lunedì 23 dicembre 2013

Sempre meno giustizia per chi non ha soldi

Non se ne è parlato molto, ma nella nuova legge di stabilità sono state introdotte, e già approvate al Senato, alcune importanti variazioni economiche anche in materia di giustizia: innanzitutto la riduzione di un 30% dei compensi per i difensori (ma anche per i consulenti tecnici, gli ausiliari e gli investigatori autorizzati) dei soggetti ammessi al cosiddetto “gratuito patrocinio”. Le spettanze che possono essere liquidate per la difesa dei soggetti non abbienti, già ridotte perchè calcolate in base ai valori medi e decurtate del 50% subiscono così un'ulteriore dratica riduzione. Gli effetti sono facilmente prevedibili: sempre meno avvocati, consulenti, investigatori privati si renderanno disponibili a difendere chi si trova nelle condizioni per accedere al patrocinio a spese dello stato; si parla di persone che possono vantare il non invidiabile primato di percepire un reddito lordo di poco più di 10.000 euro di reddito l'anno. Sempre meno difesa per chi non può, sempre meno garanzie, sempre meno diritti. Verso il basso, ovviamente.
Dal punto di vista dell'avvocatura, ovviamente, questa ulteriore riduzione dei compensi (che vengono materialmente erogati, lo ricordiamo per i profani, dopo qualche anno dalla conclusione dei procedimenti) rende la remunerazione di questa attività difensiva inferiore ad ogni limite dignitoso. Se lo Stato per difendere un poveraccio ti paga meno di un quarto di una parcella media quanti saranno i professionisti seri ad accettare la mancetta posticipata di alcuni anni dal lavoro svolto ? Altro che dignità della professione forense, altro che diritto alla difesa, altro che importanza del ruolo professionale...
Altre disposizioni contenute sempre nella legge di stabilità (art. 18 commi da 15 a 20) introducono un contributo obbligatorio per l'ammissione all'esame per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato e per l'iscrizione all'Albo dei Cassazionisti, ma anche per i concorsi abilitativi alle altre professioni (notai e magistrati). Ed è già pure previsto che tale contributo ogni tre anni venga aumentato in base agli indici Istat.
Aumentano poi i costi di notifica e, last but not least, viene chiarito che, in caso di ricorsi con i quali vengono impuganti più atti, il contributo unificato va conteggiato in relazione ad ogni singolo atto impugnato, anche in grado d'appello. Si tratta, tipicamente, dei ricorsi in materia amministrativa, in cui è ordinario impugnare l'atto principale unitamente ai presupposti. Quando si pensa che il contributo unificato, in queste materie, è normalmente di 600 euro, ben si comprende che la giustizia amministrativa diventa veramente un lusso per pochi.
Come Giuristi Democratici riteniamo intollerabile questo continuo attacco alla giustizia sostanziale operata sempre verso il basso, a scapito dei soggetti più deboli che incappano nel sistema giustizia o che al sistema giustizia non possono accedere. Pensiamo cosa significa l'applicazione di questi tagli in danno delle migliaia di detenuti prodotto delle leggi criminogene di cui la legislazione ha fatto autentico abuso in questi anni, in materia di stupefacenti, in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, in materia di recidiva. Pensiamo cosa significano questi aumenti per le centinaia di comitati di cittadini che si muovono contro grandi e piccole opere devastanti nei territori.
Non possiamo quindi che esprimere una profonda e ragionata avvesità alle misure economiche che il governo vuol mettere in campo nel settore giustizia e chiedere la cassazione senza rinvio di queste disposizioni, che rappresentano un vero e proprio attentato al diritto di giustizia dei cittadini meno abbienti.
Giuristi Democratici
Torino, Roma, Napoli, Bologna, Padova, 18 dicembre 2013

venerdì 20 dicembre 2013

Sinodo della Famiglia e consultazioni


La Comunità di Santa Monica in Torino sta riflettendo in questi giorni sugli stimoli proposti dal documento preparatorio il prossimo Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia; per dare un contributo a che possa diventare Sinodo DELLE Famiglie, nel solco dell'auspicio conciliare, sta circolando un adattamento al Questionario "ufficiale" vaticano, mutuato dal lavoro proposto dai vescovi svizzeri che trovate QUI nella sua versione informatizzata.
Invitiamo a leggerne storia e motivazioni (oltre a recepirne i rilievi critici) in calce, e a contribuire alla diffusione capillare su tutto il territorio italiano, ovviamente in parallelo all'esaustivo ma impegnativo (ed ampolloso) documento originale.
Grazie!
La redazione

La Conferenza Episcopale Svizzera ha proposto ai suoi fedeli un “riassunto” del questionario per il Sinodo della Famiglia che il Vaticano ha pubblicato nel mese di ottobre.
La Conferenza Episcopale lo propone come “alternativa” a quello proposto dal Vaticano (vedi infra). Nella neutrale e democratica Svizzera, al questionario possono rispondere tutti, sia cattolici che non, sposati, divorziati, musulmani e non credenti. Tutti hanno voce in capitolo.
Infatti, la Commissione per la programmazione pastorale, responsabile di raccogliere le risposte al questionario, spera di riceverle nelle prime settimane di dicembre di questo anno, in modo che le risposte possano essere presentate al Vaticano nel mese di gennaio.
Nel questionario si leggono domande del tipo: “vi augurate che la Chiesa riconosca e benedica le coppie omosessuali” o “le coppie divorziate” o si definisce come “rito religioso” la preghierina prima di andare al letto. Purtroppo non si accenna neanche alla partecipazione da parte dei figli alla messa domenicale insieme ai genitori.
In Svizzera non esiste una vera e propria pastorale familiare e a queste domande possono rispondere molti che neanche partecipano alla vita della Chiesa. Il sostegno alle famiglie possiamo dire “tradizionali” è minimo, specialmente nei cantoni di lingua tedesca. Neanche la Conferenza Episcopale ha una commissione dedicata  alla pastorale familiare, come in altri paesi.
La situazione delle famiglie cattoliche in Svizzera è  quanto meno allarmante. Quasi un milione dei sette che comportano la Confederazione Svizzera abitano da soli, e lo 0,6% delle famiglie ha figli, secondo una statistica del 2011. In questo contesto, la Chiesa Svizzera si preoccupa del matrimonio degli omosessuali e dei divorziati, ma non sulle coppie giovani che hanno bisogno di un sostegno spirituale per la loro vita di coppia.
Davanti a questa situazione, le famiglie cristiane si pongono varie domande. Perché non offrire un’altra alternativa ai giovani? Perché  la Chiesa deve riflettere sulle coppie divorziate e non fa una vera pastorale giovanile e matrimoniale, in modo che i giovani possono capire l’importanza del Sacramento prima di sposarsi? Ai  giovani svizzeri non serve la “approvazione “ della Chiesa per coabitare o per divorziare,  ma una alternativa, una educazione per la affettività della coppia e per l’importanza del Sacramento.
Inoltre, in nessuno dei due questionari, sia quello ufficiale del Vaticano, sia quello della Chiesa Svizzera, si fa accenno alla necessità della cura dei anziani e all’importanza dei nonni nella famiglia, principali comunicatori della fede nelle famiglie come ricorda spesso il Papa.
Davanti a questi fatti, i vescovi svizzeri porteranno al Sinodo delle risposte piuttosto sorprendenti, dentro della linea “progressista” che la Chiesa Svizzera porta avanti da alcuni anni. Una Chiesa preoccupata dai poveri e delle vocazioni, certamente, ma persa nella struttura e dominata dai “lavoratori” laici. Come diceva Benedetto XVI in Germania: “per corrispondere al suo vero compito, la Chiesa deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi da questa sua secolarizzazione e diventare nuovamente aperta verso Dio”.
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Raniero La Valle spiega l’importanza assoluta della consultazione sulle 38 domande per il sinodo sulla famiglia

LA SVOLTA

Fu Pio XII che per primo fece un timidissimo accenno a un’opinione pubblica nella Chiesa, alludendo a una qualche voce in capitolo dei fedeli, ma la cosa non ebbe alcun seguito. Arrivò poi il Concilio, e la parola la diede ai vescovi, ma poi fu tolta anche
a loro: Paolo VI decise da solo sulla contraccezione e ne blindò il divieto nella “Humanae vitae”, e poi si inventò un Sinodo dei vescovi senza alcun potere, senza collegialità e con i dibattiti tenuti segreti, e riservati al buon uso del papa. Così per cinquant’anni la grande idea riformatrice del Concilio di una Chiesa identificata col popolo di Dio e governata dal papa e dai vescovi in comunione con lui è rimasta lettera morta, e non a caso la compagine cattolica è giunta alla crisi devastante che ha portato alle dimissioni di Benedetto XVI.
Ed ecco che ora riappare il popolo di Dio nella sua identificazione con la Chiesa, a lui sono rivolte 38 domande e si innesca un grandioso processo sinodale e collegiale che dalla attuale consultazione dei fedeli (ma anche, se vogliono, degli infedeli) giungerà fino al Sinodo straordinario del 2014, dedicato ai problemi più urgenti, e a quello ordinario del 2015, in cui si prenderanno determinazioni pastorali ed evangeliche più mature e a lungo termine riguardanti cruciali problemi della vita umana sulla terra.
È la svolta che ci si aspettava da papa Francesco, dopo le grandi parole da lui dette nei primi sette mesi di pontificato, da cui già si poteva capire quale sarebbe stato il cammino. Come il Concilio, evento altrettanto innovatore, il processo sinodale e collegiale oggi avviato ha la finalità di un annuncio della fede in quei modi “che la nostra età esige” (un’età in cui è mutata l’autocomprensione dell’uomo), ma ha esteso la platea dei chiamati a prendere la parola per dire quali sono le esigenze che la nostra età pone alla fede.
Dal punto di vista teologico sono chiari i fondamenti di questa svolta: la fede trasmessa dagli apostoli è anche la fede degli uomini della “cerchia degli apostoli”, di cui parla il Concilio, ovvero la fede dei discepoli che attraverso una ininterrotta successione di secoli, tramandata e arricchita dalla universalità dei fedeli, è giunta fino a noi. È giusto quindi che ad essere interrogati sui problemi della sopravvivenza della fede nel nostro tempo non siano solo i successori degli apostoli ma anche i discepoli e, come destinatari dell’annuncio, anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Se se ne vuole trovare un indizio nelle precedenti esternazioni di papa Francesco, si può trovare nell’osservazione da lui fatta nelle omelie a Santa Marta, riguardo a quelle comunità cristiane del Giappone che nel XVII secolo, dopo la cacciata dei missionari stranieri, erano rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni. “Ma quando dopo questo tempo sono tornati di nuovo altri missionari, hanno trovato tutte le comunità a posto: tutti battezzati, tutti catechizzati, tutti sposati in chiesa, e quelli che erano morti, tutti sepolti cristianamente. Non c’erano preti. E chi aveva fatto tutto questo? I semplici battezzati!”.
Nell’intervista alla Civiltà Cattolica, ricordando il “sentire cum Ecclesia” di S. Ignazio, Francesco ha spiegato che «il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere… Non è dunque un sentire riferito ai teologi». Poi ha chiarito che questo non significa dimenticare “la santa madre Chiesa gerarchica”, ma ha sottolineato: «Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune”. Ed è per questo che Francesco ha detto più volte che i vescovi non devono stare soltanto davanti o in mezzo al gregge, ma anche dietro al gregge, perché c’è “un fiuto del gregge” e spesso è lui ad aprire il cammino e a indicare nuove strade.
Questa è la ragione della consultazione indetta da papa Francesco per tutta la Chiesa. Durante il Concilio i moderatori proposero ai vescovi quattro domande per sapere cosa ne pensavano della collegialità, dell’episcopato, del diaconato e di altri problemi interni alla Chiesa, e sulle risposte impostare i documenti. Successe un putiferio, ma così il Concilio prese la sua strada. Oggi le domande sono 38, perché le questioni da dirimere sulla terra sono ancora di più di quelle da dirimere nella Chiesa, e le domande sono rivolte a tutti. Non è populismo, né demagogia, né democrazia; è che la salvezza, come canta la liturgia del Natale, scende dall’alto ma anche germina dalla terra, è che il popolo di Dio, come diceva la Lumen Gentium, nell’aderire alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte “con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita”. Per questo ad essere interpellati sono i membri del gregge, perché il gregge è diventato un popolo, e anche il pastore ora se n’è accorto; e se nel popolo “cresce la speranza, si moltiplicano anche le energie”come ha detto il papa al Quirinale. Allora, per favore, rispondiamo.

Da “Rocca”, novembre 2013 Raniero La Valle

IL QUESTIONARIO

Qui sotto il questionario che hanno ricevuto i vescovi di tutto il mondo allegato al documento preparatorio del Sinodo sulla famiglia che si terrà in Vaticano nel mese di ottobre 2014. I vescovi sono stati invitati anche a consultare su queste domande associazioni, movimenti e gruppi. Cosa ne pensate? Su alcune questioni fondamentali si potrebbe pensare anche di redigere delle risposte, raccogliere adesioni e inoltrarle ai nostri rispettivi vescovi.
Le seguenti domande permettono alle Chiese particolari di partecipare attivamente alla preparazione del Sinodo Straordinario, che ha lo scopo di annunciare il Vangelo nelle sfide pastorali di oggi circa la famiglia.

1 - Sulla diffusione della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa riguardante la famiglia
a) Qual è la reale conoscenza degli insegnamenti della Bibbia, della “Gaudium et spes”, della “Familiaris consortio” e di altri documenti del Magistero postconcilare sul valore della famiglia secondo la Chiesa Cattolica? Come i nostri fedeli vengono formati alla vita familiare secondo l’insegnamento della Chiesa?
b) Dove l’insegnamento della Chiesa è conosciuto, è integralmente accettato? Si verificano difficoltà nel metterlo in pratica? Quali?
c) Come l’insegnamento della Chiesa viene diffuso nel contesto dei programmi pastorali a livello nazionale, diocesano e parrocchiale? Quale catechesi si fa sulla famiglia?
d) In quale misura – e in particolari su quali aspetti – tale insegnamento è realmente conosciuto, accettato, rifiutato e/o criticato in ambienti extra ecclesiali? Quali sono i fattori culturali che ostacolano la piena ricezione dell’insegnamento della Chiesa sulla famiglia?

2 - Sul matrimonio secondo la legge naturale
a) Quale posto occupa il concetto di legge naturale nella cultura civile, sia a livello istituzionale, educativo e accademico, sia a livello popolare? Quali visioni
dell’antropologia sono sottese a questo dibattito sul fondamento naturale della famiglia?
b) Il concetto di legge naturale in relazione all’unione tra l’uomo e la donna è comunemente accettato in quanto tale da parte dei battezzati in generale?
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c) Come viene contestata nella prassi e nella teoria la legge naturale sull’unione tra l’uomo e la donna in vista della formazione di una famiglia? Come viene proposta e approfondita negli organismi civili ed ecclesiali?
d) Se richiedono la celebrazione del matrimonio battezzati non praticanti o che si dichiarino non credenti, come affrontare le sfide pastorali che ne conseguono?

3 - La pastorale della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione
a) Quali sono le esperienze nate negli ultimi decenni in ordine alla preparazione al matrimonio? Come si è cercato di stimolare il compito di evangelizzazione degli sposi e della famiglia? Come promuovere la coscienza della famiglia come “Chiesa domestica”?
b) Si è riusciti a proporre stili di preghiera in famiglia che riescano a resistere alla complessità della vita e della cultura attuale?
c) Nell’attuale situazione di crisi tra le generazioni, come le famiglie cristiane hanno saputo realizzare la propria vocazione di trasmissione della fede?
d) In che modo le Chiese locali e i movimenti di spiritualità familiare hanno saputo creare percorsi esemplari?
e) Qual è l’apporto specifico che coppie e famiglie sono riuscite a dare in ordine alla diffusione di una visione integrale della coppia e della famiglia cristiana credibile oggi?
f) Quale attenzione pastorale la Chiesa ha mostrato per sostenere il cammino delle coppie in formazione e delle coppie in crisi?

4 - Sulla pastorale per far fronte ad alcune situazioni matrimoniali difficili
a) La convivenza ad experimentum è una realtà pastorale rilevante nella Chiesa particolare?
In quale percentuale si potrebbe stimare numericamente?
b) Esistono unioni libere di fatto, senza riconoscimento né religioso né civile? Vi sono dati statistici affidabili?
c) I separati e i divorziati risposati sono una realtà pastorale rilevante nella Chiesa particolare? In quale percentuale si potrebbe stimare numericamente? Come si fa fronte a questa realtà attraverso programmi pastorali adatti?
d) In tutti questi casi: come vivono i battezzati la loro irregolarità? Ne sono consapevoli? Manifestano semplicemente indifferenza? Si sentono emarginati e vivono con sofferenza l’impossibilità di ricevere i sacramenti?
e) Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono alla Chiesa a proposito dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione? Tra le persone che si trovano in queste situazioni, quante chiedono questi sacramenti?
f) Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali forme?
g) Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come si svolge tale attività pastorale? Esistono programmi al riguardo a livello nazionale e diocesano? Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della Chiesa al loro cammino di fede?

5 - Sulle unioni di persone della stesso sesso
a) Esiste nel vostro paese una legge civile di riconoscimento delle unioni di persone dello stesso sesso equiparate in qualche modo al matrimonio?
b) Quale è l’atteggiamento delle Chiese particolari e locali sia di fronte allo Stato civile promotore di unioni civili tra persone dello stesso sesso, sia di fronte alle persone coinvolte in questo tipo di unione?
c) Quale attenzione pastorale è possibile avere nei confronti delle persone che hanno scelto di vivere secondo questo tipo di unioni?
d) Nel caso di unioni di persone dello stesso sesso che abbiano adottato bambini come comportarsi pastoralmente in vista della trasmissione della fede?

6 - Sull’educazione dei figli in seno alle situazioni di matrimoni irregolari
a) Qual è in questi casi la proporzione stimata di bambini e adolescenti in relazione ai bambini nati e cresciuti in famiglie regolarmente costituite?
b) Con quale atteggiamento i genitori si rivolgono alla Chiesa? Che cosa chiedono? Solo i sacramenti o anche la catechesi e l’insegnamento in generale della religione?
c) Come le Chiese particolari vanno incontro alla necessità dei genitori di questi bambini di offrire un’educazione cristiana ai propri figli?
d) Come si svolge la pratica sacramentale in questi casi: la preparazione, l’amministrazione del sacramento e l’accompagnamento?

7 - Sull’apertura degli sposi alla vita
a) Qual è la reale conoscenza che i cristiani hanno della dottrina della Humanae vitae sulla paternità responsabile? Quale coscienza si ha della valutazione morale dei differenti metodi di regolazione delle nascite? Quali approfondimenti potrebbero essere suggeriti in materia dal punto di vista pastorale?
b) È accettata tale dottrina morale? Quali sono gli aspetti più problematici che rendono difficoltosa l’accettazione nella grande maggioranza delle coppie?
c) Quali metodi naturali vengono promossi da parte delle Chiese particolari per aiutare i coniugi a mettere in pratica la dottrina dell’Humanae vitae?
d) Qual è l’esperienza riguardo a questo tema nella prassi del sacramento della penitenza e
nella partecipazione all’eucaristia?
e) Quali contrasti si evidenziano tra la dottrina della Chiesa e l’educazione civile al riguardo? f) Come promuovere una mentalità maggiormente aperta alla natalità? Come favorire la crescita delle nascite?

8 - Sul rapporto tra la famiglia e persona
a) Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione dell’uomo: la famiglia
è un luogo privilegiato perché questo avvenga?
b) Quali situazioni critiche della famiglia nel mondo odierno possono diventare un ostacolo all’incontro della persona con Cristo?
c) In quale misura le crisi di fede che le persone possono attraversare incidono nella vita familiare?

9 - Altre sfide e proposte
Ci sono altre sfide e proposte riguardo ai temi trattati in questo questionario, avvertite come urgenti o utili da parte dei destinatari?
  
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giovedì 19 dicembre 2013

Interventi civili di pace

In Commissione Bilancio della Camera dei deputati è passato un emendamento della legge di stabilità che istituisce i corpi civili di pace, con un finanziamento di nove milioni di euro per tre anni. Questa novità rappresenta un primo passo storico per i movimenti pacifisti che da anni lavorano per il riconoscimento degli interventi civili in situazione di conflitto, vera alternativa all’interventismo militare degli eserciti.
di Giulio Marcon*
Nella legge di stabilità 2014-2016, grazie ad un emendamento di Sel, si istituisce un contingente di corpi civili di pace. Si tratta di un finanziamento di 9 milioni “destinati alla formazione e alla sperimentazione della presenza di cinquecento giovani volontari da impegnare in azioni di pace non governativa nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto”. Il finanziamento viene agganciato alla legge sul servizio civile nazionale e in particolare all’articolo 12 che regola il servizio civile all’estero. Non esiste in Italia una legge sui “corpi civili di pace” e l’unico modo per dare vita a questa esperienza era quella di agganciarla a una legge esistente, quella del servizio civile nazionale.
Questa misura raccoglie la spinta di tante esperienze – anche molto diverse tra di loro – che si sono realizzate in questi anni: da quella storica delle peace brigades ai caschi bianchi, dalle iniziative di interposizione nelle aree di conflitto al più recente tavolo per gli interventi civili di pace. Migliaia di giovani e volontari che si sono impegnati in prima persona e hanno anche rischiato la vita in ex Jugoslavia, in Iraq, in Medio Oriente, in Afghanistan. Molti anni fa Alex Langer riuscì ad ottenere l’approvazione di una risoluzione da parte del Parlamento europeo che chiedeva l’istituzione di corpi di pace in Europa.
Eravamo nella prima metà degli anni ’90, nel pieno delle guerre della ex Jugoslavia. Migliaia di persone si recavano a Sarajevo, a Mostar e nelle altre città jugoslave a portare aiuti alle vittime, a soccorrere e accogliere i profughi, a ricostruire le città distrutte. E soprattutto a promuovere iniziative di riconciliazione, di diplomazia dal basso, di sostegno alle forze antinazionaliste. Era la sperimentazione di una presenza nonviolenta e di pace alternativa all’interventismo militare degli eserciti.
L’idea di corpi civili di pace è quanto mai attuale. Soprattutto in un momento in cui la guerra e gli interventismi militari sono stati purtroppo rilegittimati come strumenti ordinari della politica estera e della governance – si fa per dire – delle relazioni internazionali. I corpi civili di pace ci indicano una strada alternativa: che si può intervenire nei conflitti con gli strumenti della nonviolenza, promuovendo azioni concrete come la interposizione e la riconciliazione tra le parti in conflitto.
E’ un’idea diversa di sicurezza, che si costruisce e si condivide insieme e non con la minaccia delle armi. Speriamo che questa nuova iniziativa che parte non sia travolta dalla burocrazia ministeriale, ma abbia la possibilità di svilupparsi fondandosi sul protagonismo e l’autonomia delle associazioni e dei movimenti. E’ dalla linfa della società civile che i corpi civili di pace possono trarre la forza per costruire una vera alternativa di pace alla “soluzione” violenta dei conflitti.
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* deputato indipendente di Sel, è stato tra i promotori della campagna Sbilanciamoci! (autore di alcuni libri, tra cui Fare pace. Jugoslavia, Iraq, Medio Oriente: culture politiche e pratiche del pacifismo italiano dopo il 1989, Edizioni dell’Asino, e Come fare politica senza entrare in un partito, Feltrinelli)

martedì 17 dicembre 2013

Cile: torna la presidenta, più sola e più forte

Rieletta, domenica scorsa, alla presidenza cilena, con il 62% dei voti Michèlle Bachelet deve la vittoria alle promesse di giustizia sociale.

Michèlle Bachelet:
“Sono fiera di essere la presidente eletta. Sono orgogliosa del Paese che abbiamo costruito , ma sono ancora più fiera del Paese che costruiremo insieme”.
La crescita del Paese è forte, l’anno prossimo dovrebbe situarsi intorno al 4 e al 5%. Altro dato importante è la forte disuguaglianza tra ricchi e poveri, la più ampia tra i Paesi dell’OSCE.
 
Lei, Michèlle Bachelet, intende agire subito su tre fronti:
Inanzitutto, rendere l’istruzione gratuita, grande rivendicazione della “pantera” cilena dal 2011.
Oggi, solo i ricchi possono permettersi di pagare i corsi preparativi per accedere alle università pubbliche più prestigiose.
Per finanziare questa riforma, la presidenta vuole chiedere un contributo al mondo imprenditorile, cui imporrà un aumento del 5% dell’imposta sulle società che passa dal 20 al 25%.
La Bachelet vuole inoltre riformare la costituzione ereditata dalla dittatura di Pinochet, così da introdurre una maggiore rappresentatività nel sistema politico.
Programmi e promesse che comunque hanno lasciato più della metà dei cileni scettici. A conferma la forte astensione, il 58% degli elettori non è andato a votare al secondo turno.
Nel caso le buone intenzioni siano dimenticate, gli studenti manifesteranno il 15 marzo, quattro giorni dopo il giuramento della Bachelet.

Beatriz Beiras, euronews:
-Per analizzare il successo elettorale di Michèlle Bachelet, abbiamo interpellato dal Cile, Marta Lagos, analista politica e direttrice nonché fondatrice di Corporation Latinobarometro.
Nell’intervista del 17 novembre, per commentare l’esito del primo turno, lei ci aveva detto che il grande problema del secondo sarebbe stata l’astensione, è stato così, no?
Marta Lagos, Corporation Latinobarometro:
“Si effettivamente, il 58 % di cileni non ha votato.
7,8 milioni su 13 milioni e mezzo hanno votato. Per la prima volta nella storia del Cile sono andati a votare meno elettori di quanti sono attesi per le elezioni municipali. Si tratta di una grande sconfitta della politica, è cambiata la legge, il voto non è più obbligatorio.
L’idea era di mobilitare gli elettori, il risultato avuto è stato esattamente il contrario”.
- Come interpreta questo disinteresse dei cileni verso la politica, è sorpresa?
“No, non mi sorprende.
Perché innanzitutto il sistema rappresentativo è carente, è un sistema binominale che obbliga a formare coalizioni. I cileni ne hanno abbastanza di avere due coalizioni e ieri quello che hanno voluto dire è: non vogliamo più le coalizioni, vogliamo elezioni con una politica competitiva, dove i partiti dicono ciò che devono dire senza dover tener conto di quello che dice il parito di coalizione. Così invece il singolo candidato non può differenziarsi troppo. L’elettore però non è stupido e ieri ha praticato l’estrema unzione a questo sistema.
In più c‘è l’aggravante del voto volontario.
Il voto, o meglio il non voto di ieri, non è un rifiuto della politica tour court, è un rifiuto al modo oggi in cui si fa politica”.
-Si dice che il Cile abbia un’ economia sana e forte, ma l’ineguaglianza è il suo tallone d’Achille, l’educazione e l’accesso all’istruzione è alla base di quest’ineguaglianza, perché?
“In Cile, il salario medio per abitante è di 20 mila dollari, ma come si dice il “per abitante, non vuol dire niente. Se ci rechiamo nel sud del Paese, il salario medio è di 7000 dollari. Quando parliamo del successo del Cile parliamo del 35% della popolazione.
Il restante 65% non percepisce 20 mila dollari per abitante, per loro solo una minoranza ha un salario decente. È in questo senso che bisogna agire per ridurre l’ineguaglianza”.
- Per concludere, Marta, che presidente sarà Michèle Bachelet questa volta?
“Sarà diversa rispetto alla sua precedente esperienza.
La scorsa volta è arrivata alla presidenza senza poter contare sull’appoggio del partito. I baroni della politica cilena l’avevano ignorata in un certo modo, dicevano che non era abbastanza competente, che danzava durante la campagna, sorrideva troppo e lei ha avuto molti problemi per governare insieme al suo partito.
La situazione oggi è capovolta. La Bachelet prima aveva bisogno del partito, adesso sono i partiti che hanno bisogno di lei. Nel suo discorso ieri non ha parlato dei partiti, il messaggio che ha inviato è piuttosto:io ci sono, e sono io che vi chiamerò, non c‘è posto nella foto per voi, il successo è completamente mio”.
Arriva al governo con una posizione di forza, anche in seno alla propria coalizione, cosa che non si è verificato nello scorso mandato”.


Le cifre della vergogna

I ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri

Il Credit Suisse e la Croce Rossa hanno pubblicato recentemente due diversi rapporti a dir poco sconcertanti.
Il primo fa un bilancio statistico della ricchezza mondiale. Ci informa che "dal 2000 è più che raddoppiata, raggiungendo un nuovo record storico di 241'000 miliardi di dollari".
Il secondo dal canto suo illustra "conseguenze umanitarie della crisi economica in Europa" (sono 42 paesi i analizzati nell'Unione europea, nei Balcani, nell'Europa orientale). Dimostra con precisione che "nei 22 paesi presi in considerazione, il numero di persone che dipendono dalle distribuzioni alimentari della Croce Rosa è aumentato del 75% tra il 2009 e il 2012".
Ed ecco alcune cifre sulle quali vale la pena di avviare una seria riflessione:

ll 46% del patrimonio mondiale si trova nelle mani dell'1% dei nuclei famigliari
La ricchezza mondiale è cresciuta del 4,9% tra la metà del 2012 e la metà del 2013 – il periodo esaminato dal Credit Suisse - e del 68% in questi ultimi 10 anni.
La percentuale più ricca dei nuclei famigliari ha inizio a partire da una fortuna di 753'000 dollari (557'000 Euro) e accumula il 46% del patrimonio mondiale – la cifra è in aumento; mentre i due terzi delle famiglie, il cui patrimonio resta stabile, rappresenta solamente il 3% della ricchezza globale.
Occorre avere un patrimonio di 4'000 dollari (circa 3'000 euro) per essere nella metà più ricca del pianeta, e di 75'000 dollari (55'500 euro) per essere tra il 10% più ricco.

Il 25% dei lavoratori poveri si trova in Germania
La Croce Rossa rileva che il numero dei salariati tedeschi che non possono far fronte ai loro bisogni è in continuo aumento: un quarto di costoro ha salari troppo bassi – l'ammontare non viene precisato ed in Germania non esiste salario minimo legale.
In Germania, più della metà dei contratti stipulati dal 2008 sono contratti a breve termine, che non danno diritto alle prestazioni della sicurezza sociale. 1,3 milioni di lavoratori non possono provvedere ai loro bisogni.
Uno studio della Fondazione Bertelsmann, pubblicato nel dicembre 2012, mostra che la classe media è passata dal 65% della popolazione nel 1997 al 58% quindici anni più tardi:
- 5,5 milioni di Tedeschi sono diventati "poveri";
- 500'000 sono diventati "ricchi".
In tutta Europa, "la Croce Rossa segnala un numero importante di "nuovi poveri", di persone che lavorano ma alla fine del mese non possono far fronte ai loro bisogni primari e devono scegliere tra comprare il cibo o pagare l'affitto".

31 milioni: è il numero dei milionari in dollari
Il numero dei milionari in dollari non è mai stato così alto:
- 14 milioni negli Stati Uniti;
- 10 milioni in Europa;
- 6,5 milioni in Asia e nel Pacifico.
Tra i quasi 100'000 super ricchi con un capitale superiore ai 50 milioni di dollari (37 milioni di euro), circa la metà vive negli Stati Uniti. La Cina è poco distante, prima della Germania, della Gran Bretagna, della Francia e del Giappone.
L'economia attuale favorisce l'accumulazione del capitale: tanto che la ricchezza mondiale è cresciuta dal 4%, il numero dei milionari è aumentato del 6,1 % e il numero dei super ricchi più del 10%.

In Europa vi sono cinque paesi nei quali la disoccupazione dei giovani supera il 50%
Bosnia, Macedonia, Serbia, Spagna, Grecia: nel 2012, in tutti questi paesi, più di un giovane su due, tra i 15 e i 24 anni e in grado di lavorare, era disoccupato. La cifra è esplosa nei tre anni immediatamente precedenti, durante la crisi.
Nell'Europa dell'Est, la disoccupazione giovanile, già alta prima della crisi, ha raggiunto livelli allarmanti. E' raddoppiata in Croazia, nella Repubblica Ceca, in Polonia e nei paesi baltici.
Il rapporto delle Croce Rossa denuncia i regimi di austerità che "aumentano la povertà, mentre gli altri continenti riescono a ridurla con successo".
"Le conseguenze a lungo termine di questa crisi non si conoscono ancora. Per decenni si subiranno i problemi accumulati anche se l'economia in un prossimo futuro migliorerà [...] Ci chiediamo se, come continente, comprendiamo veramente a cosa andiamo incontro".

La Francia occupa il 7° posto nella classifica dei più grandi patrimoni medi
Grazie al valore degli immobili (soprattutto parigini) il patrimonio medio francese è molto elevato: 296'000 dollari, 219'000 euro, Maggiore che in Germania, o in Belgio, o in Gran Bretagna.
In Francia il patrimonio immobiliare conta più dei 2/3 della ricchezza e il tasso di indebitamento delle famiglie � piuttosto basso (12%).
Il Credit suisse sottolinea che la disuguaglianza finanziaria in Francia è maggiore che nella maggior parte dei paesi europei: un quarto dei milionari europei risiede in Francia. Mentre i super ricchi sono più numerosi in Germania, in Svizzera e nel Regno Unito.

Una parte sempre più grande della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà
Nel 2011, secondo l'indice Eurostat, ripreso dalla Croce Rossa, la percentuale delle famiglie francesi sotto la soglia di povertà (meno del 60% della ricchezza media del paese) era del 14%. Un aumento dell'1,3%, 350'000 abitanti in più rispetto al 2008.
Malgrado la crisi, questo indice è diminuito in alcuni paesi dell'Europa occidentale: Portogallo (18%), Gran Bretagna (16,2%), Austria (5,2). Ma rappresentano un'eccezione.
La Croce Rossa commenta: "Non solo sempre più persone cadono nella povertà, ma i poveri sono sempre più poveri, e sembra che il divario tra i più ricchi ed i più poveri sia sempre in crescita. Ciò significa che aumenta la "distanza sociale" per rientrare a far parte della società."

40%: è la parte dei Cinesi nella "classe media" mondiale
La Cina, nell'insieme della sua popolazione, conta poche persone molto povere e pochi super-ricchi. Ma, quantificando la popolazione mondiale in quintili di ricchezza, si nota che costituisce il 40% della classe media superiore: quella del decile da 6 a 9...
Composizione regionale della distribuzione della ricchezza nel 2013. Lettura: "Dal 25 al 30% degli Africani figurano nel 10% delle famiglie più povere al mondo" (Credit suisse).
La disuguaglianza delle ricchezze in Cina è quindi relativamente debole rispetto al resto delle potenze emergenti. La sua classe media, motore della crescita mondiale, si distingue da quella indiana, occultata da un numero enorme di molto poveri ed uno non indifferente di super-ricchi.
"Ciò è dovuto all'assenza quasi totale di patrimoni ereditati e ad una divisione relativamente uguale tra terre agricole e habitat privato. Le disuguaglianze sono però in netta e forte crescita, a causa all'arricchimento di imprenditori e investitori", spiega il Credit suisse.

Il tasso di suicidi in Grecia è aumentato del 40% nel primo semestre 2011
Secondo il ministro greco della Sanità, il tasso di suicidi in Grecia è aumentato del 40% dal gennaio al maggio 2011 rispetto allo stesso periodo del 2010. I primi effetti dei piani di austerità si son fatti sentire. Il tasso di suicidi tra le donne è più che duplicato.
La Croce Rossa spiega che dopo un periodo di rallentamento, durante la crisi molti altri paesi europei hanno visto crescere il loro tasso di suicidi.
"Un segno evidente che sta aumentando il numero di persone che soffrono di depressione o di altre malattie mentali."
Durante la crisi economica, nella maggior parte dei paesi europei lo Stato ha tagliato molto nelle spese sanitarie, obbligando le associazioni a compiere nuove missioni.

Il 35% della ricchezza russa è detenuta da 110 persone
"La Russia si situa al livello più alto di disuguaglianza finanziaria al mondo, se si escludono i piccoli paesi dei Caraibi dove risiedono molti miliardari" sottolinea il Credit suisse.
A livello mondiale si conta un miliardario per di 170 miliardi di dollari di ricchezza. In Russia, il rapporto scende a un miliardario per 11 miliardi. I 110 miliardari russi recensiti da Forbes - nel 2000 erano solo otto - accumulavano il 35% della ricchezza del paese.


*articolo apparso sul sito www.rue89.com

domenica 15 dicembre 2013

Buon anno, amici

Ecco, Signore, un anno nuovo. Non sappiamo come sarà e possiamo solo sperare e farci auguri inutili che tuttavia carichiamo di buoni auspici.
«Buon anno! buon anno!» ci diciamo; e l’esclamazione rimbalza e si diffonde come quando diciamo «buon giorno!» o «buona notte!» e il più delle volte si tratta quasi di un intercalare, privo di consistenza, privo di umana solidarietà: una vuota abitudine, a livello di pura cortesia.
Potrebbe esprimere affetto, salire dall’umana simpatia fino a giungere alla cristiana carità e invece non esprime più nulla: è una pura emissione di voce, una mera espressione di buone maniere prive oramai di sentimenti veri.
Ci scivola, scialba, sulla lingua, impegnando soltanto i muscoli vocali, spesso neanche la mimica facciale, spesso neanche un sorriso accompagna la voce: «buon giorno!» e basta senza nulla dietro.
Forse, Signore, l’abbiamo detto troppe volte: e quel giorno non è più un giorno con l’alba e il tramonto, il sole che sorge e monta, alto, nel cielo e poi declina, nella sera: e l’augurarlo buono non è più un auspicio di gioia: è una specie di pedaggio obbligato, imposto dalla nostra civiltà, quando incrociamo un conoscente.
Forse, Signore, l’abbiamo detto troppe volte e quel giorno non è più un giorno e la bontà non è più una bontà. L’uso continuo ce l’ha consumato nella bocca e nel cuore perché di solito, noi non sappiamo reggere alla reiterazione senza perdere la verità e la partecipazione degli inizi. E invece dovremmo: e ricordarci che, ogni volta, è come se fosse la prima: anzi è in effetti la prima che, in quel momento, diciamo o facciamo o siamo: dopo sarà un’altra, differente, anche se somiglia, ma la stessa non è.
Esiste perfino un vecchio assioma, che ripetono i nostri moralisti, il quale afferma: «ab assuetis non fit passio», non ci commoviamo più, ai gesti consueti e ripetuti.
Che triste filosofia, Signore! Se fosse vera distruggerebbe il matrimonio, l’amicizia: tutto distruggerebbe: e il nostro mondo farebbe naufragio in un mare piatto, senza onde, senza nessuna increspatura di stupore, di emozione, di passione, senza entusiasmo, senza nulla.
Non ci credo, Signore, a quell’assioma che ho studiato a scuola: anche se so che grava su di noi, come una perenne minaccia: e che il tempo può rinnovare ma, più spesso, consuma.
E il combattere questo incombente appiattimento è l’impegno primario della nostra vitalità e novità e perdurante fervore.
E so anche che non ci può riuscire senza il tuo aiuto, perché tu non sei il Dio delle cose vecchie e ripetute senza partecipazione: tu sei il Dio vivente delle cose viventi e risorgenti dalla tomba del tempo che le uccide: ma poi lo stesso tempo ce le rimette in mano, nuove. Tu sei il Dio della novità, dello stupore, del fervore, della perdurante emozione, della vita che scorre senza stancarsi e senza ripetersi, come un fiume dalle acque sempre nuove.
Questo, Signore, sei, e non il Dio della passione spenta: quella passione che la nostra predicazione ha sovente umiliato. La passione è l’emozione e l’entusiasmo che dovremmo versare su ogni cosa: e tu, Signore, tu sei il Dio della passione accesa, che non si spegne mai, come non si spegne la fede, la speranza, la carità.
(Ed è ben vero che san Paolo dice che la speranza cessa, nella vita futura, davanti a te, raggiunto. Ma tu, Signore, anche raggiunto, resti irraggiungibile, sempre al di là d’ogni possibile presa, e sempre oggetto di ogni ulteriore speranza).
Tu, Signore, sei il Dio della passione sempre accesa, della speranza inestinguibile e della novità che non invecchia: sei il Signore che ci difende dall’usura del già detto e ci ridà la gioia di ciò che è nuovamente da dirsi, da farsi, da viversi. E il «buon giorno» ritorna a essere un «buon giorno», ricco di cielo e di sole: e il «buona notte» ricco di stelle e di luna: ed entrambi ricchi di simpatia e di amore.
Così, Signore, sia per il nostro «buon anno! » che, in questi giorni, diciamo tanto spesso. Fa’ che sia un anno pieno di stagioni, di erbe primaverili, di affocate stoppie estive, e di frutti pendenti dell’autunno, e di silenzio candido e innevato, di fuochi accesi, di tavole imbandite come quelle che accoglievano te, quando pranzavi con gli amici (e gli avversari tuoi ti criticavano perché non digiunavi, come il tuo parente Giovanni. Ma anche tu digiunasti ma poi volesti anche insegnarci la bontà della mensa: e proprio a tavola ci desti il sacramento della tua permanenza tra di noi).
Riempi, Signore, i nostri auguri: di questa densità esistenziale: e dacci la passione dell’amicizia e la capacità di auspici veri.
«Buon anno, amici, buon anno!» Più di trecento giorni pieni di sole, di luna, di nuvole, di neve: più di trecento giorni, pieni di solidarietà e di gioia: e, se verrà anche il dolore, che sia vissuto con amore.
«Buon anno, amici, buona vita!»

Adriana Zarri,
Quasi una preghiera

martedì 26 novembre 2013

15 novembre 1989: "Uccidete Ellacuría e non lasciate testimoni"

COSI’ VENNE DECISA LA MORTE DEI GESUITI
Dall’ordine di ucciderli all’esecuzione del massacro nell’Università centroamericana di San Salvador
 
Nel settembre del 2012 un colonnello dell’esercito di El Salvador, Inocente Orlando Montano, si dichiarò colpevole di sei imputazioni di frode migratoria e falsa testimonianza in un tribunale federale degli Stati Uniti a Boston, Massachusetts. La questione legale era che Montano aveva falsificato i suoi formulari di immigrazione all’entrare negli Stati Uniti, ben sapendo che, se avesse menzionato la sua condizione di ex-militare in El Salvador, l’ingresso agli Stati Uniti gli sarebbe stato rifiutato. Per questo motivo, il processo contro di lui si è mosso, in gran misura, intorno alla sua carriera militare in El Salvador e il suo ruolo negli abusi contro i diritti umani, in particolare l’ordine di uccidere i gesuiti. Il pubblico ministero raccolse numerose dichiarazioni sulla carriera di Montano, tra cui l’estesa relazione della “testimone esperta”, la professoressa Karl. Quello che segue è un estratto della parte centrale della relazione intitolata “Il Colonnello Montano e l’ordine di uccidere.



Testimonianza della Dottoressa Terry Karl *
Il Colonnello Montano formava parte del piccolo nucleo dell’elite di ufficiali, uno dei quali dette l’ordine di “uccidere Ellacuría e non lasciare testimoni”, il 15 novembre 1989. Ma, già prima che l’alto mandatario desse quest’ordine ufficiale, si stavano esercitando pressioni per realizzare questo e altri assassinii. Il numero di persone al di fuori delle istallazioni dello Stato Maggiore che in qualche modo sapevano in anticipo che i gesuiti sarebbero stati assassinati, ancor prima che si desse l’ordine di farlo, indica che la pianificazione della loro morte era già stata avviata. Secondo relazioni dell’Ambasciata degli Stati Uniti, la CIA e ufficiali salvadoregni, si tenne un altro incontro nella Scuola Militare alle ore 2:00 p.m., in cui si presero decisioni importanti. Successivamente, si svolsero riunioni più ridotte tra gli ufficiali di grado superiore e all’interno del circolo della “Tandona”, tra cui il viceministro Montano. Queste riunioni proseguirono per tutto il pomeriggio e la sera per mettere a punto piani di attentati, attacchi a leaders politici, e una azione contro i gesuiti dell’Università Cattolica. I piani prevedevano anche la predisposizione di un cerchio di forze di sicurezza tutt’intorno all’Università Cattolica.
Durante le ultime ore del 15 novembre, in una riunione generale, il capo dello Stato Maggiore, Ponce (il leader riconosciuto della “Tandona” che era noto per consultare il suo circolo più intimo) autorizzò l’eliminazione di responsabili, sindacalisti e dirigenti conosciuti del FMLN. Più tardi, come riferiscono i giuristi della Commisione della Verità in una relazione basata sulle loro interviste confidenziali con i testimoni: “Dopo la riunione, gli ufficiali restarono nella stanza parlando in gruppi. Uno di questi gruppi era formato dal Colonnello René Emilio Ponce, il Generale Juan Rafael Bustillo, il Colonnello Francisco Elena Fuentes, il Colonnello Juan Orlando Zepeda e il Colonnello Inocente Orlando Montano. Il Colonnello Ponce chiamò il Colonnello Guillermo Alfredo Benavides e, davanti agli altri quattro ufficiali, gli ordinò di eliminare il Padre Ellacuría senza lasciare testimoni”. Secondo confessioni posteriori rese da soldati accusati degli assassinii, il colonnello Benavides uscì da questa riunione nello Stato Maggiore e informò gli ufficiali dell’Accademia Militare che gli era stato dato il seguente ordine: “Lui [Ellacuría] deve essere eliminato e non voglio testimoni”.
Tutta l’operazione durò all’incirca un’ora. L’unità dei commandos del battaglione Atlacatl fece il viaggio di cinque minuti dalla base militare all’Università Cattolica, senza fare nessuno sforzo per nascondere la loro manovra in una zona pattugliata da decine di altre truppe militari e con tutt’intorno un cerchio di forze di sicurezza. Il Padre Martín-Baró aprì la porta della residenza, lasciando volontariamente che entrassero i soldati. Dopo aver ordinato a cinque sacerdoti che si stendessero supini su un piccolo dosso erboso, due soldati spararono loro, uno dopo l’altro. A pochi metri di distanza, un altro soldato uccise Elba Ramos, che abbracciava sua figlia Celina. Il tenente José Ricardo Espinoza Guerra, l’unico soldato che si era ricoperto il volto con un unguento per mimetizzarsi, confessò più tardi che uscì dal campus universitario in lacrime: il Padre Segundo Montes, che ora giaceva a terra morto, era stato il rettore quando lui era studente nel Collegio San José. Un altro degli autori materiali ricordò che i religiosi non sembravano pericolosi, dato che erano “piuttosto vecchi, senza armi” e “in pigiama”. Riferì che però il suo colonnello gli aveva detto che i sacerdote erano “delinquenti terroristi”, e che “quello che importava erano i loro cervelli”. Tutti i corpi furono incontrati con colpi di armi da fuoco alla testa. Un sesto sacerdote morì mentre chiedeva che gli salvassero la vita mentre i soldati realizzavano uno scontro fittizio per cercare di incolpare il FMLN.

Selezione di Héctor Lindo, elfaro.net / Pubblicato il 5 novembre 2013.
*Estratto dell’Allegato 1, la perizia della Professoressa Terry Lynn Karl, dell’Università di Stanford, sul caso di Inocente Orlando Montano, 31 dicembre 2012, Caso 1:12 -cr – 10044 – DPW, Documento 53-1, Archiviato 01/08/13.
Traduzione di Francesca Casaliggi

domenica 24 novembre 2013

Cile: due donne alla fine del mondo


di Marco Consolo

 Per la prima volta in Cile due donne si affronteranno al ballottaggio. La ex-presidente socialista Michelle Bachelet,  candidata della coalizione Nueva Mayoria (centro-sinistra e Partito Comunista) passa il primo turno con il 46% sconfiggendo la pinochetista Evelyn Matthei, che si ferma a poco più del 25%.  La Matthei candidata ufficiale della destra, è riuscita a rimontare nelle ultime settimane uno scenario in cui si parlava addirittura della possibilità di non arrivare al ballottaggio. La destra, infatti, si è presentata profondamente divisa, e la parte moderata ha scelto Franco Parisi, un’economista liberale indipendente che ha eroso la base elettorale della Matthei con proposte “trasversali” ed ottiene il quarto posto con poco più del 10%. Nonostante ciò la Uniòn Democractica Independiente (UDI), il partito dei dinousari di Pinochet, è ancora il più votato e ciò la dice lunga sulla base sociale della dittatura.
 L’astensione raggiunge il 50%, ed impedisce la vittoria al primo turno della candidata socialista Bachelet. Per motivare al voto non è bastata la riforma della legge elettorale con l’iscrizione automatica nelle liste, annacquata dal voto volontario. Una riforma disegnata sui principi liberali del voto come “diritto” e non come “dovere” di cittadinanza, che si rifanno al sistema statunitense. E che disincentiva anche nel terreno elettorale la partecipazione, che probabilmente diminuirà al ballottaggio del 15 dicembre.
Ad una prima analisi più dettagliata del voto, ancora a caldo, il dato dell’astensionismo è più forte nei quartieri popolari (quasi il 60%) e minore in quelli medio-alti (40%). Se il dato si conferma, il risultato parla della distanza e della disaffezione con rispetto al sistema politico della base sociale “naturale” del centro-sinistra e della sinistra. Ma nei quartieri popolari anche il voto della destra dura è di tutto rispetto.  Secondo la recente inchiesta del Latino-barometro la società cilena è la meno interessata alla politica tradizionale di tutto il continente.
Il Partito comunista, presente nella coalizione Nueva Mayoria, esce molto bene dalla competizione elettorale capitalizzando la sua presenza attiva nei movimenti. Raddoppia i suoi parlamentari, passando a 6 deputati, tra le quali 2 donne, dirigenti di movimenti giovanili,  Karol Cariola (Segretaria della Gioventù Comunista) e Camila Vallejo (ex-presidente de la Federazione degli Studenti Universitari). Il contributo dei comunisti alla vittoria della Bachelet al primo turno è stato decisivo.  
Non c’è dubbio che, grazie alle mobilitazioni studentesche, si è incrinata la cappa di piombo che gravava sulla società cilena, prima per i 17 anni di dittatura militare e poi per i 23 del governo della Concertaciòn di centro-sinistra. Dopo la lunga parentesi della Concertaciòn,  che ha “migliorato” il modello sociale neo-liberista dei “Chicago boys” e realizzato la modernizzazione capitalista, 4 anni fa i cileni avevano eletto la destra di Piñera che ha dovuto però affrontare le crescenti mobilitazioni sociali. I movimenti (in primo luogo gli studenti, ma anche il movimento sindacale e quello ambientalista), rivendicando la loro autonomia dal quadro istituzionale, hanno rimesso al centro della politica alcuni temi centrali: la riforma costituzionale (e la legge elettorale binominale), quella tributaria, quella dell’educazione.
Non a caso la lettura della destra (in prima fila El Mercurio e La Tercera) oggi centra la sua attenzione sui quorum del parlamento necessari per le riforme strutturali. Quorum altissimi stabiliti dalla costituzione pinochetista per impedire qualsiasi cambiamento strutturale. Basti pensare che nella costituzione in vigore il ruolo dello Stato è definito come «complementare al mercato». E nonostante i risultati i seggi ottenuti non garantiscono un margine di manovra efficace per trasformazioni di fondo.
Il programma della Bachelet, discusso da tutta la coalizione, riflette le contraddizioni esistenti anche se di certo è più avanzato che nel passato. E diversi grandi gruppi economici che hanno appoggiato la campagna della Bachelet, chiederanno presto il conto.
La richiesta di un’Assemblea Costituente (AC) è stata espressa da uno schieramento amplio anche attraverso l’apposizione sulla scheda elettorale di un simbolico AC, insieme al voto.  
Spinosa la riforma tributaria che prevede l’aumento dal 20 al 25% delle imposte alle imprese (seppure in 4 anni). Così come il grande tema della “fine del lucro” nel settore educativo, che sarà un banco di prova per la coalizione. Un buon segnale è che siano stati promossi tutti i candidati del movimento studentesco, non solo quelli comunisti, ma anche gli indipendenti Giorgio Jackson e Gabriel Boric, mentre un settore dei liceali aveva chiamato all’astensionismo.  
IL tema della politica estera sarà un altro punto di conflitto, visti i cattivi rapporti con i vicini Bolivia e Perù, la distanza dal Venezuela bolivariano e la collocazione cilena nell’Alleanza del Pacifico che riunisce i governi della destra latinoamericana, un fattore di destabilizzazione dell’integrazione continentale in atto.
Insieme ad una distanza dal politicismo espressa dall’astensionismo e dal rifiuto verso istituzioni che non hanno voluto risolvere i grandi problemi del paese, allo stesso tempo il risultato elettorale consegna un parlamento più dinamico, che riflette la richiesta di cambiamento di un modello sociale, economico, ambientale.
Nonostante l’ampio margine, il ballottaggio non sarà in discesa. Nessuno dei candidati sconfitti ha dichiarato di voler appoggiare la Bachelet e la Nueva Mayoria. Neanche Marco Enriquez Ominami, uscito dal centrosinistra prima delle scorse elezioni e candidato del suo “Partito Progressista, che non ha voluto fare nessuna alleanza di coalizione. Esce sconfitto con l’11% e dimezza i suoi voti rispetto alla tornata elettorale di 4 anni fa.
Il prossimo marzo vi sarà il cambio di governo. I nodi verranno al pettine allora.
Il prossimo sabato il PC deciderà se partecipare o meno nel governo,  nel caso di una vittoria al ballottaggio della coalizione.  Nella storia cilena, il PC ha partecipato due volte nel governo. La prima nel 1946, con il presidente radicale González Videla, eletto grazie ai voti comunisti che dichiarò:  «Io vi assicuro che non ci sarà né potere umano, nè divino capace di rompere  il vincolo che mi unisce al Partito Comunista ed al popolo». Ma appena due anni dopo,  nel  Settembre del 1948,  promulgò la “Legge di difesa della democrazia”, conosciuta come Ley maldita,  che mise fuori legge il Partito Comunista per ben 11 anni ed eliminò dai registri elettorali i suoi militanti.
La seconda volta fu con Salvador Allende nel governo di Unidad Popular,  che terminò con il colpo di Stato di Pinochet che, per “estirpare il cancro marxista”, represse nel sangue la sinistra ed il Partito Comunista. Come sottolinea il suo Presidente, Guillermo Tellier, con questi antecedenti, i comunisti discuteranno a fondo i termini della loro eventuale partecipazione. Ma tutto sta ad indicare che saranno parte della coalizione di governo.
La storia non si ripete, ma il passato bussa alla porta.

lunedì 28 ottobre 2013

Manifestazione "BASTA MENZOGNE SULL'INCENERITORE DEL GERBIDO"

Sabato e' stata una bellissima giornata.
E' sempre bello trovarsi fianco a fianco con tanti cittadini e genitori come noi che, oltre che ricevere le nostre comunicazioni, ci seguono quando scendiamo in piazza.
Sono talmente rare le occasioni in cui il cittadino puo' far sentire la propria voce che non approfittarne e' sempre un peccato.
Saremmo potuti essere molti di piu', ma vi diamo gia' appuntamento fin da adesso alla prossima manifestazione che ci sara' presumibilmente nella primavera prossima.
Oltre che portare avanti le altre iniziative in corso, l'intenzione infatti e' quella di continuare su questo cammino per farci vedere in piazza almeno ogni 6 mesi.
Questo per dare la possibilita' a tutti di far sentire la propria voce in allegria e in modo civile, anziche' subire passivamente le scelte dei nostri amministratori che sempre piu' hanno interessi economici e di salvaguardia della salute diversi da quelli di noi cittadini.

Qui sotto il link sulla manifestazione sul IlFattoQuotidiano:

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Dal sito internet di TRM: ”Torino, 20 ottobre 2013. A seguito di un problema tecnico nelle due linee attive del termovalorizzatore (un blocco alla caldaia della Linea 2 ed un’anomalia al sistema di abbattimento degli ossidi di azoto nella Linea 3), oggi è stato deciso – sulla base del "principio di precauzione" adottato da TRM nella fase di esercizio provvisorio (maggio 2013 – aprile 2014) – di interrompere il funzionamento dell’impianto ed effettuare le necessarie attività di controllo e verifica.“
E SONO SETTE!!!!
In poco meno di sei mesi di attività. Ormai gli incidenti (o guasti come ama chiamarli TRM) sono diventati una consuetudine, degli eventi tanto rari quanto la presenza di acqua in mare.
E’ noto che, proprio in base al principio di precauzione, questo impianto non avrebbe dovuto nemmeno essere costruito. Coloro i quali dicono di rifarsi a questo importantissimo principio, anche giuridico, che dovrebbe sorreggere la gestione delle attività umane per tutelare la salute dei cittadini, lo hanno palesemente disatteso. Infatti, costoro hanno piazzato una bomba ecologica, un “termodistributore” di scorie e di veleni, a poche centinaia di metri da case, scuole ed ospedali.
Il principio di precauzione afferma che TRM deve dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che bruciare i rifiuti non causerà problemi alla salute ed all'ambiente. Peccato che gli studi compiuti sugli inceneritori vecchi dimostrino esattamente il contrario e che sui nuovi non esistano dati sufficienti per provarne l'innocuità al di là di ogni ragionevole dubbio.
Nonostante le notizie sempre più preoccupanti che arrivano da fonti sempre più autorevoli sulla pericolosità delle sostanze emesse dagli inceneritori, dobbiamo ancora vedere sul Telegiornale regionale dei servizi assurdi da Istituto Luce del ventennio, notizie rassicuranti come se il TG3 fosse l'ufficio stampa di TRM, senza contraddittorio e smentite, quotidianamente, da quello che succede davvero nell'impianto del Gerbido. Un muro di gomma che tenta di avvolgere le nostre rimostranze nonché le nostre proposte alternative all’incenerimento dei rifiuti, in una plumbea cappa di silenzio.
Il fatto che il Comitato Locale di Controllo, la maggior parte dei sindaci dei comuni interessati da questo problema, quasi tutte le forze politiche locali ed i media, non si accorgano di quanto sia ipocrita citare il principio di precauzione, dopo aver costruito un impianto che produce sostanze cancerogene, ci obbliga come cittadini a scendere di nuovo in strada, per informare e per dare un segnale forte che la misura è colma.



IL COORDINAMENTO NO INCENERITORE RIFIUTIZERO TORINO INDICE UNA MANIFESTAZIONE PER DIRE:
“ BASTA ALLE MENZOGNE SULL'INCENERITORE DEL GERBIDO”
INVITIAMO TUTTI I CITTADINI, LE ASSOCIAZIONI, I MOVIMENTI, I SINDACATI E LE FORZE POLITICHE RESPONSABILI
SABATO 26 OTTOBRE ALLE ORE 14,00 PRESSO LA VECCHIA STAZIONE DI PORTA SUSA. CI MUOVEREMO POI IN CORTEO ED ARRIVEREMO SOTTO LA SEDE RAI DI VIA VERDI PER CHIEDERE UN'INFORMAZIONE EQUILIBRATA E SOPRATTUTTO VERITIERA.

Ufficio Stampa

Coordinamento No Inceneritore Rifiuti Zero Torino

Tel. 370.710.18.55, 335.672.25.44

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Comitato
NO INCENERITORE - SI RIFIUTI ZERO

==============================================================
Regola 5R (Riduci, Ripara, Riusa, Ricicla e Riprogettazione) verso l’obiettivo Rifiuti Zero
www.rifiutizerotorino.it
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lunedì 14 ottobre 2013

Zygmunt Bauman: "Il futuro non esiste, va creato"


Il sociologo della modernità liquida è intervenuto a Milano per Meet The Media Guru. Come è cambiata la nostra vita, divisa tra tra online e offline?



"Devo deludervi, non sono un guru", ha esordito Zygmunt Bauman, aprendo il suo intervento milanese a Meet The Media Guru: "non vi dirò come condurre la vostra vita". La conferenza di Bauman, uno dei maggiori pensatori viventi, ha toccato molti aspetti centrali della nostra condizione di esseri umani, a cominciare dal rapporto con la vita digitale. Secondo il sociologo, la nostra esistenza ha conosciuto, con la rivoluzione digitale, l'impatto con una divisione, quella tra online e offline, che ci ha imposto di vivere allo stesso tempo in due differenti dimensioni. In questo contesto, i bambini incontrano Internet ormai già a 4 anni e crescono senza nemmeno poter immaginare che la connessione al Web possa non esserci, tanto il nostro rapporto con la vita online è diventato stretto. La Rete, per Bauman, è parte del progresso, ma porta con sé anche un numero di "perdite collaterali". L'automatizzazione del lavoro, ad esempio, causa diminuzione di posti di lavoro "umani" sia nell'industria pesante che nel lavoro intellettuale, ha puntualizzato Bauman: "i server stanno immagazzinando la nostra conoscenza e la nostra capacità di memorizzare sta scomparendo".

Per esemplificare questa dicotomia tra guadagno e perdita dovuta al progresso, Bauman ha citato Mark Zuckerberg e l'incredibile successo di Facebook: il social network ha intercettato la nostra paura di non essere visti ed essere soli e ha fondato il suo successo sull'allontanamento di questa paura: "il fondamento delle relazioni online è la soddisfazione", ha specificato Bauman, "e le relazioni diventano estremamente fragili". Facebook ci dà un "gadget" che ci fa credere di poter incontrare 500 amici in un giorno stesso, "io non sono riuscito a farne altrettanti in 80 anni di vita", ha scherzato Bauman.  "Il problema con Facebook e gli altri social netwok è che promettono esattamente quello che il progresso promette: rendere la nostra vita più semplice". Questo meccanismo si presenta anche nella gestione delle relazioni umane e sentimentali. Per Bauman, i social media servono, ad esempio, a rendere semplice la conclusione della relazione con un'altra persona, superando le dinamiche del mondo "offline". Ma siamo davvero felici di questa possibilità? Per Bauman la risposta è no: "la felicità non è evitare i problemi, la felicità è superarli".

La Rete, però, nella visione di Bauman porta con sé anche vantaggi, come la disponibilità quasi infinita di conoscenza: "con un click, Google ci presenta due milioni di risposte, un numero che non potremmo consultare nemmeno in tutta la nostra vita". Anche questo aspetto, però, ha un prezzo: l'impazienza e la perdita della capacità di conservare conoscenza "dentro di noi". Sono i server a conservare il nostro sapere, noi possiamo solo consultarlo e questo "avrà un effetto negativo sulla nostra creatività".

Per Zygmunt Bauman, Internet ci fa vivere "senza rischi", consentendoci di relazionarci solo con persone che la pensano come noi e condividono il nostro punto di vista: "le persone diventano così nostri specchi", ha spiegato Bauman; in caso contrario, "clicchiamo il tasto 'delete' e passiamo a un altro sito". Ma come uscire da questa condizione? Per l'autore della "vita liquida" una risposta è piuttosto ovvia: "parlando gli uni con gli altri e dimostrando interesse nel dialogo" per mantenere vivo l'interesse nei confronti di chi la pensa in modo diverso, evitando opinioni preconcette. La seconda soluzione è "essere aperti", dando inizio a un dialogo tenendo viva la possibilità che le nostre opinioni possano essere sbagliate. La terza possibilità è la cooperazione: "il dialogo non deve servire a far prevalere il nostro ego", ha spiegato Bauman, "perché nel dialogo con il diverso non devono esserci né vincitori, né vinti". Queste "arti" sono messe a repentaglio da Internet, nella visione di Bauman. Allo stato delle cose, riscoprire queste capacità di dialogo nei confronti del diverso è una questione "di vita o di morte" per il nostro futuro perché, ha chiosato Bauman, "Il futuro non esiste, il futuro va creato".

martedì 8 ottobre 2013

"Sì ai sacramenti per divorziati e risposati"





Germania, strappo della diocesi di Friburgo 

La circolare dell'arcivescovado: "La Chiesa sia capace di accoglierli". Ammesse la comunione e il battesimo, previsti anche incarichi nelle parrocchie. I vescovi tedeschi avevano già tentato una riforma, ma erano stati fermati da Ratzinger

ANDREA TARQUINI,

BERLINO - Il vento di riforma di papa Francesco spinge la Chiesa cattolica tedesca a nuovi passi coraggiosi. L'arcidiocesi di Friburgo, che in Germania è la seconda per importanza, ha inviato un vero e proprio vademecum ai suoi presuli nei quali si chiede di avere particolare riguardo per i cattolici divorziati e risposati.

La circolare della arcidiocesi, guidata dall'arcivescovo Robert Zollitsch, prevede soprattutto la possibilità riammetterli ai sacramenti, a cominciare dalla Comunione.

Da secoli, le regole della Chiesa cattolica apostolica romana lo vietano, considerando i divorziati risposati come persone che vivono nel peccato. Quasi scomunicati, insomma. Il passo dell'arcidiocesi di Friburgo è certamente destinato ad aprire un dibattito importantissimo, sullo sfondo del rinnovamento avviato da Papa Bergoglio. La circolare, nota lo Spiegel online, punta ad avere un carattere di segnale valido per tutta la Chiesa cattolica tedesca, e poi anche oltre le frontiere federali. "Vogliamo aprire una porta a chi ha alle spalle un matrimonio fallito, ha ricominciato un'altra vita sentimentale, e vuole restare parte della comunità dei fedeli", ha detto al settimanale di Amburgo il decano Andreas Moehrle, responsabile della cura delle anime per l'arcidiocesi della prospera e super-ecologica città nel sudovest tedesco. "Da un lato - prosegue - dobbiamo prendere atto che queste persone si sentono escluse dalla Chiesa, e ne soffrono profondamente, dall'altro dobbiamo tenere conto della dottrina e del diritto canonico".

La decisione di tendere la mano ai fedeli divorziati e risposati - numerosissimi, tenendo conto che in Germania oltre metà dei matrimoni finisce con un divorzio, senza che i divorziati vogliano rinunciare alla fede - è importantissima. Già a fine settembre, all'ultima riunione della Conferenza episcopale tedesca, l'arcivescovo Zollitsch aveva detto che i divorziati risposati "appartengono alla Chiesa, per cui dobbiamo trovare soluzioni per loro nel più vasto ambito ecclesiastico".

I vescovi tedeschi in realtà un passo a favore della riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati lo avevano già tentato, con Zollitsch e con il suo predecessore cardinale Lehmann. Ma la richiesta fu ritirata, dopo che Ratzinger l'aveva severamente criticata. Adesso, con papa Francesco in Vaticano, molti pensano che Zollitsch e i non pochi prelati tedeschi schierati con lui vogliano ritrovare una credibilità agli occhi dei fedeli. Soprattutto Zollitsch, che sta per lasciare l'incarico e vorrebbe comprensibilmente chiudere in bellezza.

La lettera dell'arcidiocesi di Friburgo è chiarissima. Chiede ai sacerdoti di riammettere i divorziati risposati ai sacramenti, prima di tutto la comunione ma anche la confessione e l'estrema unzione, di concedere ai loro nuovi figli il battesimo, la cresima e la prima comunione e tutti gli altri sacramenti. E raccomanda di non bandire più i divorziati risposati dai consigli dei fedeli nelle parrocchie o da altri incarichi ecclesiastici affidati a laici. Friburgo inoltre affiderà a religiosi ben preparati l'incarico di darsi cura delle anime dei divorziati risposati, in colloqui tra fedeli, ascoltando le loro drammatiche situazioni e aiutandoli a trovare di nuovo un posto, nei sacramenti e nel quotidiano, nella vita della Chiesa. I messaggi seminati da Papa Francesco producono frutti, proprio qui in una delle più importanti e forti chiese cattoliche del mondo.

SAN SALVADOR: le vittime della guerra abbandonate dall'arcidiocesi

Proprio nel momento in cui il processo di canonizzazione ufficiale di San Romero d’America sembra non incontrare più alcun ostacolo, un duro colpo alla memoria dell’arcivescovo martire – difesa a parole e calpestata nei fatti – viene dall’attuale arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas. Tanto improvvisa quanto ingiustificata è giunta il 30 settembre la notizia della chiusura di Socorro Jurídico, lo storico ufficio di tutela legale dell’arcidiocesi di San Salvador, fondato nel 1975 e divenuto sotto l’ala protettiva di mons. Oscar Romero (che ai suoi rapporti attingeva per preparare le sue omelie domenicali) un centro, insostituibile, di promozione e di difesa dei diritti (individuali e collettivi) degli ultimi, fino a raccogliere, nel corso degli anni, 50mila denunce di violazione dei diritti umani (prima, durante e dopo la guerra civile). Una chiusura che mons. Escobar Alas ha deciso senza fornire altra spiegazione che quella secondo cui l’ufficio di tutela legale non avrebbe «più ragione d’essere» in tempi di pace: motivazione che l’arcivescovo farebbe bene ad esporre, per esempio, ai familiari delle vittime della strage di El Mozote del 1981, il peggiore dei massacri di civili compiuti dall’esercito durante la guerra, assistiti dall’organismo e rimasti ora privi di rappresentanza legale. Il tutto in un momento in cui la Corte Suprema di Giustizia ha ammesso il ricorso di costituzionalità presentato da almeno 20 organizzazioni sociali contro la Legge di Amnistia promulgata dal governo nel 1993, l’anno successivo alla firma degli Accordi di pace.
«Andate in ufficio, raccogliete le vostre cose e poi recatevi a una riunione con tre rappresentanti dell’arcidiocesi»: sarebbe stato questo, secondo ElFaro.net (30/9), l’avviso che hanno ricevuto i 12 impiegati dell’ufficio di Tutela Legale (il nuovo nome assunto da Socorro Jurídico nel 1982, per iniziativa dell’allora arcivescovo Arturo Rivera y Damas) dopo aver trovato, il 30 settembre, le porte dell’ufficio chiuse, le serrature cambiate e alcuni vigilanti privati armati, e ostili, a fare la guardia. Ben poco lasciava presagire tale decisione. Wilfredo Medrano, vicedirettore dell’organismo, che vi lavorava dal 1989 – l’anno in cui, racconta ElFaro.net, aveva intrapreso insieme alla prima direttrice di Tutela Legale, María Julia Hernández, un viaggio nel Morazán, prima ancora che avesse termine il conflitto, per convincere i familiari delle vittime della strage che avrebbero potuto esigere giustizia – riferisce che sette mesi prima l’arcivescovo aveva nominato una sorta di amministratore con l’incarico di controllare ogni attività dell’organismo e che, quando i dirigenti di Tutela Legale avevano sollecitato una spiegazione, mons. Rafael Urrutia aveva assicurato loro che tutto procedeva normalmente.
Nulla è dato ora sapere sulla fine che farà l’archivio storico con le 50mila denunce di violazioni dei diritti umani (su carta, audio o video) raccolte dall’ufficio («Questo archivio – ha dichiarato uno dei dipendenti, José Lazo – non è della Chiesa, ma è del popolo. Qui c’è il sangue delle vittime»): se gli ormai ex impiegati hanno proposto di affidarne la custodia a mons. Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador (e per ben due volte arcivescovo mancato), nessuna decisione è stata ancora comunicata al riguardo.

Peggio di Saénz Lacalle
«Pensavamo – ha evidenziato Medrano – che qualcosa di simile potesse avvenire per iniziativa di mons. Fernando Saénz Lacalle», il predecessore opusdeista di mons. Escobar Alas, il quale, in effetti, era giunto a destituire “per mancanza di fedeltà” l’allora direttore di Tutela Legale, l’avvocato David Morales, in seguito alla decisione dell’organismo di ricorrere alla Commissione Interamericana sui Diritti Umani per denunciare le inadempienze del governo sul caso dell’omicidio di mons. Romero (v. Adista n. 76/07). Ma mons. Escobar Alas, ha proseguito Medrano, è andato anche oltre: «Non ce lo saremmo mai immaginato da lui. Ci sembra una decisione irresponsabile».
Del resto, che la sensibilità dell’arcivescovo in materia di diritti umani non sia propriamente commovente, era già risultato chiaro dalle sue dichiarazioni relative all’eternamente viva questione dell’annullamento o meno della Legge di Amnistia. Nella Chiesa salvadoregna, ha avuto recentemente modo di spiegare Escobar Alas (v. Adista n. 14/13), «non abbiamo un’opinione unificata al riguardo», anche se, ha assicurato, «siamo a favore della giustizia» (come le due cose possano conciliarsi l’arcivescovo non lo ha spiegato): l’annullamento della Legge di Amnistia, ha detto, potrebbe condurre a «una spirale di violenza», incoraggiando chiunque a pretendere risarcimenti per i danni subiti, tanto per via giudiziaria quanto per via economica».
Anche riguardo alla causa di canonizzazione di mons. Romero, l’attuale arcivescovo – che può vantare sul suo curriculum anche la contestatissima distruzione del bel mosaico, opera dell’artista Fernando Llort (ed espressione della cultura del popolo salvadoregno), che decorava la facciata della cattedrale – si è mantenuto fedele alla linea del predecessore, rivelandosi sempre molto attento a neutralizzare la figura dell’arcivescovo martire, spogliandola di ogni elemento conflittuale: mons. Romero «deve essere visto come il pastore che ci unifica», ha precisato mons. Escobar (v. Adista n. 14/13), mettendo in guardia dal rischio di trasformarlo in un «personaggio politico». «È possibile – ha dichiarato – che si cerchi di appropriarsi di qualche vantaggio politico, esaltando o attaccando l’immagine di monsignor Romero a favore o contro un’idea politica, e questo non sarebbe giusto». 

(claudia fanti, Adista)