condivisione,  implica,  oggi, riaffermare il principio che non è lecito a nessuno cercare di trarre profitto da beni che sono indispensabili alla vita di tutti.

Culto Evangelico – Federazione delle chiese evangeliche in Italia
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domenica 21 luglio 2013

GLI ENTI LOCALI NEL MIRINO DELLA FINANZIARIZZAZIONE

1. Uno dei nodi cruciali della guerra alla società, dichiarata dalle lobby finanziarie con la trappola della crisi del debito pubblico, vedrà nei prossimi mesi al centro gli enti locali, i loro beni e servizi, il loro ruolo. Infatti, poiché l’enorme massa di ricchezza privata prodotta dalle speculazioni finanziarie, che ha portato alla crisi globale di questi anni, ha stringente necessità di trovare nuovi asset sui quali investire, è intorno ai beni degli enti locali che le mire sono ogni giorno più che manifeste.

2. Già nel rapporto “Guadagni, concorrenza e crescita”, presentato da Deutsche Bank nel dicembre 2011 alla Commissione Europea, si scriveva a proposito del nostro Paese : “ (..) I Comuni offrono il maggior potenziale di privatizzazione. In una relazione presentata alla fine di settembre 2011 dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze si stima che le rimanenti imprese a capitale pubblico abbiano un valore complessivo di 80 miliardi di euro (pari a circa il 5,2% del PIL). Inoltre, il piano di concessioni potrebbe generare circa 70 miliardi di entrate. E questa operazione potrebbe rafforzare la concorrenza. (..) Particolare attenzione deve essere prestata agli edifici pubblici. La Cassa Depositi e Prestiti dice che il loro valore totale corrente arriva a  421 miliardi e che una parte corrispondente a 42 miliardi non è attualmente in uso. Per questa ragione potrebbe probabilmente essere messa in vendita con relativamente poco sforzo o spesa. Dal momento che il settore immobiliare appartiene in gran parte ai Comuni, il governo dovrebbe impostare un processo ben strutturato in anticipo. (..) Quindi, secondo le informazioni ufficiali, il patrimonio pubblico potrebbe raggiungere in valore complessivo di 571 miliardi, vicino al 37% del PIL. Naturalmente, il potenziale può anche essere ampliato.”

3. La spoliazione degli enti locali è naturalmente avviata da almeno un quindicennio e vi hanno concorso diversi fattori. Il primo è stato il Patto di Stabilità e Crescita interno, ovvero le diverse misure, annualmente stabilite, per far concorrere gli enti locali agli obiettivi di stabilità finanziaria stabiliti dallo Stato in accordo con l’Unione Europea. Quel patto ha visto in una prima fase una durissima contrazione delle possibilità di assunzione del personale da parte degli enti locali, riducendone drasticamente la qualità del servizio e contribuendo in questo modo a costruire una campagna ideologica sull’inefficienza del “pubblico”; in un secondo momento è finita sotto attacco la possibilità e la capacità di investimento da parte degli enti locali che, con l’alibi di non doversi indebitare, sono stati costretti e ridurre al lumicino le opere da realizzare; infine, nell’attualità, perfino la capacità di spesa corrente trova draconiane limitazioni, mettendo definitivamente a rischio il funzionamento stesso degli enti locali. Classificati da ora in avanti in “virtuosi” e “non virtuosi”, gli enti locali saranno costretti, per entrare nella prima categoria, ad aumentare le tasse locali e le tariffe, a ridurre ulteriormente l’occupazione, a dismettere il patrimonio pubblico e a privatizzare i servizi pubblici locali.

4. Il secondo fattore è dovuto alla spending review, ovvero i drastici tagli lineari che, anziché riorganizzare la spesa eliminando gli sprechi e le corruttele, comportano un’automatica riduzione di tutti i servizi erogabili senza alcuna scala di priorità e senza la benché minima programmazione. Il terzo fattore è stata l’approvazione del Fiscal Compact, ovvero l’obiettivo sottoscritto in sede europea di portare entro venti anni al 60% il rapporto debito/pil che oggi è pari al 127% . Ciò significa annualmente una riduzione secca di tale rapporto del 3,3% , con un costo di oltre 50 miliardi/anno. Se a questo si aggiunge l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione –di fatto, la costituzionalizzazione della dottrina liberista- il quadro è decisamente chiaro.

5. L’insieme di draconiane misure nei confronti degli enti locali ha un unico scopo : metterli con le spalle al muro dal punto di vista economico per persuaderli/obbligarli ad un gigantesco percorso di espropriazione e di privatizzazione, consegnandone beni e patrimonio alle lobby bancarie e finanziarie. Un processo che avviene attraverso diversi ma convergenti percorsi. Cosa posseggono infatti gli enti locali? Territorio, patrimonio e servizi, ed è su questi che si sta giocando, e sempre più lo si farà nel prossimo periodo, la guerra contro la società.

6. Il territorio è da tempo strumento di valorizzazione finanziaria, in due diverse modalità di scala. La prima attraverso la continua cementificazione del suolo, favorita da una norma criminale che consente di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente dei Comuni : in pratica, anche solo per garantire l’ordinario funzionamento dell’ente locale, gli amministratori sono invogliati a consegnare porzioni di territorio alla speculazione immobiliare, arrivando al paradosso che, mentre fino a qualche anno fa erano i costruttori a fare la questua negli uffici comunali per ottenere cambi di destinazione d’uso di terreni, oggi sono i sindaci a inseguire i costruttori per poter firmare convenzioni che consentano di mettere in cassa i relativi oneri.  La seconda è quella dei grandi eventi e delle grandi opere : che siano basi militari (Muos di Catania, Dal Molin di Vicenza), che siano mega-progetti infrastrutturali (Tav, Ponte sullo stretto, 35 nuovi progetti autostradali) o “eventi” (Giubileo di Roma, Expo di Milano), l’unico obiettivo è la consegna del territorio alla valorizzazione finanziaria e alla speculazione immobiliare.

7. Il patrimonio pubblico in mano agli enti locali ha, come abbiamo visto, dimensioni enormi (421 miliardi). La sua svendita, cominciata da tempo, trova ora una sua più sistematica applicazione con il ruolo assunto nella stessa dalla Cassa Depositi e Prestiti, ovvero l’ente (ora SpA, con all’interno le fondazioni bancarie) che raccoglie il risparmio postale (230 miliardi) di quasi 24 milioni di persone. Ruolo attraverso il quale Cdp si propone agli enti locali come partner per la valorizzazione degli immobili da vendere, fissandone un prezzo e impegnandosi ad acquisirli qualora l’ente locale non riesca a venderli ad un prezzo maggiore di quello stabilito; operazione che l’attuale governo, sempre con il concorso di Cdp, intende estendere anche a tutti i terreni agricoli demaniali (338.000 ettari).

8. I servizi pubblici locali sono da molto tempo sotto attacco e a rischio privatizzazione. Su questo terreno, come anche Deutsche Bank nel suo rapporto citato all’inizio ha dovuto riconoscere, la straordinaria vittoria referendaria del movimento per l’acqua nel giugno 2011 ha complicato molto i piani, senza tuttavia far desistere le grandi lobby finanziarie : non solo attraverso i ripetuti attacchi all’esito referendario, bensì mettendo in campo –di nuovo con l’aiuto di Cassa Depositi e Prestiti- processi di privatizzazione strisciante, attraverso l’ingresso nelle società gestrici di F2i (Fondo per le infrastrutture, partecipato al 16% da Cdp) e/o di FSI (Fondo Strategico Italiano, interamente controllato da Cdp), per favorirne fusioni societarie e il rilancio in Borsa.

9. Come si evince da questa analisi, sotto attacco è la stessa funzione sociale degli enti locali come luoghi di prossimità degli abitanti di un territorio. Si comprende meglio, a questo punto, anche il senso profondo della progressiva riduzione degli spazi di democrazia, che vede nell’accentramento istituzionale da una parte e in una furbesca campagna contro la “casta” e relativa riduzione della rappresentanza dall’altra, il progressivo distanziamento dei luoghi della decisionalità collettiva dalla vita concreta delle persone. L'obiettivo è chiaro : se ciò che è in atto è un mastodontico processo di spoliazione delle comunità locali, diviene necessario rendere loro sempre più ardua qualsiasi forma di organizzazione e di protesta, trasformando in rassegnata solitudine quella che potrebbe altrimenti divenire lotta per la riappropriazione sociale.

10. Oggi sindaci e amministratori sono posti di fronte ad un bivio senza zone d’ombra : devono decidere se essere gli esecutori ultimi di un processo di privatizzazione che dalla Troika discende verso i governi e scivola giù fino agli enti locali o se riconoscersi come i primi rappresentanti degli abitanti di un determinato territorio e porsi in diretto contrasto con quei processi.Ma, indipendentemente dalla consapevolezza dei propri sindaci e amministratori, le donne e gli uomini di ogni comunità locale di questo Paese devono sapere che la lotta collettiva e generalizzata contro la trappola del debito, per una nuova finanza pubblica e sociale, per la riappropriazione sociale dei beni comuni, è interamente nelle loro mani. E che da essa dipende il destino della democrazia reale.

Marco Bersani
(Attac Italia)

martedì 16 luglio 2013

Latinoamerica e modernità

Secondo Enrique Dussel la parola modernità ha due significati principali. Il primo è quello di uscita dall’immaturità, attraverso uno sforzo della ragione intesa come processo critico, il secondo è un contenuto mitico creato a giustificazione di una prassi di violenza. Il mito parte da una autorappresentazione della civiltà moderna come più sviluppata, superiore; ciò obbliga la civiltà a cercare lo sviluppo dei primitivi, dei barbari, a seguire lo stesso percorso di sviluppo proprio dell’Occidente. Dal momento che il primitivo si oppone al processo civilizzatore, la prassi moderna è costretta ad usare la violenza interpretata come atto inevitabile, quasi rituale, che si accanisce sulle vittime (colonizzato, schiavo, donna, ambiente). Per superare la modernità Dussel propone un progetto transmoderno, ovvero l’incorporazione del concetto emancipatore della modernità ed il rifiuto di quello mitico; secondo l’autore non sarebbe adeguato a realizzare ciò né un progetto antimoderno, ovvero conservatore, tantomeno un progetto postmoderno, che, negando totalmente la modernità, arriverebbe ad una posizione nichilista.
Il termine “postmoderno” ha iniziato a diffondersi negli stati Uniti alla fine degli anni ’60, per definire tendenze affermatesi soprattutto in architettura che, caratterizzate dal rifiuto dell’ideale di progresso e dalla negazione del valore del nuovo, si sono proposte di superare la “modernità”, recuperando alcune soluzioni formali della tradizione e non disdegnando il kitsh. Questo concetto venne poi esteso a mode o atteggiamenti tesi a rivalutare nostalgicamente aspetti e valori del passato recente, prima considerati criticabili.
Dal punto di vista letterario il termine risale a J. F. Lyotard, che nel 1979 intitola un suo saggio La condizione postmoderna, il romanzo che si iscrive in questa corrente utilizza i codici della comunicazione, dei media e della tecnologia ed, accogliendo le suggestioni dei saggisti come McLuhan, tende ad esprimersi in un linguaggio visivo ed incorpora gli effetti dell’uso di computer e televisione. Pur difendendo il recupero della narratività, in seguito agli esperimenti dell’avanguardia, il romanzo postmoderno non è un ritorno nostalgico alla facilità di lettura; si criticano piuttosto i concetti di inizio e fine, il determinismo e la temporalità lineare su cui si fonda il romanzo ottocentesco, come anche l’idea di originalità.
Nelle poetiche postmoderne il testo riflette su se stesso, trasformandosi in contaminazione, pastiche, citazione. Fortemente influenzato da Samuel Beckett e da Jorge Luis Borges, il romanzo postmoderno ha avuto in America una notevole risonanza di pubblico e di critica, si pensi ad autori come Gabriel García Márquez.
Con la crisi della modernità occidentale, condivisa anche dall’America Latina, si trasformano le relazioni fra tradizione, modernismo culturale e modernizzazione economica. Se nell’arte e nella filosofia le correnti postmoderne sono le più diffuse, Néstor García Canclini fa notare che nell’economia e nella politica latinoamericana prevalgono gli obiettivi modernizzatori; ciò accade perché, pur ostentando una parvenza democratica, gli stati mancano di coesione sociale e cultura politica moderna. La modernità diviene dunque una maschera, un simulacro messo in scena dalle élite e dagli apparati statali.
Le oligarchie liberali del secolo XIX ed inizio del XX cercarono di creare degli stati moderni, ma riuscirono a coinvolgere soltanto alcuni strati della società, promuovendo uno sviluppo subordinato e inconsistente; si veda il caso delle grandi opere di riforma di Santiago del Cile promosse da Vicuña Mackenna tra il 1872 ed il 1875. Al posto di culture nazionali sorsero culture di élite, che marginalizzarono le popolazioni indigene e contadine. In seguito i populismi mostrarono di voler incorporare i settori emarginati, ma queste politiche vennero capovolte o cedettero ai clientelismi demagogici.
La riflessione antievoluzionista del postmodernismo vede l’America Latina come una complessa articolazione di tradizioni e modernità, un continente eterogeneo in cui coesistono numerose logiche di sviluppo; inoltre critica le narrazioni onnicomprensive sulla storia: è più una tendenza a problematizzare gli equivoci del moderno con le tradizioni che ha voluto escludere o superare. David Lyon cerca di chiarire le numerose manifestazioni di questa tendenza attraverso una sorta di sintesi: a suo parere si deve distinguere una sfera intellettuale, ovvero il postmodernismo, basata sulla crisi del fondazionalismo scientifico, ed una sociomateriale, cioè la postmodernità, i cui segni di identificazione sono le nuove tecnologie dell’informazione-comunicazione connesse con il fenomeno della globalizzazione ed il superamento dello schema del consumo da parte del consumismo postindustriale.
Attualmente le opinioni attorno al postmodernismo sono molte ed eterogenee, eppure questa sembra essere la sua essenza: il diacronico, il dissonante, l’atemporalità; il pensiero postmoderno risulta una amalgama di differenze. Esistono comunque aspetti molto precisi di questo pensiero che lo contrappongono allo stato, poiché la crisi della modernità investe anche le istituzioni: lo stato è ridotto alla sua minima espressione a causa della sottomissione alle leggi del mercato dettate dal neoliberismo.
Applicando quanto detto alla situazione latinoamericana, è necessario considerare entrambe le manifestazioni del postmoderno di cui parla Lyon: quello della postmodernità, riguardante le nuove tecnologie e la globalizzazione nel suo aspetto neoliberale, e quello del romanzo postmoderno, che prende forma nell’opera di Jorge Luis Borges. Nel primo caso studi molto approfonditi sulla condizione latinoamericana sono stati realizzati dallo statunitense Noam Chomsky, che vede una diretta relazione fra le continue ingerenze degli Stati Uniti nella politica e nell’economia degli stati latinoamericani e la loro instabilità politico-economica. Secondo questa tesi dopo la seconda guerra mondiale i leader angloamericani tentarono di riplasmare l’equilibrio mondiale sulla base dei propri interessi, ciò prevedeva che le regioni controllate dagli Usa o considerate di importanza strategica, ovvero America Latina e Medio Oriente, dovevano essere chiuse agli altri stati; al contrario, il resto del mondo non avrebbe dovuto opporsi ad una politica di ulteriore penetrazione economica e commerciale.
L’idea che l’America Latina appartenesse agli Stati Uniti ebbe una prima formulazione nella “dottrina Monroe” del 1823, in cui si negò agli stati europei il diritto di intromettersi nelle vicende americane (“l’America agli americani”). Quello che, in sostanza, i governi Usa avevano in mente era un modello di rapporto neocoloniale, o meglio postcoloniale, in cui gli stati latinoamericani avrebbero fornito le materie prime all’industria statunitense in cambio dei prodotti manifatturieri.
Le manifestazioni letterarie del postmoderno in America Latina si basano su canoni stilistici e semantici che creano testualità decostruttive. I testi di Borges si rivelano in quanto manifestazione trasfigurata di altri testi, ad essi vincolata imprescindibilmente. Si crea così una metaforicità aperta sia nei concetti che nella pratica decostruttiva: i rimandi dirigono il lettore da un testo all’altro. Non si esalta alcuna preminenza di un significato particolare, se non del senso stesso della scrittura; i racconti non mettono in luce significati trascendentali, bensì giochi di differenze, di connessioni attraverso le quali i testi vanno oltre se stessi. Nessun testo importante dell’autore è comprensibile senza rimettersi ad un altro testo: così El sur si rimette alle Mille e una notte, Biografia de Tadeo Isidoro Cruz è una glossa del Martín Fierro ; in Las ruinas circulares si legge una storia per scoprire posteriormente che si è acceduti, senza saperlo, ad un’altra storia dissimulata, mascherata all’interno della prima.
Nel racconto La biblioteca de Babel Borges costruisce una allucinazione fantastica in cui l’asse centrale di significazione è la condizione essenziale dell’uomo: una esistenza irrimediabilmente persa dentro un universo caotico, che lo fa stare in pena a causa dello scorrere di un tempo che lo avvolge e lo annichilisce. La complessa definizione di infinito data nel racconto, sostegno della struttura narrativa dell’opera, si rivela un drammatico effetto di dissoluzione del piano della realtà convenzionale, mostrando una duplicazione infinita dello spazio temporale e marcando la moltiplicazione delle gallerie esagonali che danno forma alla biblioteca sferica. La biblioteca è un labirinto abominevole che allude, con il suo estremo ordine, all’infinito e al caos. Il lettore subisce uno spiazzamento, si moltiplica la prospettiva di apprensione.
Le migrazioni della narrativa di Borges generano discorsi e teorie enigmatiche, che costringono il lettore a costruire continuamente il senso del testo, allo stesso tempo si rivelano continuamente provvisori. Si nega il privilegio di una lettura lineare della storia, della certezza del racconto in cui esistono un unico tempo ed un unico spazio. Tutte le possibilità di lettura restano aperte nelle biforcazioni e convergenze che producono i giochi intratestuali e intertestuali: non esistono letture definitive ma infiniti accessi ed altrettante vie di fuga.

Bibliografia

José Luis Borges, Obras completas , 5 v., Buenos Aires : Emecé, 2001
Noam Chomsky- Heinz Dietrich, Latin America from colonization to globalization , New York : Ocean Press 1999
Noam Chomsky, Year 501 the conquest continues , Cambridge (Ma) : South End, 1993
Enrique Dussel, L’occultamento dell’altro. All’origine del mito della modernità , Celleno : La Piccola, 1993
Jean Francois Lyotard, La condizione postmoderna : rapporto sul sapere , Milano : Feltrinelli, 2004
David Lyon, Postmodernidad , Madrid : Alianza Editorial, 1996
Gianluca Mari (a cura di), Moderno/Postmoderno. Soggetto, tempo, sapere nella società attuale , Milano : Feltrinelli, 1987
Dario Puccini- Saul Yurkievich (a cura di), Storia della civiltà letteraria ispanoamericana , Roma : Utet, 2000

domenica 14 luglio 2013

Non hanno ancora capito che...

...l’acqua non è una merce!

Acqua pubblica a Torino

La vicenda dell’acqua pubblica a Torino dimostra una volta di più quanto la classe dirigente di questa città, come del resto quella governativa nazionale, sempre più si stiano allontanando dai principi di legalità costituzionale.
Si veda il disprezzo per la volontà espressa da 383.651 cittadini  torinesi e da 1.034.562 elettori della provincia di Torino che nel Referendum del 12 e 13 giugno 12011 hanno detto chiaramente che l’acqua non è una merce ma un bene comune che va gestito senza scopo di lucro, quindi da un Ente di diritto pubblico.
Non contento di aver manipolato con arroganza la delibera di iniziativa popolare firmata da migliaia di cittadini che proponeva di trasformare SMAT in azienda speciale consortile per attuare i principi sanciti dal Referendum , il PD torinese e la sua maggioranza si accingono ora a tradire l’esito referendario negando questa  trasformazione (v. La Stampa dell'8 luglio).
Hanno mobilitato dirigenti comunali e aziendali, avvocati e tecnici per impedire una ricerca serena, approfondita, giuridicamente e economicamente ineccepibile del modo migliore per applicare il referendum e mettere SMAT al riparo dalla privatizzazione.
La nostra proposta di procedere con calma e con metodo, per cercare le soluzioni più opportune, per non creare scompensi né problemi, ma conseguire in tutta sicurezza l’obiettivo referendario  è caduta nell’indifferenza e disinteresse di quasi tutta la maggioranza che ha saputo solo seminare l’iter deliberativo di cavilli, pretesti, ostacoli e superficialità.
La volontà popolare si è scontrata con una chiusura culturale e politica imputabile a un ottuso arroccamento ideologico neoliberista o peggio, all'acquiescenza verso le potenti lobbies finanziare che da anni mirano al possesso dei servizi pubblici locali a più alto tasso di profitto, come inceneritori ed acqua.
L’unico modo per garantire che SMAT non venga privatizzata è la sua trasformazione in azienda di diritto pubblico, non certo l’introduzione di misere alchimie sulle percentuali di voto. La vicenda TRM insegna.
In passato a Torino, di fronte a manovre altrettanto subdole e arroganti, i padri dell’emancipazione e del progresso sociale hanno saputo resistere “un minuto più del padrone”. I figli di quei padri siamo noi.

Torino, 9 luglio 2013

Forum italiano dei movimenti per l’acqua

Comitato provinciale Acqua Pubblica Torino

Via Mantova 34, 10153 Torino - www.acquapubblicatorino.org - tel. 388 8597492  

venerdì 5 luglio 2013

La ricchezza della diversità

«La diversità e la cooperazione sono un bene e un arricchimento, non un disturbo o un intoppo da superare. La democrazia è deliberazione tra diversi non semplice decisionismo per una massa di identici».
di Nadia Urbinati,
La Repubblica (27 giugno 2013)

La nostra democrazia sta attraversando una fase di tensioni e schizofrenie che non cessano di stupire. Il fondatore del blog antipartito Beppe Grillo transita il suo movimento dalla società al Parlamento, salvo poi lamentare il fatto che gli eletti del Movimento 5Stelle obbediscono al popolo italiano invece che a lui o al suo blog. Parlamentarista dichiarato quando in Parlamento i suoi non c’era ancora, sfodera ora una vocazione autoritaria e dispotica che col Parlamento va poco d’accordo. Il carattere deliberativo delle istituzioni democratiche impone un’attenzione alle differenze di vedute e una pratica della tolleranza che mal si adatta con i capipopolo. Non vi è dubbio che la strada del leader plebiscitario possa sembrare quella più semplice e naturale in tempi di crisi; quella che meglio pare adattarsi al maggioritarismo e che riesce a unire una massa larga nel nome di un capo rappresentativo. In questa impazienza con la democrazia deliberativa e parlamentare il leader del M5S si trova in sintonia con il leader del Pdl, il quale ha in questi anni portato parte dell’opinione di centrodestra (e non solo) a condividere vocazioni presidenzialiste.

Accanto a questi movimenti tendenti verso un apex verticale di leadership centralistica è in corso un fenomeno che va nella direzione opposta. In questi giorni la senatrice del Pd Laura Puppato e altri deputati e senatori del suo partito, di Sel e di Scelta Civica hanno messo in essere un concreto tentativo volto a contenere la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche e nello stesso tempo a sfuggire al semplificazionismo plebiscitario. Hanno lanciato una piattaforma dal nome significativo “Tu Parlamento” e anticipato così gli attivisti del M5S che ne hanno parlato tanto senza però riuscire a concretizzare, silenziati dalla voce del loro leader extra-parlamentare. “Tu Parlamento” è il nome di un piano partecipativo promosso da rappresentanti di diverse formazioni politiche. Lo scopo è di permettere ai cittadini di avanzare proposte al Parlamento per affrontare con più efficacia le emergenze politiche, economiche e sociali del Paese. Le proposte vengono rivolte direttamente ai rappresentanti delle forze politiche presenti in Parlamento che si sentono impegnati a valorizzare l’ascolto democratico come fattore di rinnovamento del Paese e della politica.

La partecipazione alla deliberazione è in sintonia con il piano di coinvolgimento democratico offerto dalle nuove tecnologie e previsto dall’Action Plan 2011-2015 dell’Agenda Digitale Europea. Infine, “Tu Parlamento” porta al cuore dello Stato un’attività deliberativa maturata nel nostro Paese già da alcuni anni e in corso in diverse regioni, dalla Lombardia al Lazio, dall’Emilia-Romagna alla Toscana. Sbarca a Roma con un importante messaggio: stabilire un canale di comunicazione tra il dentro e il fuori del Parlamento contribuendo a realizzare non tanto la democrazia partecipativa, ma quella rappresentativa vera e propria. E infatti uno degli aspetti di quest’ultima è la circolazione di informazioni e di idee tra eletti ed elettori per realizzare al meglio il controllo e l’autogoverno democratico, bloccando la trasformazione oligarchica che le elezioni possono facilitare.
Bisogna dare atto al gruppo di parlamentari che hanno istituito “Tu Parlamento” di aver avuto l’intelligenza di mettere in cantiere un modello di democrazia alternativo a quello plebiscitario. Un modello che riconosce l’esigenza di aprire al pluralismo e alla collegialità invece che affidarsi all’agglomerato di masse di cittadini identificati passivamente con un leader carismatico. La piattaforma partecipativa, ma meglio sarebbe dire comunicativa, propone una forma di azione democratica che è attenta alle opinione dei singoli e delle comunità locali, alla raccolta di informazioni da tutti i punti del Paese, all’apporto delle più diverse competenze; che infine impegna i parlamentari a porgere attenzione, ad ascoltare e soprattutto apprendere e decidere con più competenza. Invertendo l’abitudine a essere autoreferenziali e lontani dalla vita ordinaria delle persone.

Il dar vita a un’attività congiunta parlamento-cittadini fa pensare all’azione politica come a un agire collettivo che sia in grado di cogliere e capire la complessità, che non l’azzeri per coltivare il sogno di facili semplificazioni. La democrazia non è fatta di una massa di eguali che prende forma e voce grazie a un leader. È al contrario cooperazione anche conflittuale di diversi, perché liberi e uguali nei diritti; diversi che si accordano per cercare insieme la soluzione ai problemi che essi stessi sollevano e vogliono risolvere. Le società complesse hanno bisogno di democrazia perché devono poter fare affidamento sulla diversità delle opinioni e delle competenze, sullo scambio orizzontale invece che sul comando monocratico. Si tratta di uno stile di azione pubblica che diffida naturalmente dell’ideologia semplificatrice, un vangelo che dalle scienze economiche si vuole trasportare come su carta carbone alla politica. A dire il vero con poca saggezza, poiché anche chi un po’ mastica di teoria della scelta razionale sa che la diversità e la cooperazione sono un bene e un arricchimento, non un disturbo o un intoppo da superare. La democrazia è deliberazione tra diversi non semplicedecisionismo per una massa di identici.