sabato 18 maggio 2013

La morte di Videla il dittatore


videla

Ha rivendicato i 7mila omicidi politici (ne hanno stimati 30mila), ma è morto in carcere dopo la condanna per “furto di neonati” - Associato alla P2 di Gelli, che ripulì la sua immagine mediatica e diplomatica in Italia, ebbe l’appoggio di molti governi occidentali e (secondo lui) della Chiesa…

È morto a 87 anni in un carcere comune, senza privilegi; unica consolazione per i familiari di decine di migliaia di argentini morti o «desaparecidos», eufemismo che dicono avesse inventato lo stesso generale Jorge Rafael Videla, nella stolta speranza di far credere che uno scomparso fosse un forse vivo. Videla è stato il primo dei quattro dittatori che si sono alternati nella giunta militare che ha governato l'Argentina dal 1976 al 1983. Ma oltre ad aver tenuto il potere più a lungo, è stato il padre di tutta la tragedia: la guerra senza limiti agli oppositori, il terrore tra familiari e semplici vicini di casa dei «nemici», le tecniche per non lasciar tracce degli omicidi, come i cosiddetti voli della morte, dove si gettavano i corpi degli assassinati dagli aerei nel Río de la Plata; fino all'inarrivabile idea di togliere i neonati alle ragazze condannate alla morte, per darli in adozione alle famiglie amiche del regime. Ed è stato forse grazie a questo crimine unico nella storia delle dittature - i casi sarebbero oltre 300 - che la società argentina ha infine rifiutato l'amnistia che era stata concessa a Videla e complici a una manciata di anni dai fatti, e i processi sono stati riaperti, nei recenti governi di Néstor e Cristina Kirchner. Non importando grado o età anagrafica degli uomini alla sbarra. Videla si è spento ieri mattina, di morte naturale, nel penitenziario della città di Marcos Paz, sotto il peso delle condanne definitive e con altri processi ancora pendenti. La più significativa è proprio la sentenza sul furto di neonati, finalmente emessa nel luglio dello scorso anno: cinquant'anni di carcere per i 18 casi accertati ufficialmente. In precedenza, gli erano stati attribuiti altri omicidi di oppositori, mentre era ancora in corso il processo sul «Piano Condor», cioè l'accordo tra le dittature sudamericane dell'epoca per eliminare gli oppositori in modo coordinato. In quel periodo, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, lo sguardo hitleriano di Videla, la brillantina e il baffo folto sono l'immagine del pacchetto latinoamericano composto da ordine, anticomunismo, Dio, patria e famiglia quanto lo sono i Rayban di Augusto Pinochet o le pacchiane uniformi cariche di medaglie del paraguayano Alfredo Stroessner. Qualcosa che nel clima della Guerra fredda era tollerato e giustificato da una parte dell'Occidente, in nome dell'argine al comunismo. Per questo i militari argentini usavano eufemismi come «piano di riorganizzazione nazionale» per spiegare la sospensione della democrazia e le maniere spicce contro chi la pensava diversamente. Di Jorge Videla tocca anche ricordare la furbizia con la quale, nei primi anni al potere, riuscì a costruire dell'Argentina dei militari un'immagine «tollerabile», rispetto ad altre dittature. Il doppio comportamento dei governi italiani dell'epoca ne è un esempio: fummo intransigenti con i golpisti cileni (e aperti a ricevere perseguitati in fuga), ma accondiscendenti con Videla e i suoi compari, fino a rifiutare i rifugiati nelle nostre sedi diplomatiche. L'Italia ha storicamente un legame forte con l'Argentina, ma alla circostanza non può essere estraneo un particolare di rilievo, l'appartenenza di Videla e di altri generali argentini alla loggia P2 di Licio Gelli, e l'influenza di quest'ultima sulla nostra diplomazia e sui mezzi d'informazione. Tra i quali, purtroppo, lo stesso Corriere. Pochi trovarono sconveniente, per esempio, quella coppa consegnata da Videla a capitan Passarella, dopo la vittoria ai Mondiali di casa del 1978. Una foto che ben rappresenta il clima di finta normalità dell'epoca. L'idea che la dittatura argentina, per esempio, fosse meno feroce di quella cilena perdurò - totalmente infondata - fino alla pubblicazione dei rapporti al ritorno della democrazia. Il governo di Videla fu inoltre una catastrofe dal punto di vista economico. Nulla si salva dunque nella biografia di Videla se non, forse, una coerenza da militare. Per sfuggire ai processi non si è finto demente come Pinochet, né ha finito i suoi giorni in una villa di Brasilia ricattando gli ospiti, come Stroessner. In una clamorosa intervista rilasciata l'anno scorso, Videla ha ammesso e rivendicato tutto con orgoglio, compresi gli omicidi politici (ne calcola però 7.000, contro i 30.000 delle stime ufficiali). Sostenendo per esempio che l'intervento delle forze armate e i suoi metodi di azione contro i guerriglieri di sinistra erano stati concordati con varie forze politiche dell'epoca, compresi i peronisti al governo. Imbarazzanti alcune sue parole sulle relazioni con la Chiesa cattolica, definite «cordiali, sincere e aperte»: le gerarchie argentine, disse, non «ci diedero problemi, perché non avevano seguito le tendenze di sinistra e terzomondista di altre Chiese del continente». Da cui le polemiche recenti, nei giorni dell'elezione di papa Francesco, sui rapporti con l'allora capo dei gesuiti argentini Jorge Bergoglio. Si è però rivelata del tutto falsa una fotografia dove si vede un sacerdote di spalle che dà la comunione al devotissimo Videla. Quel prete non era l'attuale Papa.
Rocco Cotroneo per il "Corriere della Sera"

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