mercoledì 20 giugno 2012

Oro blu, un business tutto privato

Le società d'imbottigliamento delle acque minerali pagano miseri oboli alle Regioni. Che secondo uno studio di Legambiente gettano 122 milioni di euro all'anno di mancati introiti per non scontentare le lobby. Alla faccia del referendum
di Paolo Cagnan, L'Espresso (Giovedì 14 giugno 2012)

Stretti tra il patto di stabilità e la diminuzione dei trasferimenti dallo Stato, i Comuni sono alla disperata ricerca di risorse aggiuntive per far quadrare i conti. Una soluzione, per quanto parziale, sarebbe lì a portata di mano: i sindaci potrebbero sempre bussare alla porta delle rispettive Regioni, e chiedere loro perché hanno accettato la privatizzazione di fatto delle sorgenti pubbliche, rinunciando a guadagni nell'ordine di 122 milioni di euro annui.
E' questa la cifra stimata da un rapporto di Legambiente sui canoni di concessione fatti pagare alle aziende che imbottigliano le acque minerali. Un vero scandalo, per l'associazione ambientalista. A un anno di distanza dall'insperato successo del referendum sull'acqua, è tutt'altro che sanata questa ennesima anomalia italiana.
In assenza di una legge nazionale, ogni Regione fa ciò che vuole. Così, secondo lo studio effettuato assieme ad Altreconomia, ci sono regioni come la Liguria i cui canoni di concessione per lo sfruttamento delle sorgenti naturali sono stabiliti da regolamenti vecchi di trent'anni o addirittura, come in Molise, da un regio decreto. "Anche in Emilia Romagna, Puglia e Sardegna" si legge nel dossier "le società non pagano un centesimo per l'acqua imbottigliata o estratta, ma versano una sorta di obolo solo per la superficie utilizzata".
Nel 2006 la Conferenza delle Regioni aveva dato indicazioni per una revisione dei canoni, indicando tre tipologie: da 1 a 2,5 euro per metro cubo o frazione di acqua imbottigliata; da 0,5 a 2 euro per metro cubo o frazione di acqua utilizzata o estratta; almeno 30 euro per ettaro o frazione di superficie concessa. Ma da allora solo 13 Regioni hanno rivisto la normativa e nove di queste "hanno recepito le indicazioni in modo solo parziale o al ribasso". Risultato, le casse pubbliche restano vuote, mentre le società imbottigliatrici continuano a fare profitti stellari.
Ipotizzando un canone uguale per tutto il territorio di 10 euro a metro cubo imbottigliato, Legambiente ha calcolato che nel 2010 si sarebbero ricavati ben 122 milioni di euro: appena il 5% del totale dei guadagni annuali delle aziende imbottigliatrici, che in Italia danno lavoro a 40 mila persone. In Sardegna, ad esempio, i guadagni passerebbero dai 34 mila euro attuali a oltre 2 milioni; l'Emilia-Romagna incasserebbe 3,87 milioni di euro in più rispetto agli attuali 35 mila e così via.
Proprio nelle scorse ore il consiglio regionale del Veneto ha prorogato sino al 2015 le riduzioni del pagamento dei diritti di prelievo, rinunciando a oltre 10 milioni di euro. La Regione Toscana si è impegnata a rivedere i canoni verso l'alto, mentre alcuni comuni lombardi hanno chiesto a Milano di destinare i fondi alle amministrazioni sul cui territorio ricadono le concessioni o gli stabilimenti di imbottigliamento. Anche la "virtuosa" Provincia di Bolzano figura tra i bocciati.
"Un aumento dei canoni" spiega Giorgio Zampetti, coordinatore scientifico di Legambiente "porterebbe anche altri vantaggi, come l'aumento dei prezzi e il riallineamento dei consumi alle medie europee, ovvero verso il basso. Così si ridurrebbe l'impatto ambientale del business dell'oro blu, che a tutt'oggi prevede l'utilizzo di oltre 350 mila tonnellate di PET (la plastica usata per le bottiglie), per un consumo di 700 mila tonnellate di petrolio e l'emissione di quasi un milione di tonnellate di CO2".
Già, perché il 78% delle bottiglie utilizzate è di plastica e solo un terzo viene riciclato. Comunque, sarà colpa della crisi o merito delle campagne di sensibilizzazione a favore del rubinetto, il consumo pro-capite di acqua in bottiglia (l'Italia ha il primato europeo) è sceso da 190 a 186 litri all'anno. Nel 2010, la produzione totale è stata di 12 miliardi di litri di acque minerali: il 2% in meno rispetto al 2009, per un calo del giro di affari dei produttori di 100 milioni di euro (da 2,3 a 2,2 miliardi di euro totali). Dopo trent'anni di crescita, è il primo stop. Una diminuzione che, commenta il vicepresidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, "non scardina ancora il sistema di privatizzazione de facto delle sorgenti e del pagamento di canoni irrisori agli enti locali. Le società d'imbottigliamento contano sempre su guadagni vertiginosi". Anche qui, interessi lobbistici prevalgono sul bene comune? Tra le Regioni bocciate dal dossier ci sono Emilia-Romagna, Puglia e Liguria. Non esattamente di centrodestra.

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