mercoledì 29 febbraio 2012

L’Europa e quel legno illegale

Pochi controlli e scarsa applicazione delle normative comunitarie in materia: così l'Europa continua a importare legname illegale

Scritto da , Diritto di Critica, 28 febbraio 2012

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Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero: c
osì recita una famosa filastrocca per bambini. Ma, aggiungerebbe il WWF, almeno in Europa per fare il tavolo ci vorrebbe il legno legale, quello provvisto dell’apposita licenza e che contrasti così il contrabbando e la deforestazione in aree verdi del mondo a rischio. Peccato però che oggi tale prospettiva paia ancora più vicina all’utopia che alla realtà: è quanto emerge dall’indagine “Government Barometer on Illegal logging and Trade 2012“, condotta dal WWF nei Paesi dell’UE per monitorare l’applicazione delle normative comunitarie sul mercato del legname e che evidenzia invece una generalizzata mancanza di controlli e di attuazione dei regolamenti europei.
IL REGOLAMENTO FLEGT. La ricerca infatti sottolinea come i 27 Paesi dell’Unione Europea non abbiano attuato in linea di massima misure sufficientemente efficaci per arginare l’importazione illegale e non sostenibile di legname, nonostante l’entrata in vigore nel 2005 del regolamento FLEGT (Forest Law Enforcement, Governance and Trade): regolamento che prevedrebbe la creazione di un sistema di “licenze di legalità” tra UE e Stati esportatori vietando, al tempo stesso, l’importazione sul territorio europeo di legname non provvisto di tale licenza. L’UE dovrebbe inoltre promuovere con i Paesi tropicali principali esportatori di legname – bacino dell’Amazzonia, del Congo, ma anche Vietnam, Birmania, Laos e Borneo – degli accordi volontari di partnership (VPA) per l’ingresso del loro legno provvisto di licenza in Europa, ai sensi dei regolamenti vigenti. Attualmente su questo fronte sono attivi solo sei Stati europei su 27.
I RISULTATI DELL’INDAGINE. Secondo l’indagine del WWF, i migliori risultati complessivi sul commercio di legno legale e i progressi attuati al riguardo nel 2012  – in una scala di analisi che va da 0 a 18 punti – sono stati ottenuti da Germania, Paesi Bassi e Regno Unito (con 12 punti), mentre l’Italia con 2 punti si classifica all’ultima posizione insieme ad Estonia, Finlandia, Grecia, Slovacchia e Spagna.  Inoltre ad oggi soltanto quattro Paesi – Belgio, Cipro, Germania e Svezia – sono realmente pronti ad accettare legname secondo i criteri FLEGT ed hanno predisposto effettive e proporzionate sanzioni per chi li trasgredisce, mentre per quanto riguarda gli altri l’applicazione del regolamento è ancora in fase di attuazione. Una problematica alla quale si somma anche la lentezza da parte dei Paesi fornitori, tant’è che la prima partita di legno provvisto di licenza legale era attesa alla fine del 2011, mentre ora l’attesa pare doversi protrarre fino alla seconda metà del 2012.
Negative anche le valutazioni circa l’utilizzo di legname legale da parte delle istituzioni pubbliche: undici infatti i Paesi che hanno ancora legname illegale nelle loro catene di fornitura e peccano di mancanza di controlli al riguardo, sebbene l’utilizzo degli appalti pubblici per stimolare la domanda di legname di origine legale sia stato già incoraggiato dal vertice di Rio del 1992.
IN ITALIA. Per quanto riguarda il nostro Paese, «è impressionante vedere come l’Italia, che è uno dei maggiori mercati europei di legname e di suoi derivati, non sia riuscita a definire ed a promuovere una puntuale politica di gestione della materia – ha dichiara Massimiliano Rocco,  Responsabile del Programma TRAFFIC, Specie e Foreste del WWF Italia, in un articolo per il sito Salva le Foreste - Le istituzioni non sono neppure riuscite ad identificare l’Autorità delegata a gestire la materia e negli scorsi mesi la EU ci ha sollecitato con lettera scritta». Mancanza che, secondo l’associazione ambientalista, oltre a influire sulla distruzione delle foreste mondiali rischia anche di compromettere l’intero settore produttivo legato al legname, «da quello del mobile alle cucine alla carta stampata, che vale svariati miliardi e impiega centinaia di miglia di addetti – continua Rocco -. Inoltre la mancata definizione di autorità e politiche rischia anche di fare scattare una nuova procedura di infrazione nei nostri confronti. Solo una adeguata legislazione può garantire la legittimità del mercato del legno».

martedì 28 febbraio 2012

BOCCONI GHIOTTI E AMARI NELLO SPEZZATINO TORINESE

Franco Becchis LaVoce.info 28.02.2012

Il comune di Torino ha iniziato l'iter per la cessione del 40 per cento di alcune delle sue aziende partecipate, con un possibile incasso futuro stimato attorno ai 200 milioni di euro. È un'operazione che coinvolge più attori: fondazioni bancarie locali, altri potenziali acquirenti e utenti, che non sono solo i torinesi. Il boccone più ambito è Trm, la società per il trattamento dei rifiuti. In futuro, dunque, il comune di Torino sposterà una parte del proprio ruolo virtuale di regolatore a una holding. Ed è a questa e alla qualità del suo apparato che i cittadini dovranno guardare.
Il comune di Torino sta completando i passi necessari per arrivare alla cessione del 40 per cento di alcune delle sue aziende partecipate, con un possibile incasso futuro stimato attorno ai 200 milioni di euro. (1) La delibera di giunta, architrave della dismissione, è un documento che andrebbe suggerito, come lettura, a tutti gli studenti di economia e discipline giuridiche, anche per i riferimenti alle pronunce della magistratura contabile, che ha detto sì alle holding municipali. (2)
IL QUADRO
Torino ha accumulato uno stock di debito che nel 2009 ha superato ampiamente i 5 miliardi. (3) E su questo sono all’opera due fattori di pressione: le ristrettezze delle finanze locali; la possibilità per gli enti locali che scelgono di vendere partecipate di accedere a un fondo strutturale governativo per gli investimenti, fuori dai vincoli del patto di stabilità. (4)

IL PROGETTO
La dismissione delle partecipate avverrebbe, nelle intenzioni del comune, secondo un piano che prevede più attori. La attuale “scatola” delle partecipate (Fct) che detiene quote in Iren (energia, acqua, rifiuti), Smat (acqua), Gtt (trasporti), Amiat (rifiuti), autostrade e altro, viene trasformata in Hct (Holding Città di Torino, srl a socio unico), a cui il comune trasferirà il 40 per cento delle sue partecipazioni in Gtt, Amiat e Trm (termovalorizzatore), a costo zero per la holding, che tuttavia provvederà a cederle sul mercato per poi trasferire la liquidità al comune. Il restante 60 per cento verrebbe trasferito dal comune alla holding a titolo di conferimento, configurando così il controllo comunale.

GLI ATTORI, IL COPIONE, I RUOLI
È una operazione che coinvolge più attori. In primo piano ci sono le fondazioni di origine bancaria (Fob) locali (la Compagnia di San Paolo e la Fondazione Crt) che potrebbero essere chiamate a intervenire come soci “privati” (ma di fatto controllati dall’establishment politico amministrativo locale” nel momento in cui la Holding offrirà al mercato il 40 per cento delle partecipazioni. A fianco delle Fob vi sono altri potenziali acquirenti, fra cui Iren, la multi utility energetica che buon senso e strategia industriale vorrebbero molto interessata soprattutto al futuro termovalorizzatore e forse al ciclo idrico. Tuttavia, il caso è particolarmente interessante perché oltre ad essere un potenziale acquirente, Iren è anche creditore per circa 223 milioni di bollette non pagate dal comune di Torino per l’illuminazione pubblica, una cosa che non piace molto agli altri sindaci co-proprietari di Iren (come quello di Reggio Emilia): la tentazione di fare uno swap fra crediti e asset potrebbe fare capolino. In seconda fila, troviamo le partecipate “mangiate” dalla holding, costrette a recitare un copione già scritto.
In fondo al proscenio, i contribuenti di Torino e gli utenti che pagano le bollette dei servizi locali, fra i quali però vi sono parecchi non residenti poiché i bacini di riferimento dei servizi vanno oltre i confini comunali: come spiegare a un cittadino di Moncalieri o di Venaria che sulla sua bolletta influisce il debito del comune di Torino?

IL BOCCONE AMBITO
Trm (Trattamento rifiuti metropolitani), che sta costruendo e gestirà il futuro termovalorizzatore dell’area metropolitana torinese, capace di ingoiare 400.000 t/anno di rifiuti urbani e di produrre energia elettrica e energia termica, è il boccone più ambito del paniere di partecipate che la holding acquisisce. (5) Sorretta da un pool di finanziatori che comprende Bnp Paribas e Banca europea degli investimenti, questa macchina da soldi e energia deve remunerare il capitale investito per i prossimi venti anni: molti politici locali vorrebbero anche che Trm trasformasse l’immondizia in dividendi. Ma questo apre un conflitto con la regolazione tariffaria e l’equità. Tuttavia, soprattutto dal punto di vista della integrazione fra il ciclo dei rifiuti, la produzione di energia e le reti di calore, un accorpamento di Trm e Iren è giudicato da molti auspicabile. Un ulteriore ostacolo sulla via della cessione del 40 per cento di Trm è rappresentato dai comuni della cintura torinese titolari di piccole quote minoritarie in Trm, che si sentono defraudati dalla cessione del socio maggioritario, un po’ come il parco buoi in borsa quando ci sono le offerte pubbliche di vendita.

LE SFIDE FUTURE: REGOLAZIONE E SVILUPPO INDUSTRIALE
Quando l’utente medio si vede recapitare la bolletta dei rifiuti, o quella della luce e del riscaldamento, preferirebbe sapere che esiste un sistema di regolazione che lo tutela da eventuali rendite di posizione delle aziende erogatrici. Inoltre, le tariffe dei servizi locali sono fortemente regressive (pesano di più sui redditi più bassi), creando problemi di equità distributiva. (6) Riconoscere il conflitto fra questa esigenza e la situazione della finanza locale oggi è il primo passo per delineare un punto di equilibrio fra le esigenze di regolazione e i vincoli di finanza pubblica.
In una fase in cui la crisi della finanza locale spinge i comuni a dismettere una parte del capitale accumulato durante la presenza municipale nelle utilities in decenni di storia, è comprensibile che da più parti arrivino voci di preoccupazione e anche contestazione.
Qualunque sia la ratio delle critiche e delle preoccupazioni, la filigrana della risposta pubblica, quella del sindaco e del consiglio comunale, per capirci, non può che essere la capacità di gestire le dismissioni e il post-dismissioni in un modo coerente con gli interessi collettivi.
In futuro, con la holding, il comune di Torino sposterà una parte del proprio ruolo virtuale di regolatore (quello formale lo hanno le Aato, per adesso, l’Aeeg e il comune per la Tarsu/Tia) alla holding stessa. Tale ruolo virtuale spesso ha la forma della tradizionale (e ben nota nella politica monetaria e bancaria) moral suasion. Chi paga le bollette forse dovrà guardare, oltre che al municipio, agli uffici della holding e alla qualità professionale del suo apparato.

(1) Deliberazione del consiglio comunale su proposta della giunta comunale del 7 ottobre 2011.
(2) "La holding, che costituisce un'evoluzione nel sistema di governance delle partecipazioni degli enti locali, diverrebbe un mero strumento societario la cui finalità è quella di dare risposta in maniera efficace, efficiente ed economica a delle esigenze concrete al fine di superare le c.d. asimmetrie informative fra ente locale e società partecipate" Corte dei conti.
(3) Un cittadino che volesse informarsi sul debito del comune di Torino avrebbe delle sorprese mediatiche: il debito è infatti un numero che cambia a seconda delle fonti consultate. La fonte del dato fornito in questo articolo è il bilancio consolidato del gruppo conglomerato città di Torino. Ma secondo Il Sole-24Ore è di 3,2 miliardi (http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2011/11/DebitoComuni.pdf?uuid=9c39af42-0d20-11e1-bd65-63822369b075?uuid=AagSWvKE), secondo La Stampa è di 5,7 miliardi (http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cronaca/200901articoli/9256girata.asp), secondo il movimento 5 Stelle è superiore a 5 miliardi (http://www.movimentotorino.it/temi/loro-spendono-noi-paghiamo-i-debiti.html).
(4) Articolo 6-quinquies del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133: “nei limiti delle disponibilità in base alla legislazione vigente e comunque fino a 250 milioni di euro per l'anno 2013 e 250 milioni di euro per l'anno 2014, è destinata, con decreto del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il ministro dell'Economia e delle Finanze, ad investimenti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedano, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2012 ed entro il 31 dicembre 2013, alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico”.
(5) Perché la holding possa prendersi Trm, tuttavia, si deve superare un ostacolo giuridico-amministrativo sollevato da più parti: Trm infatti gode di un affidamento in house (senza gara), il cui presupposto (il controllo dell’affidante sull’affidatario, che deve essere “analogo” a quello gerarchico fra uffici della pubblica amministrazione), verrebbe meno, secondo una interpretazione diffusa, se tale controllo passasse dal comune alla holding.
(6) Si veda, a titolo indicativo, il report di Fondazione per l’ambiente sull’impatto delle tariffe sui redditi nelle principali città piemontesi: http://www.fondazioneambiente.org/MONSPL/FA-MONSPL2011-rapporto-finale.pdf

venerdì 17 febbraio 2012

Opus Dei vs. CL

Vaticano, dietro lo scandalo lo scontro tra Cl e Opus Dei
Intervista a Ferruccio Pinotti di Valerio Gigante (adistaonline.it)

Cosa pensi dello scandalo scoppiato dopo le rivelazioni fatte da La7 sul caso Viganò?Mi pare chiaro che è in atto uno scontro interno al Vaticano che sta raggiungendo un livello molto alto e che ha oggi come obiettivo principale il segretario di Stato card. Bertone e il suo entourage.

Sei quindi dell’idea che la vicenda non sia scoppiata casualmente, ma che sia piuttosto il frutto di una strategia interna agli ambienti ecclesiastici. Un po’ come il caso Boffo del 2009... Del resto (come testimonia la parola “Pervenuta” stampigliata in alto a destra dell’originale mostrato da Gianluigi Nuzzi), la lettera di Viganò al card. Bertone è uscita dalla segreteria di Stato, non dall’archivio privato dell’ex segretario del Governatorato...Sì, è un’ipotesi molto realistica. In Vaticano da anni è in atto una guerra tra correnti. Il conflitto, per come si sta oggi sviluppando, mi appare piuttosto confuso negli esiti, e in ogni caso assai poco governabile. La fuga di notizie data in pasto ai media lo testimonia. Bertone in Curia di nemici ne ha sempre avuti. Ritengo però che oggi l’ostilità nei suoi confronti si sia acutizzata in conseguenza dell’operazione che il Segretario di Stato ha condotto in maniera molto decisa per l’acquisizione del San Raffaele. Il progetto di espansione degli interessi vaticani in ambito sanitario di per sé certamente confligge con gli storici interessi in quel settore di Comunione e Liberazione. Ma portare quel progetto proprio in Lombardia, nel cuore del potere ciellino, e per di più mirando al san Raffaele, un ospedale che ottiene 450milini di euro l’anno di rimborsi pubblici per le prestazioni sanitarie che eroga, ecco, questo forse è stato l’azzardo che Bertone sta pagando. Ed in effetti, tra i più accesi oppositori del tentativo di scalata di Bertone al San Raffaele c’era proprio il cardinale Scola, la cui azione si è saldata con quella degli ambienti vicini alla Cei e con un certo numero di esponenti di Curia che negli ultimi anni erano stati progressivamente messi ai margini da Bertone.

Bertone è stato sostenuto in questi anni dall’Opus Dei (ai vertici dello Ior siede tra l’altro un suo soprannumerario, Ettore Gotti Tedeschi), che sarebbe rientrato all’interno della fallita operazione di acquisizione del San Raffaele assieme all’imprenditore Malacalza. Si riproporrebbe quindi su un piano intra-ecclesiale oltre che su quello economico-finanziario il tradizionale scontro tra Cl ed Opus Dei?Sì, con una differenza rispetto al passato: che l’Opus Dei non ha più quell’atteggiamento di superiorità e di altezzosa indifferenza che ha tradizionalmente avuto nei confronti del movimento di don Giussani, quando l’Opera si occupava di alta finanza e lasciava a Comunione e Liberazione gli appalti ed i rapporti con le amministrazioni locali. Un cambiamento che ho potuto personalmente constatare nelle dichiarazioni che al meeting di Rimini del 2009 mi ha rilasciato lo stesso portavoce dell’Opus Dei in Italia, Giuseppe Corigliano molto attento a cercare un dialogo con Cl, a sottolineare i carismi che rendevano simili l’Opera con il movimento di Giussani. Certo, allo stesso tempo si notava anche un certo imbarazzo di Corigliano di fronte all’esibizione di grandezza e potere che caratterizza le kermesse di Cl e che non rientrano minimamente nello stile dell’Opus. Un disagio che, oltre al disappunto, celava forse anche una certo desiderio di emulazione.

Certo, oggi più che lo scontro tra due forze, sembrerebbe configurarsi quello tra due debolezze, se è vero che l’Opus alla fine non è riuscita nell’intento di rafforzare la propria presenza nel settore della sanità e Cl non sta attraversando un periodo felicissimo dal punto di vista politico e giudiziario...Se a ciò aggiungiamo la crisi economica riusciamo probabilmente a spiegarci anche l’intensità che lo scontro intra-ecclesiale ha raggiunto negli ultimi mesi e che è difficile rintracciare, almeno in queste forme, in stagioni precedenti vissute dalla Chiesa cattolica post-conciliare

Tu ritieni il papa spettatore suo malgrado dello scontro in atto o parte in causa, per aver nominato Bertone ed averne sostenuto l’azione?È difficile rispondere. Storicamente questo papa ha avuto relazioni ottime con Comunione e Liberazione, di cui ha sempre ammirato lo spirito e l’azione ecclesiale. Non a caso sono delle Memores Domini a prestare servizio nell’appartamento pontificio. Ma anche l’Opus Dei ha avuto con l’attuale papa un rapporto privilegiato. Alcuni si spingono a sostenere che l’Opera abbia giocato un ruolo importante nella stessa elezione di Benedetto XVI. Ecco, ritengo che oggi Ratzinger preferirebbe mediare tra i diversi interessi in campo; ma che, oggettivamente, anche per il livello della posta in gioco e degli attori in campo, la situazione gli sia sfuggita di mano. Insomma, è in atto nella Chiesa un progetto disgregativo che molto difficilmente il papa o Bertone potranno ricondurre all’unità.

Benedetto XVI ha però dato molto potere proprio a quelle realtà che oggi nella Chiesa combattono apertamente la propria lotta per l’egemonia...La contraddizione sta proprio qui. Questo papa oggi vorrebbe ricondurre all’ordine lefebvriani, legionari, neocatecumenali, ciellini, opusdeisti. Ma si tratta di strutture a cui negli anni passati, specie sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, è stata concessa una autonomia enorme dal punto di vista dottrinario, ecclesiale e – soprattutto – finanziario. Oggi quindi le spinte centrifughe, innescate dallo stesso pontificato wojtyliano (all’interno del quale Ratzinger ha giocato un ruolo tutt’altro che secondario) sembrano molto più forti di quelle centripete e il papa non credo riuscirà a ricondurre all’unità settori del corpo ecclesiale divenuti ormai molto influenti, anche in virtù dell’enorme potere finanziario accumulato. E che combattono la loro battaglia uno contro l’altro su piani molto complessi e differenti, da quello delle strategie politiche a quello delle alleanze con i banchieri ed il mondo industriale, dalla finanza alla acquisizione di ospedali e università, dalla occupazione dei posti chiave nell’organigramma vaticano alle nomine episcopali. 

giovedì 16 febbraio 2012

Boff dixit

Dove andranno gli Indignati e gli “Occupanti”?

Leonardo Boff
Teologo/Filosofo


In uno dei dibattiti importanti, a cui ho partecipato nel Forum Social Tematico di Porto Alegre, ho ascoltato dal vivo le testimonianze degli Indignati di Spagna, di Londra, Egitto e USA. 
Sono rimasto molto impressionato dalla serietà dei loro discorsi, lontana dallo stile anarchico anni 60 del secolo passato, con le sue molte “parole”. Il tema centrale era “democrazia ora”. 
Veniva rivendicata un'altra democrazia, ben differente da quella a cui siamo abituati, che è più una farsa della realtà. 
Vogliono una democrazia che si costruisca partendo dalle strade e dalle piazze, il luogo del potere originario. 
Una democrazia dal basso, articolata organicamente con il popolo , trasparente nei suoi procedimenti e non più corrotta. 
Questa democrazia, in sintesi, si caratterizza per il suo collegare la giustizia sociale con la giustizia ecologica.
 Curiosamente, gli Indignati, gli “Occupanti , quelli della Primavera Araba non si riferiscono ai classici discorsi di sinistra, nemmeno ai sogni delle varie edizioni del Forum Sociale Mondiale.
  
Siamo in un altro tempo ed è nata una nuova sensibilità. 
Si postula un altro modo di essere cittadini, comprendendo con forza le donne finora realtà invisibili, cittadini con diritti, con partecipazione, con relazioni orizzontali e trasversali facilitate dalle reti sociali, dal cellulare, da twitter e facebook. Abbiamo a che fare con una vera rivoluzione. 
Prima le relazioni si organizzavano in forma verticale, dall'alto in basso. Ora è in forma orizzontale, dai lati, nella immediatezza della comunicazione alla velocità della luce. 
Questo modo rappresenta il tempo nuovo che stiamo vivendo, dell'informazione, della scoperta della soggettività, non quella della modernità, incapsulata in se stessa, ma della soggettività relazionale, dell'emergenza di una coscienza di specie che si scopre dentro la stessa e unica Casa Comune, Casa in fiamme o in rovina per l'eccessivo saccheggio del nostro sistema di produzione e consumo. 
 Questa sensibilità non tollera più i metodi del sistema di superare la crisi economica e le sue conseguenze, sanando le banche con denaro dei cittadini, imponendo una severa austerità fiscale, sbaraccando la sicurezza sociale, l'appiattimento dei salari, il taglio degli investimenti, nel presupposto illusorio di riconquistare in questo modo la fiducia dei mercati e rianimare l'economia. 

Tale concezione è dogmatica e ripete stupidamente :“TINA: there is no alternative”, non c'è alternativa. 
I sommi sacrileghi Sacerdoti della per nulla Santa Trinità, il FMI, l'Unione Europea e la Banca centrale Europea hanno fatto un golpe finanziario in Grecia e in Italia e hanno messo i loro accoliti come gestori della crisi, senza passare per il rito democratico. 
Tutto è visto e deciso nell'ottica esclusiva dell'economia, che opprime il sociale e la inutile sofferenza collettiva, la disperazione delle famiglie e l'indignazione dei giovani che non trovano lavoro. 
Tutto questo può finire in una crisi dalle conseguenze drammatiche. 
 Paul Krugmann, premio Nobel per l'economia, è stato alcuni giorni in Islanda per studiare come questo piccolo paese è uscito dalla sua crisi travolgente. 
Hanno percorso un cammino corretto, che anche altri dovrebbero seguire : hanno lasciato andare in rovina le banche, messo in galera i banchieri e gli speculatori che praticavano truffe, riscritto la Costituzione, garantito la Sicurezza Sociale per evitare un crollo generalizzato e sono riusciti a creare lavoro. 
In conseguenza: il paese è uscito dal pantano ed è uno di quelli che cresce di più frai i paesi nordici. La via dell'Islanda è stata messa sotto silenzio dai media di tutto il mondo, nel timore che fosse di esempio per altri paesi. E così il carro, con misure equivoche ma coerenti con il sistema, corre velocemente verso il precipizio. 
Contro questo prevedibile esito c'è l'opposizione degli Indignati. 
Vogliono un altro mondo più amico della vita e rispettoso della Natura. Forse l'Islanda ci sarà di ispirazione? Chi lo sa? Certamente non nella direzione dei modelli del passato, già esauriti. 
Andranno nella direzione di cui parlava Paulo Freire “dell'inedito fattibile” che nascerà da questo nuovo immaginario. 
Che si esprime, senza violenza, in uno spirito democratico-partecipativo, con molto dialogo e scambi che arricchiscono. 
In ogni caso il mondo non sarà più come prima, molto diverso da come i capitalisti desidererebbero che rimanesse.

(traduzione di Antonio Lupo)

mercoledì 15 febbraio 2012

L’AATO3 Torinese non obbedisce alla legge


Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
Comitato Acqua Pubblica Torino
presso ARCI – via Verdi 34 – 10124 Torino
www.acquapubblicatorino.org – tel 388 8597492

Comunicato Stampa
L’AATO3 Torinese
non obbedisce alla legge
Si profilano manovre gattopardesche contro l’esito referendario del 12 e 13 giugno 2011

L’AATO3 (Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale che governa il Sistema Idrico Integrato torinese) non ha un cuor di leone :
* ha deliberato la tariffa media dell’acqua per il 2012 senza detrarre la quota del 7% di remunerazione del capitale investito, abrogata da oltre 26.000.000 di voti nel referendum del 12 e 13 giugno 2011.
* ammette che così facendo non applica l’esito referendario e ne attribuisce la responsabilità a generiche volontà superiori che non hanno ancora impartito istruzioni in merito! Come se la Corte Costituzionale non fosse la più alta autorità giuridica e non avesse peso la sua chiarissima sentenza n. 26/2011: l’esito referendario entra in vigore dal momento della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, quindi l’abrogazione immediata del balzello del 7% a carico degli utenti decorre dal 21 luglio 2011.
* ci assicura però che se la tariffa verrà ridotta, ci restituirà la differenza indebitamente riscossa a partire dal 2013. Bontà sua!

Serpeggia intanto tra le forze politiche locali e nazionali l’ipotesi di una beffa a 26 milioni di italiani . Nella logica gattopardesca “tutto cambia affinché nulla cambi” i nostri politicanti pensano di cambiare il nome del balzello del 7% : da “remunerazione del capitale investito” si chiamerebbe “quota destinata agli investimenti” e la tariffa resterebbe quindi la stessa di prima del Referendum

Denunciamo fin d’ora queste possibili manovre e chiediamo agli organi d’informazione di farle conoscere alla cittadinanza in modo completo e oggettivo perché si scrive acqua ma si legge democrazia.

In questa situazione opaca segnaliamo però un primo spiraglio di luce emerso dal voto dell’Assemblea dell’AATO3: la Comunità Montana Valle di Susa e Val Chisone e i sindaci rappresentanti delle aree Omogenee 12 Orbassano (Beinasco, Bruino, Orbassano, Piossasco, Rivalta di Torino), e 10 Moncalieri (Cambiano, Candiolo, La Loggia, Moncalieri, Nichelino, Piobesi Torinese, Trofarello, Vinovo) non hanno votato a favore incrinando così la tradizionale unanimità delle votazioni dell’AATO3. E’ un segnale importante di una maturazione sui temi dell’acqua bene comune da gestire senza scopo di lucro: se per i rappresentanti della Valle di Susa è un concetto insito nelle loro lotte, per gli altri amministratori pubblici è un’acquisizione più recente, frutto anche dell’intenso lavoro svolto del nostro Comitato Acqua Pubblica Torino-Sud in quel territorio.



Ne riceve ulteriore impulso la Campagna di Obbedienza civile (www.acquapubblicatorino.org e www.obbedienzacivile.it che si sta sviluppando in tutta Italia, accompagnata sul nostro territorio, da iniziative rivolte per ora al Comune di Torino e ai maggiori Comuni dell’area torinese per l’applicazione dell’esito referendario:
fuori l’acqua dal mercato: trasformazione di SMAT in ente di diritto pubblico
fuori i profitti dall’acqua:
abolizione della quota di “remunerazione del capitale” dalla bolletta dell’acqua che viene così diminuita del 16,32% nel 2012.

Torino, 14 febbraio 2012

La diga di Quimbo [post #2]

In questi giorni l’epilogo del conflitto che vede contrapporsi da 4 anni da un lato la controllata ENEL – ENDESA e dall’altro le comunità residenti e resistenti che verranno sfollate per aprire spazio a un mega progetto idroelettrico dal valore di 837 milioni di dollari fino al 2014.


Il Quimbo, questo è il nome della diga che le multinazionali italo spagnole pretendono costruire, è una gigantesca opera che inonderà 8.500 ettari delle terre agricole più fertili del paese, per produrre energia destinata all’esportazione e a coprire il fabbisogno energetico interno, che si prevede incrementerà in maniera esponenziale con la conversione in atto del territorio colombiano in una enorme miniera a cielo aperto.


Sono 4 anni che le comunità del Huila, la regione dove sorgerà la diga, protestano, si oppongono pacificamente e legalmente alla distruzione delle loro esistenze, della sicurezza alimentare del paese e di una valle bellissima, riserva di protezione della Amazzonia. Lo hanno fatto portando avanti con assiduità e insistenza le proprie ragioni, scontrandosi contro il muro di gomma di una burocrazia e di un mondo politico che non vogliono capire. O forse che hanno capito benissimo e si sono schierati, anche a costo di violare le stesse norme costituzionali colombiane. La Contraloria, un ente di controllo statale, ha già aperto una indagine contro le autorità ambientali e contro lo stesso ministro di ambiente, riscontrando pesanti irregolarità nella concessione dei permessi per la realizzazione della idroelettrica. Ma i tempi di indagine sono lunghi.

Il 20 febbraio Enel e Endesa devieranno il corso del Magdalena, il più grande fiume colombiano, causando un danno irreparabile.


Le comunità resistono, si sono accampate nella zona dei lavori per impedire il danno, dicono che non se ne andranno da lì. Da un lato ci sono centinaia di persone, pescatori, costruttori, braccianti, contadini e mezzadri, accampati lungo il fiume. Dall’altro buldozer, scavatrici, luci che illuminano a giorno il cantiere degli italiani e degli spagnoli. In mezzo esercito e ESMAD, i tristemente famosi squadroni antisommossa colombiani che dalla loro creazione ad oggi hanno ucciso decine di persone reprimendo il dissenso. L’impresa ha richiesto l’intervento dell’esercito e degli antisommossa. Lo sgombero è stato previsto per martedì 14 febbraio.

MATERIALE INFORMATIVO:

Articolo di C.Amicucci (ilManifesto, 14/02/12)
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20120214/manip2pg/14/manip2pz/318004/

ULTIMA ORA: Testimonianza in loco di un italiano del comitato Carlos Fonseca http://comitatocarlosfonseca.noblogs.org/post/2012/02/14/sgomberati-i-blocchi-alla-diga-enel-in-colombia/#more-3058


SOTTOSCRIVI LA PETIZIONE
http://censat.org/index.php?option=com_chronocontact&chronoformname=quimboener2012en

PATAGONIA SENZA DIGHE
La pagina web che denuncia le politiche energetiche dell’ENEL e delle multinazionali dell’ENERGIA
www.patagoniasenzadighe.org


http://www.yaku.eu/primapagina_articolo.asp?id=1965
http://defensaterritorios.wordpress.com/
http://www.portafolio.co/negocios/obras-la-hidroelectrica-el-quimbo-llevan-un-mes-detenidas

LA PAGINA WEB DELLA IMPRESA EMGESA ( ENEL – ENDESA )
http://www.emgesa.com.co/eContent/newsDetail.asp?id=411
http://www.proyectoelquimboemgesa.com.co/site/

Contatto stampa: 348 7467493 - francescacaprini@yaku.eu


FERMIAMO LA COSTRUZIONE DELLA DIGA
DI QUIMBO IN COLOMBIA 

Dal 4 gennaio i comitati locali riuniti nell’associazione Assoquimbo presidiano il territorio del dipartimento di Huila, in Colombia, per bloccare la costruzione della diga che inonderà 8.500 ettari delle terre agricole più fertili del paese - 6 i comuni coinvolti - e pregiudicando un territorio ricco di biodiversità, naturali e culturali, e abitato da circa 3.000 persone. 

Il blocco dei movimenti colombiani intende anche fermare lo scavo imminente di un tunnel di 400 metri che dovrebbe permettere la deviazione disastrosa del fiume Magdalena per il 20 febbraio. Le multinazionali Enel-Endesa hanno comandato all’esercito antisommossa di sgombrare in queste prossime ore il territorio dai manifestanti. 

In appoggio ai movimenti colombiani è stato convocato un presidio giovedì 16 alle 14 - 17 , davanti la sede nazionale Enel Spa in viale R.Margherita/angolo via Savoia a Roma

Aderiscono:
Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
Yaku; Cobas; comitato Carlos Fonseca Roma; Spazio sociale ex 51

venerdì 10 febbraio 2012

L'Oscar della Costituzione

"Eh no. Non si può accettare che la morte di Oscar Luigi Scalfaro (29 gennaio2012) venga liquidata abbastanza sbrigativamente dai grandi mezzi d’informazione, dal mondo politico e anche dalla Chiesa"...


Leggi QUI
EDITORIALE di Renato Sacco
su Mosaico di pace n. 2 - febbraio 2012

pubblicato su gentile concessione dell'editore

giovedì 9 febbraio 2012

come si cambia

come è cambiata la nostra credibilità in così poco tempo...
sembra un'era fa, eppure sono passati solo pochi mesi

con maggiore speranza

beppe

martedì 7 febbraio 2012

Elezioni in Senegal

Sarà la “primavera sub-sahariana”?

Il paese nel caos, dopo il via libera alla candidatura di Wade per un terzo mandato presidenziale.
I giovani, protagonisti delle proteste, difendono democrazia e legalità costituzionale 

senegal 01 672 458 resize 500x333 Elezioni in Senegal: sarà la “primavera sub sahariana”?
Tensioni e scontri in Senegal
Tensioni in Senegal, in vista delle elezioni, il prossimo 26 febbraio. Il paese sembra essere sull’orlo della guerra civile, dopo il via libera alla candidatura del presidente uscente, Abdoulaye Wade, per un terzo mandato consecutivo e l’esclusione di Youssou N’Dour, alle elezioni presidenziali.
La ricandidatura dell’attuale presidente, 85 anni di cui 12 al potere, è stata confermata dal Consiglio Costituzionale, secondo cui il limite della nuova Costituzione (non più di due mandati) non riguarda Wade, già eletto quando la legge entrò in vigore, nel 2001. Decisione che ha mandato su tutte le furie l’opposizione senegalese: protagonisti del fronte anti-Wade, Youssou N’Dour, escluso dalle elezioni con la motivazione di non aver saputo presentare un numero sufficiente di firme valide (diecimila) e i leader del “Movimento del 23 giugno” (M23), che hanno definito la candidatura di Wade un vero e proprio “colpo di stato costituzionale”.
Le tensioni politiche, negli ultimi giorni, sono esplose in varie zone del paese, con scontri e tafferugli che hanno provocato l’uccisione di un poliziotto e di alcuni manifestanti nella capitale, Dakar, e a Podor (nel nord del paese). Secondo alcuni media locali, l’intenzione era quella di marciare sul palazzo presidenziale. Un’escalation di violenza, di fronte alla quale sono arrivate le reazioni della comunità internazionale: la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, ha dichiarato che gli Usa, pur rispettando la legalità della ricandidatura di Wade, sono convinti che “la dignità di un capo di Stato consista nel lasciare il posto alla nuova generazione”. Più cauta la posizione di Parigi, che, da ex potenza coloniale, si è rammaricata del fatto che “tutte le sensibilità politiche non possano essere rappresentate”. Preoccupazioni internazionali sempre più forti verso un paese, che non ha mai conosciuto un colpo di stato, conquistando, negli ultimi decenni, un posto privilegiato tra i paesi africani, dove i valori democratici sono fortemente radicati.
Un paese che, oggi, deve affrontare una frustrazione diffusa contro una politica caratterizzata da favoritismi verso una ristretta élite e dal peggioramento delle condizioni sociali della gran parte della popolazione: una delusione ancora maggiore dopo che l’elezione dello stesso Wade nel 2000 aveva posto fine al dominio del partito socialista, aprendo la strada a quell’alternanza al potere, tipica dei sistemi democratici consolidati.
Ecco allora che il pensiero corre, inevitabilmente, alle ultime “rivoluzioni” del Nord Africa, con la speranza di una “primavera senegalese”: anche in Senegal la lotta è portata avanti soprattutto dai giovani, che, a differenza dei loro coetanei tunisini o egiziani, non chiedono riforme per una maggiore democratizzazione, bensì il mantenimento dell’ “acquis democratico” e della legalità costituzionale. Sono proprio loro i simboli della resistenza democratica, i giovani rappers locali, ispirati dalle rivolte nei paesi arabi, che, ancora una volta, si ritrovano in piazza (questa volta, piazza dell’Obelisco, a Dakar) per denunciare la decadenza sociale, morale ed etica del loro paese. E non è un caso che il candidato escluso, Youssou N’ Dour, abbia a che fare proprio con queste nuove dinamiche socio – culturali, in un paese che costituisce un’eccezione nel panorama africano, per la sua straordinaria effervescenza politico – sociale. Così, l’attaccamento al potere di un presidente ultraottantenne deve fare i conti con il movimento “Y’en a marre!” (“Siamo stufi!”), poi rinominato M23, dopo la manifestazione del 23 giugno, che lo ha costretto a rinunciare al progetto di riforma costituzionale, che avrebbe favorito la successione alla guida del paese di suo figlio Karim, modificando la percentuale dei voti (25%), necessaria per essere eletto presidente al primo turno. Un movimento, in grado di mobilitare grandi masse di senegalesi, all’interno del quale sono confluiti partiti, sindacati e organizzazioni non governative.
La paura è che ora il Senegal possa scivolare nel caos di una guerra civile. Ma non solo: molti temono anche il rischio di conflitti religiosi e dell’integralismo islamico, in un paese, in cui i cristiani – pur costituendo la minoranza della popolazione (6%) – hanno sempre partecipato al dialogo interreligioso, conservando un indiscusso riconoscimento pubblico. Un rischio, d’altronde, già apertamente denunciato nel 2003 dall’intellettuale cattolico Jérôme N’Dour: “E’evidente che oggi si assiste a un ribollire di slanci islamisti in Senegal – ha sottolineato -. Ma questo fondamentalismo è spesso ispirato dall’esterno, in quanto nel paese le confraternite vi hanno sempre posto un freno”. Tuttavia, “le ambizioni politiche di taluni religiosi – continua –  rischiano di invertire questa tendenza. Alcuni di loro hanno studiato in Pakistan, Egitto e Arabia Saudita, paesi che finanziano molte associazioni musulmane che stanno penetrando anche nelle regioni rurali, sotto la copertura di progetti di sviluppo”.

, DirittoDiCritica (6 febbraio 2012)


sabato 4 febbraio 2012

Acqua Pubblica: Torino chiama Italia

Nuovo appuntamento di Radiowave International
con i cittadini che nel nostro paese difendono i diritti di tutti, a partire dall'acqua.

VAI alla trasmissione
http://host117-227-149-62.serverdedicati.aruba.it/al-ritmo-dei-nostri-passi/9676-acqua-pubblica-torino-chiama-italia
 

Mariangela Rosolen di Torino (coordinatrice regionale del comitato 2Si per l'Acqua Bene Comune), illustra l'organizzazione e la situazione con il gestore locale. Pronti a partire con la Campagna di Obbedienza Civile i 13 "sportelli aperti" su Torino

Marco Bersani di Attac Italia e del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua Pubblica. Uno sguardo globale della situazione italiana  riguardo alla Campagna di Obbedienza Civile. Un accenno anche alla discussione interessante che si è aperta la settimana scorsa con il Presidente di Publiacqua Erasmo De Angelis


La Diga di Quimbo in Colombia

Azione urgente contro la diga El Quimbo in Colombia

Qualora fosse portata a termine, la diga di El Quimbo inonderebbe uno dei territori più fertili dello stato colombiano di Huila. Centinaia di pescatori, contadini e lavoratori del comparto dei trasporti dipendono dal Magdalena, il fiume dove sorgerebbe l’impianto idroelettrico, per le loro fonti di sostentamento e per il loro lavoro.

È dal 2008 che le comunità locali protestano contro il progetto e propongono delle alternative per lo sviluppo economico della regione. Lo scorso gennaio, uno sciopero di 15 giorni ha fermato la costruzione del mega-sbarramento. Nonostante la situazione così controversa, la EMGESA, società sussidiaria del gruppo Endesa-Enel, non sembra essere intenzionata a dare ascolto alle istanze della popolazione del posto, tanto che l’8 febbraio ha in previsione di deviare il corso del Magdalena, primo fondamentale passo per il completamento della diga.
Per questa ragione l’organizzazione colombiana CENSAT, ha lanciato un’azione urgente in cui chiede a coloro che hanno a cuore la sorte del Magdalena di scrivere al ministro dell’Ambiente della Colombia per domandare un immediato stop ai lavori di deviazione delle acque del fiume.
Per aderire all’azione urgente: http://censat.org/index.php?option=com_chronocontact&chronoformname=quimboener2012en

Per saperne di più sulla diga di El Quimbo:
http://www.staccalaspina.org/index.php/dighe/ultime-notizie-dighe/318-il-grido-di-matambo

http://plataformasur.blogia.com/


Pagina facebook del movimento di resistenza alla diga in Colombia