sabato 13 aprile 2013

Il benvenuto di “Noi Siamo Chiesa” a Francesco

Un mese fa il conclave eleggeva il Card. Jorge Mario Bergoglio a vescovo di Roma. Gli rinnoviamo il nostro primo benvenuto, quello  della sera del 13 marzo, con maggior convinzione e con sentimenti non formali. Il nostro è un atteggiamento ben diverso da quello che manifestammo il 19 aprile del 2005, quando fu eletto Benedetto XVI. Il messaggio che arrivava allora dal conclave ci appariva  di “chiusura, di rigidità dottrinale e pastorale ecc…”; la realtà ha purtroppo confermato quanto temevamo. Ora invece  Francesco, con il nome che si è scelto, con i primi gesti compiuti e le parole pronunciate, induce a coltivare nuovi sentimenti di speranza e di attesa fiduciosa. Questi sentimenti ora percorrono ovunque nel mondo il Popolo di Dio; non sappiamo se altrettanto possa dirsi per tante strutture ecclesiastiche. Anche molti esponenti di altre Chiese cristiane e di altre religioni, non credenti o diversamente credenti guardano  con  occhi di nuova simpatia a una Chiesa che, al vertice, sembra aver preso atto della crisi di credibilità di troppe sue situazioni, a partire dal Vaticano. Tanti di essi hanno avuto l’impressione che ci sia stato uno scatto di “consapevolezza evangelica” forte e non prevista; per i credenti la sensazione è quella di una vera illuminazione dello Spirito.

Inattesa e diversa  dalle ben note candidature “continuiste” da noi temute, l’elezione di Bergoglio si è presentata con i gesti semplici, misericordiosi e benevolenti di un pastore, ben differenti dalla pesantezza  delle precedenti liturgie monarchico-trionfalistiche  e dai  continui interventi sul relativismo e sul rapporto fede/ragione. Questi gesti sono proposti da Francesco come manifestazione di una Chiesa che deve uscire dalle sue autoreferenzialità  e che si propone di occuparsi delle “periferie esistenziali” e degli ultimi. Dobbiamo prendere poi atto che l’elezione di un arcivescovo latino-americano  è un esplicito messaggio che contraddice l’eurocentrismo precedente  ed è espressione evangelica di una Chiesa della periferia, che si propone come povera e dei poveri. Quello di Francesco è  l’atteggiamento pastorale e non dottrinale che auspicavamo da sempre. Così pure la sottolineatura di Bergoglio di essere vescovo di Roma che “presiede nella carità”, se gestita in modo coerente e continuativo, potrebbe avere grandi conseguenze, da una parte sul piano ecumenico, dall’altra a favore di una gestione più collegiale della Chiesa. Non ci è poi sfuggita la Lavanda dei piedi durante il triduo pasquale che, per la prima volta nella storia pontificia, il   nuovo vescovo di Roma  ha aperto anche a non cattolici e a due donne. Vogliamo leggere tale gesto in particolare come segno di un nuovo atteggiamento nei confronti delle donne e, di conseguenza, come auspicio per un salutare incremento della presenza femminile nei vari ministeri ecclesiali  e magari  anche in Vaticano.

Sarà  vera svolta? La aspettiamo, la speriamo, vogliamo contribuirvi.  Queste nostre attese e speranze – lo confessiamo apertamente – le coltiviamo con un animo sospeso e timoroso. Se  leggiamo le posizioni di Bergoglio come arcivescovo di Buenos Ayres, per alcuni aspetti ci troviamo in una posizione critica nei suoi confronti. Anche il fatto che, domenica 24 marzo, non abbia ricordato che quel giorno era l’anniversario del martirio di mons. Romero ci è dispiaciuto. Adesso comunque vogliamo guardare avanti, sperando di vedere realizzate le nostre attese e fugati  questi  nostri motivi di disagio.  In ogni caso, non vogliamo sopravvalutare i segnali positivi o, al contrario, sottovalutare le grandi resistenze che probabilmente si opporranno al possibile nuovo corso da parte di quelle ben consolidate posizioni curiali, culturali ed anche economiche che sono presenti nella Chiesa. Siamo anche consapevoli  delle forti pressioni esterne, che tenteranno di condizionare l’azione di Francesco.

E allora diciamo:
— dell’auspicato cambiamento  devono essere protagoniste le tante forze positive presenti nella nostra Chiesa, da tempo attive in un’azione  pastorale  inclusiva, nel sociale e in campo ecumenico. Questo Popolo di Dio, che si richiama soprattutto al Concilio Vaticano II, non dovrà essere più ostacolato da indebiti interventi, espressi o inespressi, di una struttura gerarchica che si impone spesso in modo del tutto autoritario;
—per fare un servizio alla Chiesa noi non potremo e non dovremo  stare zitti, ma continueremo a parlare se questo nuovo corso non nascerà o andrà troppo a rilento o si insabbierà. Continueremo a proporre  i nostri punti di vista con costanza, con un atteggiamento di ricerca e di servizio  ma anche con più speranze di prima di essere ascoltati;
—in una crisi economica così pesante in un contesto ormai globalizzato, l’atteggiamento generale dei credenti nell’Evangelo e dei pastori che li guidano deve diventare credibile, anche e soprattutto, per un impegno generalizzato nel mondo a favore della pace fondata sulla giustizia. Al riguardo  facciamo nostri i contenuti conclusivi dell’incontro di sabato 6 aprile a Roma,  promosso da movimenti e riviste di ispirazione “conciliare” sotto il nome di  “Chiesadituttichiesadeipoveri”, a 50 anni  da quando papa Giovanni firmò l’enciclica  Pacem in terris.

Infine, mentre rinnoviamo al nostro fratello Francesco  il nostro abbraccio beneaugurante e le nostre preghiere per il suo ministero, gli rivolgiamo un’esplicita richiesta: si riapra il dialogo con tanta teologia contemporanea, cancellando tutte le interdizioni, proibizioni ed esclusioni che, nel corso degli anni, hanno colpito teologi e pastori che hanno cercato vie nuove per capire e proporre l’Evangelo. Si realizzi da subito  un vero e proprio “anno sabbatico”, un evento di liberazione e di profonda riconciliazione intraecclesiale. La Chiesa, in cammino con il suo vescovo di Roma, ne trarrà grande giovamento.

NOI SIAMO CHIESARoma, 13 aprile 2013


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