venerdì 19 aprile 2013

Ciotti: la speranza non è in vendita

Uscire dalla crisi significa riscoprire per chi e per cosa vivere: i progetti, gli obiettivi, le aspirazioni che rendono la vita personale degna di essere vissuta e quella collettiva generatrice di speranza e di futuro. Significa ridare valore ai rapporti sociali e all’etica della corresponsabilità, e al tempo stesso restituire alla politica la trasparenza e la visione, senza le quali si riduce ad opportunità di far carriera in modo ambiguo e subalterno. Significa ridare un nome e una dignità alle persone più deboli e meno tutelate – le donne, gli anziani, gli immigrati, i disoccupati, le persone segnate da una qualche fragilità – messe ai margini, mercificate o colpevolizzate da un sistema che ha predicato la disuguaglianza come una sconfitta personale e sociale a cui è impossibile sottrarsi. Significa ridurre le distanze non solo economiche ma sociali, dando a ciascuno la possibilità di sviluppare i propri talenti e di vederli riconosciuti. Significa rompere i monopoli, i privilegi e le corporazioni che impediscono all’economia di servire alla collettività e alle persone di vivere non schiacciate dalle logiche del profitto. Significa ristabilire la demarcazione fra il pubblico e il privato per impedire che beni comuni ed essenziali, come l’acqua, vengano mercificati. Significa assumere il rispetto dell’ambiente e delle altre specie viventi come il paradigma di un nuovo umanesimo, ecologico e solidale. Significa restituire tutela e dignità al lavoro, attraverso politiche che mettano soprattutto i giovani nelle condizioni di vivere ciò che hanno imparato, perché è quello che essi chiedono. Significa promuovere la cultura come il bene più importante, perché il materiale e lo spirituale sono complementari, e pienamente umani sono solo quei contesti capaci di liberare dai bisogni e al tempo stesso di nutrire i bisogni di conoscenza e di libertà che ci realizzano come persone. Significa non rinchiudersi negli egoismi nazionali, diventare davvero cittadini del mondo, cogliere che i problemi di chi sta peggio di noi sono i nostri problemi, lanciare ponti verso tutti i popoli, le religioni, le culture, respingendo la logica secondo cui le controversie internazionali si risolvono con le guerre (che sono sempre operazioni di morte e non di vita). Significa, in ultima anlaisi, lasciarsi alle spalle la “società dell’io”: una società virtuale, dominata dalla superficialità, dal ciniscmo e dall’indifferenza. Società che ha sostituito il pensiero complesso delle “cose pubbliche” con quello sbrigativo di un mercato che spaccia il superfluo come essenziale, inducendo il consumatore a credere che nell’apparire, nel possedere e nell’esibire possa esaurirsi il senso di un’esistenza. 

Luigi Ciotti, La speranza non è in vendita

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