domenica 31 luglio 2011

AlReves: i 5 cubani


La verità sequestrata
Il caso dimenticato dei cinque cubani detenuti negli Stati Uniti

E’ notizia di qualche settimana che il Dipartimento di Stato USA ha inserito Cuba - per la trentesima volta - nella sua particolare lista nera degli “Stati patrocinatori del terrorismo internazionale”.
Per tutta risposta, le autorità cubane rimandando le accuse al mittente hanno sottolineato a più riprese come il governo degli Stati Uniti, “che storicamente ha praticato il terrorismo di Stato, le esecuzioni extragiudiziali, i sequestri di persona, gli assassini con aerei non pilotati, la tortura e le detenzioni illegali, che ha stabilito carceri segrete, che è responsabile della morte di centinaia di migliaia di civili innocenti come risultato delle sue guerre di occupazione e di conquista in Iraq e in Afghanistan […]”, non possieda la minima autorità morale per giudicare un paese come Cuba, che è stato ripetutamente vittima di aggressioni illegali e che ha sempre seguito un percorso irreprensibile nella lotta al terrorismo internazionale.
Da parte nordamericana l’obiettivo (mai dichiarato) è sempre lo stesso: giustificare l’anacronistico blocco economico e le politiche restrittive contro Cuba diffondendo false accuse, come la solita “bufala” del terrorismo internazionale, oppure aggrappandosi a pretesti assurdi nel tentativo di gettare discredito sul governo cubano.
Per quest’ultimo, la prova più evidente della doppia morale degli USA è rappresentata dal caso giudiziario dei “Los Cinco”: i cinque informatori cubani condannati per spionaggio e cospirazione, rinchiusi dal 1998 nelle carceri di massima sicurezza dello Zio Sam.

L’accusa.
Dal 1959, anno dell’insediamento della Revolución, ad oggi Cuba ha subito numerosissimi atti terroristici per mano di gruppi paramilitari eversivi - come “Alpha 66” e “Omega 7” - che operano indisturbati in Florida e che notoriamente sono finanziati dalle lobbies anticastriste e dalla Cia.
Nel settembre del 1998, al momento del loro arresto, i cinque agenti dell’intelligence cubana Antonio Guerrero, Fernando Gonzalez, Gerardo Hernandez, Ramon Labaniño e René Gonzalez stavano operando in territorio statunitense come infiltrati per scoprire i piani contro Cuba, messi a punto dai gruppi anticastristi di stanza a Miami.
L’arresto, eseguito dal FBI, avvenne poco tempo dopo l’abbattimento di due velivoli di “Hermanos al rescate” (un’organizzazione eversiva composta da esiliati cubani con base a Miami) da parte dell’aviazione militare cubana. I due aerei, che secondo fonti cubane stavano sorvolando lo spazio aereo dell’isola senza essere autorizzati, poterono essere intercettati grazie alle informazioni passate dai cinque agenti cubani. E per questo il principale accusato, Gerardo Hernandez, è stato giudicato direttamente responsabile dell’abbattimento dei due aerei e condannato a due ergastoli.
Il governo degli Stati Uniti accusò prontamente tutti e cinque gli agenti di “spionaggio e cospirazione per conto di una nazione straniera” - in realtà, i capi d’accusa contestati ai cinque furono, in tutto, ben 24 -, mentre quello cubano si difese sostenendo di aver inviato negli Usa i cinque unicamente con l’ordine di infiltrarsi tra le file dei gruppi terroristici anticubani, allo scopo di ottenere informazioni utili circa le loro attività terroristiche.

Il giudizio.
Il processo contro i Cinque Cubani, cominciato a Miami nell’autunno del 2000, si concluse nel giugno 2001 dopo 7 lunghi mesi di dibattimento. Nelle udienze sono comparsi più di 70 testimoni e sono stati presi in esame più di un centinaio di dossier contenenti trascrizioni e documenti probatori, compresi 15 volumi con le narrazioni dei fatti.
Alla fine, la condanna più pesante (due ergastoli) toccò a Gerardo Hernandez; Guerrero e Labaniño ricevettero anche loro l’ergastolo, mentre Fernando e René Gonzalez furono condannati rispettivamente a 19 e a 15 anni. In tutti e cinque i casi fu inflitta la massima pena per quel genere di reati.
In seguito alle vibranti proteste giunte non solo da parte cubana ma anche da numerosi ambienti politico-culturali e dell’opinione pubblica internazionale, nell’agosto 2005 l’undicesimo tribunale della Corte d’Appello di Atlanta sospese le condanne, ordinando l’esecuzione di un nuovo processo.
Ma appena un anno dopo - a sorpresa - la stessa Corte, sovvertendo la decisione della precedente sentenza, confermò tutte le condanne della Corte di Miami e mise il sigillo finale a questo singolare caso giudiziario, nonostante l’aperta opposizione di due dei suoi membri, i giudici Byrch e Kravitch, secondo i quali “si è trattato di un caso d’eccezione nel quale si doveva imporre un cambio di sede [il trasferimento del processo dalla sede di Miami, ndr], dovuto al pregiudizio latente nella comunità di Miami che rende impossibile la composizione di una giuria imparziale”*.

Le conclusioni.
In spregio alle garanzie legali sancite dal diritto statunitense e da quello internazionale, i cinque cubani sono stati sottoposti ad un processo iniquo ed imparziale nella città dove impera la mafia d’origine cubana, la stessa che ha avuto buon gioco “nello scatenare una violenta e fallace campagna propagandistica per manipolare l’opinione pubblica di Miami e la giuria del tribunale, cosa che è stata ripetutamente denunciata dagli avvocati della difesa”.**
Dalla data del loro arresto sono passati più di dodici anni, e tuttavia i “Cinque Cubani” godono attualmente del sostegno di innumerevoli associazioni e di gruppi di solidarietà in tutto il mondo: tra le personalità più influenti c’è il presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, Miguel D’Escoto, che ha sempre denunciato la loro detenzione come “ingiusta ed illegale”.
L’ultima voce levatasi a difesa dei cinque informatori è quella del Senato belga che, in seguito all’infaticabile opera di sensibilizzazione del “Comitato belga per la liberazione dei Cinque”, ha recentemente approvato una risoluzione che esige dal governo statunitense “un intervento immediato per ottenere la scarcerazione dei cinque detenuti cubani”.   

Andrea Necciai

Note: *es.wikipedia.org/Los cinco cubanos presos en los Estados Unidos. **www.freeforfive.org/es/thefive.

mercoledì 6 luglio 2011

Delibera AGCOM

Pubblicato oggi su "Il fatto quotidiano".

Autore: Avvocato Guido Scorza,
Presidente dell'Istituto per le politiche dell'innovazione.

ciao
beppe

Delibera AgCom: ecco la verità

I diritti fondamentali dei cittadini e degli utenti della Rete stanno per essere travolti nel nome di una crociata che le vecchie industrie italiane della televisione, della musica e dei giornali di carta hanno deciso di combattere contro i c.d. over the top [ndr Google, Facebook e gli altri giganti dell'intermediazione online dei contenuti] servendosi di un'Autorità evidentemente assai poco indipendente – almeno dai poteri economici – come l'AGCom.
E' questa la cruda e disarmante verità che si legge tra le righe dell'appello che la SIAE ha pubblicato questa mattina su un'intera pagina a pagamento dell'edizione cartacea de la Repubblica, continuando, peraltro, a sperperare denaro non suo ma degli autori di cui racconta di voler difendere gli interessi e a dar prova di non aver compreso che lo stesso messaggio, nel secolo della Rete, poteva più efficacemente essere veicolato attraverso Twitter, Facebook e YouTube senza alcun costo.
Nell'appello, infatti, Siae scrive testualmente: "Sappiamo: quanto le società di telecomunicazioni, i provider, i produttori di tecnologie digitali e le cosiddette 'Over the Top' fatturano anche grazie all'utilizzo di contenuti artistici? Migliaia di euro! E soprattutto quanto fatturano pseudo imprenditori senza scrupoli che operano nel mondo digitale, evadendo ogni diritto, 'alle spalle' di chi crea e investe nella produzione di contenuti? Centinaia di miliardi di euro!".
E' questo, dunque, il punto. La delibera che Siae e i firmatari dell'appello in compagnia degli altri sponsor eccellenti della perversa disciplina cui l'AGCom sta lavorando intendono rendere dura la vita a quelli che – ancora una volta mostrandosi incapaci di comprendere il senso del mutamento socioeconomico in atto – percepiscono come propri concorrenti.
Sono i grandi provider e i c.d. "over the top" il vero nemico da abbattere secondo i Lorsignori del copyright, della Tv e dei giornali di carta.
Peccato solo che per raggiungere questo obiettivo – comunque poco nobile, stupido ed anacronistico – si sia ritenuto di potersi appropriare dell'attività di un'Autorità sulla carta indipendente [ndr che dal canto suo si è lasciata colonizzare da certe perverse idee] e di fare carne da macello dei diritti degli utenti e dei cittadini.
E' proprio questa la più grande menzogna che la Siae e l'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni continuano a raccontare al Paese: "Il Provvedimento AGCom Non colpisce l'utente e non limita la sua libertà", scrivono gli autori dell'appello della Siae.
Non è vero.
Sono i miei video, i miei post, la mia musica, i miei contenuti che l'Autorità intende arrogarsi il diritto di far rimuovere dagli intermediari della comunicazione, a mia insaputa e in assenza di qualsivoglia contraddittorio con me, nell'illusione di provocare un danno ai c.d. "over the top" e con la certezza – che si finge di ignorare – di censurare la mia libertà di espressione di pensieri, fatti e creatività.
Eccola la verità: soldi, solamente soldi. Quelli che si vorrebbero strappare agli "over the top" non confrontandosi con loro sul mercato ma imponendo loro il rispetto di regole anacronistiche e quelli che si vorrebbe continuare a fare alle spalle degli utenti, contingentando e limitando la libertà di mercato.
Non ci siamo. Un'Autorità indipendente che ha, tra l'altro, proprio il compito di tutelare la concorrenza nei servizi di comunicazione online non può prestarsi a questa squallida partita a poker tra giganti nella quale gli unici ad alzarsi dal tavolo con le tasche vuote, alla fine, saranno i cittadini e gli utenti.