mercoledì 27 aprile 2011

Spot Acqua Pubblica - Videopost #2

H2O TURKISH CONNECTIONdi Jaroslava Colajacomo (già regista di AGUA MI SANGRE)
"Il movimento globale contro le privatizzazioni dell'acqua:
dal Forum dell'Acqua di Istanbul 2009 al Referendum Italiano del 2011 e verso il Forum Alternativo dei Popoli di Marsiglia 2012"

Trailer:
Coprodotto da Playapart con il supporto del Forum Italiano dei Movimenti per l'acqua, Attac Italia, Abruzzo Social Forum, Acqua Pubblica Torino, Comitato Referendum 2 Si per l'Acqua bene comune Torino, Un Ponte per , Ciscase ed il sostegno sotto forma di azionariato popolare di numerosissimi cittadini ed associazioni che hanno contribuito alla sua produzione supportandone il pre-acquisto tramite il sito web del film
Per tutte le INFO e per il MATERIALE PROMOZIONALE (locandina e breve sinossi):
www.h2oturkishconnection.com
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WATER MAKES MONEY
di L.Franke e H.Lorenz

Il film spiega come le multinazionali fanno i soldi con l’acqua.
Un film promosso da Attac Italia per finanziare la campagna referendaria “2 SI per l’acqua bene comune”

Oltre alle iniziative pubbliche, il film è un’ottima opportunità per organizzare serate fra amici, cene familiari o associative, in modo da favorire l’informazione orizzontale e capillare che da sempre contraddistingue l’agire del movimento per l’acqua.

Trailer (F):

INFO:
www.watermakesmoney.org
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PRESENTAZIONE DEI 2 DOCUFILM e ISTRUZIONI PER RICHIEDERNE LA PROIEZIONE
 

martedì 26 aprile 2011

Il decreto-imbroglio

Roberto Mania da "La Repubblica", 24apr2011

Camusso:
"Grande mobilitazione contro la trovata del decreto-imbroglio" 

La leader Cgil attacca: il provvedimento potrebbe non essere convertito e servire solo a far saltare la consultazione. "L'acqua, come la scuola e la sanità è un bene primario, di cui si può parlare solo in termini pubblici"

"Serve una mobilitazione della politica e della società civile per impedire il decreto-imbroglio che sta preparando il governo con l'obiettivo di far saltare il referendum sull'acqua. Bisogna dire all'esecutivo che un'operazione di questo tipo non si può fare". È la proposta di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che ha messo la sua firma per la richiesta del referendum contro la privatizzazione del servizio idrico. In sintonia con il Comitato promotore pensa che l'acqua sia ancora un "bene primario" e che per questo, come la scuola e la sanità, non se ne possa parlare se non in termini "pubblici". Di "benessere della collettività", dice.

Perché parla di "decreto-imbroglio"? Anche nel passato i governi sono intervenuti con leggi per evitare i referendum.
"Sì, ma mai l'hanno fatto per decreto".
Vuol dire che mancano i requisiti di necessità e urgenza?
"Non solo. C'è di più. Credo che ci sia un problema giuridico non secondario. Ed è qui l'imbroglio: il decreto potrebbe ben non essere convertito in legge e dunque servire esclusivamente a impedire lo svolgimento del referendum. Un imbroglio, appunto".
Il suo è un processo alle intenzioni. È difficile che il governo possa confermare la sua interpretazione. In ogni caso: pensa che il Presidente Napolitano non dovrebbe firmare l'eventuale decreto?
"Non ho alcuna intenzione di tirare per la giacca il Presidente, lo fanno già in molti in un Paese che è in perenne conflitto istituzionale. Però possono entrare in campo la politica e la società civile. Serve una mobilitazione, appunto, di tutti coloro - dai sindaci ai comitati locali - che hanno raccolto le firme per il referendum".
Il governo ha annunciato che intende istituire un'Authority per sorvegliare il mercato dell'acqua. Non sarebbe una garanzia per gli utenti? La privatizzazione sarebbe regolata. È lo stesso modello realizzato nel gas e nell'energia.
"Qui non stiamo parlando di automobili per le quali, non ho dubbi, che debba essere il mercato il campo di gioco. L'acqua è un'altra cosa. L'acqua è come la scuola o la sanità: non si può che parlarne in termini pubblici. Qui bisogna pensare in termini di benessere della collettività, non di guadagni, di profitti o di affari di qualcuno. L'acqua è un bene prezioso ed è per questo che ha senso fare una grande battaglia".
Comunque è l'Europa che ha fissato le regole del gioco. In Francia, per esempio, c'è un modello privatistico del servizio di distribuzione dell'acqua.
"Sì, è vero in Francia è così. Ma ci sono battaglie che si possono fare anche per determinare un cambiamento in Europa".
Chi è a favore della privatizzazione sostiene che l'ingresso della logica di mercato aumenterebbe l'efficienza del servizio, riducendo gli sprechi, le perdite d'acqua lungo i tubi, e probabilmente finirebbe anche per abbassare i costi. Cosa risponde?
"Che questa contrapposizione tra pubblico e privato mi pare fuori luogo. Ci sono gestioni private che hanno migliorato l'efficienza e altre che fanno inorridire. Quello dell'acqua non solo è - come ho detto - un settore pubblico per definizione, ma richiede pure un significativo sforzo dal punto di vista degli investimenti. E io devo ancora vederli i privati che entrano in un business e pensano prima agli investimenti e dopo al loro profitto. Mi pare che le sirene secondo cui con i privati i servizi migliorano abbiano smesso di suonare. Insomma, l'argomento non funziona più e d'altra parte in giro si vedono tanti monopoli e poca concorrenza".
La Confindustria ha fatto da sponda, per quanto dietro le quinte, all'azione del governo per bloccare prima il referendum sul nucleare e ora quello sull'acqua. Cosa pensa della posizione degli industriali?
"Mi pare un'operazione molto miope, contraddittoria rispetto agli interessi stessi delle imprese ma anche la logica conseguenza di chi ha cancellato dal proprio vocabolario la parola "pubblico". Non mi pare proprio che si possa pensare di aver risolto i problemi mettendo, o provando a mettere, i referendum nel cassetto. Questo è un Paese che ha bisogno di un piano energetico, così come di investimenti nella distribuzione dell'acqua. Questo è un Paese che ha bisogno di scelte, non di nascondere i problemi, pensando di chiudere così le partite".
Perché la Cgil è molto impegnata in questa battaglia a difesa dell'acqua pubblica?
"Perché è un tema che attraversa da tempo tutta la nostra organizzazione. Noi non pensiamo agli acquedotti di quartiere, pensiamo a integrazioni e fusioni tra le municipalizzate. Noi pensiamo che il pubblico possa essere efficiente o, come dicono, anche efficientato". 

giovedì 21 aprile 2011

Cosa c'è dietro lo stop al nucleare

L’ennesima porcata... Anzi, stavolta quattro al prezzo di una!
Detto senza mezzi termini: di altri beni/servizi privatizzati ad un certo punto abbiamo dovuto farcene una ragione (di Stato), ma sull’acqua proprio non ci riesco, mi sento violentato non nel mio essere uomo o donna, ma proprio come essere umano. Personalmente, ritengo la mercificazione dell’acqua un vero abominio. Mi auguro con tutto il cuore che il popolo italiano si renda conto di cosa rischiamo non andando a votare per questi referendum...
Aggiungo soltanto che questi recenti sviluppi non possono che farci moltiplicare gli sforzi per portare a tutti questi fatti inoppugnabili e questi ragionamenti di buon senso!


LUCA

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Cosa c’è dietro lo stop al nucleare. Acqua pubblica ai francesi e legittimo impedimento
di G.Mistero, agoravox.it

La notizia è giunta in redazione ieri: il Governo aveva deciso di dismettere il programma nucleare. Fonti interne ci hanno chiarito lo scenario e le ragioni di questa scelta che vedono un accordo Parigi Roma che da una parte toglie la costruzione delle centrali ad AREVA e dall'altra affida la gestione dell'acqua pubblica a VEOLIA.
Nucleare in Italia: il Governo decide di soprassedere sul programma nucleare, lo fa inserendo una moratoria nel decreto legge omnibus, all'esame dell'aula del Senato, che prevede l'abrogazione di tutto l'impianto normativo che attiene la realizzazione di impianti nucleari nel Paese.
L'emendamento recita: "Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche mediante il supporto dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione Europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare".
Ad abbracciare la linea Berlusconi in persona, da sempre scettico nei confronti del programma atomico ma schiacciato dalla lobby nucleare. Sebbene alcune voci leghino questa scelta ad un sondaggio realizzato la scorsa settimana che avrebbe dato al 54% la percentuale di italiani intenzionati a recarsi alle urne il 12 e 13 giugno (quindi oltre il quorum) le ragioni sono più ampie.

Prima di prendere questa decisione il Governo ha intavolato accordi con la Francia per dare una "contropartita" alla perdita economica che ne sarebbe derivata. Raggiunta l'intesa, stamane, AREVA - il colosso mondiale francese del nucleare che si sarebbe dovuto occupare della costruzione delle nostri centrali - ha iniziato la dismissione dei suoi uffici romani.
Il Governo era ben cosciente che il raggiungimento del quorum avrebbe comportato la bocciatura non solo della legge sul Nucleare ma anche quelle sul Legittimo Impedimento e sulla Privatizzazione dell'acqua.
E' stato proprio su quest'ultimo punto che è nata la contropartita da offrire oltralpe, attraverso un patto che sposta gli interessi economici dal nucleare all'acqua e dovrebbe garantire a VEOLIA una consistente presenza nel suo processo di privatizzazione (l'azienda francese è uno dei leader mondiali nel settore della gestione urbana degli acquedotti, dei rifiuti e dei trasporti). I mediatori italiani hanno dovuto fare una vera e propria corsa contro il tempo per cercare di giungere ad un accordo che soddisfacesse Parigi e che potesse essere ratificato già il 23 Aprile, giorno dell'incontro tra Berlusconi e Sarkozy.

Il Governo ha, così, trovato il modo di liberarsi di un referendum chiave che rappresentava, dopo Fukushima, il vero motore della votazione e l'elemento che avrebbe portato i cittadini alle urne.
In un colpo solo si è disinnescata una possibile bomba elettorale in mano alle opposizioni (il pericolo nucleare), si è portato a casa il Legittimo impedimento e si è continuato il processo di privatizzazione dell'acqua pubblica.
La controversia, poi, lascia ancora margini di manovra a futuri colpi di mano "nucleari" poiché l'emendamento di oggi in Senato elimina l'obbligo della stesura dei decreti legislativi di applicazione sul nucleare. Ma i decreti approvati finora non decadono, così come la legge numero 133/08 che dà il via alle centrali. E' uno stop, non una abrogazione mentre il referendum avrebbe abrogato la legge.

lunedì 18 aprile 2011

Spot Acqua Pubblica - Videopost

Campagna a sostegno dei referendum: pochi soldi (siamo ancora in tempo a dare il nostro sostegno, per esempio ritirando le bandiere "2 SI' PER L'ACQUA BENE COMUNE"), ma tante idee creative!
Una rassegna di video e musica è presente a QUESTO LINK
Luca

L'ASTA

Spot prodotto dal comitato acqua pubblica di Velletri, regia e montaggio di Luca D'Annibale
(in questo momento all'ottavo posto della classifica no profit dei preferiti di youtube)



Documento video inserito nella Campagna "Libera l'Acqua" promossa dal CIPSI.it
Riconosci un diritto. Portalo a chi non ce l'ha. L'Acqua è di tutti.






giovedì 14 aprile 2011

Prescrizione breve, B. salvo

Se anche l'Avvenire ha bocciato questa ennesima legge vergogna vuol proprio dire che siamo in emergenza, un vero tsunami istituzionale. Non ci vuole certo un genio a capirlo che il problema non si risolve riducendo i tempi, ma fornendo adeguate strutture per accelerare i tempi... è lo stesso ragionamento che imporrebbe alle vetture di formula 1, a parità di prestazioni, di andare più veloci accorciando il percorso: è contro natura. Peraltro i leghisti mi devono spiegare come riusciranno a mettere il naso fuori di casa dopo il sostegno a questa idiozia che va contro la loro stessa natura giustizialista e anticorruzione.
Credo che tutti dobbiamo impegnarci politicamente e sostenere iniziative e mobilitazioni che facciano pressione (cosa che dovrebbe fare il PD, ma ha un tempo di reazione quasi allineato a quello del Vaticano). Se internet ha sostenuto le battaglie di libertà dei popoli nordafricani, credo che anche questo piccolo blog debba farsi sostenitore e diffusore di iniziative (chiunque ne sia a conoscenza faccia girare appuntamenti e iniziative). E' un dovere dei cittadini reagire a leggi ingiuste e comportamenti da servi del padrone.

Beppe

Vi allego l'articolo in merito uscito oggi su La Stampa

La riforma aiuterà i corrotti

CARLO FEDERICO GROSSO

Tutti sanno che la prescrizione abbreviata risponde all'interesse del premier nel processo Mills. Si può dire, anzi, che i suoi dettagli sono stati studiati per favorire il Presidente: l'abbreviazione vale per gli incensurati, e Berlusconi è incensurato, l'accorciamento non è elevato, ma quanto basta per evitargli una condanna, le nuove regole si applicano quando non è stata pronunciata sentenza di primo grado.

E in nessuno dei suoi processi tale sentenza è stata, appunto, pronunciata.

Dove è finito, tuttavia, il «processo breve» che costituiva l'obiettivo originario del progetto e, soprattutto, quali saranno le conseguenze della nuova «prescrizione» sulla sorte dei processi normali? Con il «processo breve» s'intendeva introdurre una durata prestabilita di tutti i processi, nel senso che essi non dovevano superare determinati tempi, e se il giudice li sforava, il processo automaticamente si estingueva. Tale meccanismo era demenziale. Qualunque fosse stata la complessità del processo, anche se fosse stato impossibile chiuderlo nei tempi prefissati, esso sarebbe comunque finito nel nulla. La conseguenza? Un'ecatombe di processi, un mare d'impuniti. Un assurdo che lo stesso Capo dello Stato aveva, a suo tempo, additato con preoccupazione.

La legge approvata ha mantenuto lo scadenzario, ma ha eliminato l'estinzione, stabilendo, semplicemente, che in caso di sforamento il capo dell'ufficio «comunica il ritardo al guardasigilli ed al procuratore generale» (cioè ai due titolari dell'azione disciplinare). Per certi versi, bene. Non si rischia tuttavia, così, di scaricare sul magistrato «inadempiente» il carico degli sforamenti che, molte volte, sono dovuti a carenze delle strutture piuttosto che a negligenze individuali? Non sarà, questo, un modo per intimidire l'ordine giudiziario?

Ma veniamo al tema che interessa di più i cittadini. La prescrizione abbreviata per gli incensurati avrà l'effetto d'estinguere un numero elevato di reati? La prescrizione era già stata accorciata nel 2005, senza che fossero state, già allora, previste le riforme indispensabili per consentire un'accelerazione dei processi. Ciò ha causato una situazione pesante, con oltre 150 mila reati estinti all'anno. Se si considera che la maggior parte dei processi che si concludono con una decisione di merito riesce, già oggi, ad evitare per un soffio la mannaia, è facile immaginare che la nuova legge determinerà, in ogni caso, un ulteriore, doloroso, incremento del fenomeno.

Le conseguenze appaiono d'altronde ancora più gravi se si considerano i reati che saranno i più toccati, perché commessi da incensurati. Un incremento rilevante di reati prescritti si verificherà fra i reati dei colletti bianchi. Si pensi ai processi per truffa, per aggiotaggio, per bancarotta, per incidenti sul lavoro, molti dei quali già oggi riescono a sfuggire per poco, quando vi riescono, all'estinzione. Ad esempio, il primo processo Parmalat per aggiotaggio (che si prescriverà a giugno) riuscirà, forse, a concludersi con sentenza definitiva ai primi di maggio; ed il secondo, contro le banche, a giungere a sua volta alla sentenza di primo grado entro aprile, salvando così quantomeno i risarcimenti. Si tratta di processi che, dopo l'ulteriore riforma, sarebbero stati sicuramente prescritti. Davvero ragionevole?

Non solo. In taluni casi la normativa contraddice linee di politica criminale assolutamente prioritarie. Si consideri la corruzione. Le statistiche parlano di un suo incremento del 30%. Giuristi ed economisti chiedono, da anni, un'apposita legge anticorruzione (fra l'altro imposta dalla normativa europea). Ebbene, poiché i pubblici ufficiali corrotti sono, di regola, incensurati, con la nuova legge l'Italia, incrementando i reati prescritti, favorirà, anziché contrastare, la corruttela. Una vergogna, tanto più che il Parlamento, nel frattempo, si guarda bene dall'approvare il disegno di legge anticorruzione.

Il Guardasigilli ha sostenuto che l'aumento delle prescrizioni sarà minimo (0,2%). Il dato è contestabile (il Csm ha parlato del 10% in più); ma anche se fosse corretto, dato l'alto numero di prescrizioni già presenti, sarebbe comunque un male. Il ministro si è, d'altronde, ben guardato dallo spiegare «quali» saranno i reati più colpiti. Se lo avesse fatto, la gente avrebbe tanto più motivo d'indignarsi.

Da Barbiana: lettera a Napolitano

Presidente, segua Don Milani: non firmi le leggi vergogna

Don Lorenzo Milani, morto nel giugno 1967, è salito alla ribalta della scena italiana per essersi dedicato, corpo e anima, all'elevazione culturale di operai e contadini affinché potessero affrancarsi dall'oppressione e dall'ingiustizia.
Persona tutta d'un pezzo, appena nominato cappellano a Calenzano (Firenze), scosse l'Italia per la sua costante denuncia di tutte le situazioni che provocano ingiustizia e violazione dei diritti, indipendentemente da chi le provocasse o avallasse. Ciò gli procurò molti nemici anche all'interno della sua stessa Chiesa, che per neutralizzarlo lo confinò a Barbiana, un villaggio sperduto sugli Appenini toscani. Ma la sua notorietà crebbe ulteriormente perché creò una scuola del tutto innovativa, per contenuti, finalità e metodi. L'atto finale fu la stesura di Lettera a una professoressa, un testo collettivo scritto assieme agli allievi per denunciare il carattere classista e discriminatorio della scuola italiana.
Don Milani è famoso anche per la Lettera ai Giudici, nella quale sostiene il primato della coscienza sulle leggi dell'uomo proponendo la disobbedienza come via estrema per evitare all'umanità il ripetersi delle atrocità che ha conosciuto.
Di fronte al degrado morale e politico che sta investendo l'Italia gli allievi di Don Milani hanno scritto al Capo dello Stato un appello per chiedergli di fare obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione. Il testo è pubblicato sul sito www.altreconomia.it attraverso il quale è possibile aderire all'appello.


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LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, ON. GIORGIO NAPOLITANO

Signor Presidente,

lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti di quell'unità nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benché nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani". Alcuni di noi hanno anche avuto l'ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra gli addetti ai lavori.

Il degrado morale e politico che sta investendo l'Italia ci riporta indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso. Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.

Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo ad un uso costante della legge per difendere l'interesse di pochi, addirittura di uno solo, contro l'interesse di tutti. Ci riferiamo all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.

In una democrazia sana, l'interesse di una sola persona, per quanto investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere sull'interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato che non cederebbero a compromesso. Ma l'Italia non è più un paese integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.

Quando l'istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo l'obbligo di fare qualcosa per arrestarne l'avanzata.

Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta che assistiamo a uno strappo. Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente, chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a creare. Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione. Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni, discriminazioni.

Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso l'autoritarismo che al colmo dell'insulto si definisce democratico: questa è l'eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli. Solo lo spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli anche lei.

Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali saluti

Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido Carotti, Mileno Fabbiani, Nello Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo Martinelli, Aldo Bozzolini

Questa lettera è particolarmente rivolta a chi ha votato Berlusconi, ai Leghisti... ma anche ad altri...

Da MultimediaRecords
Massimo Marco Rossi, 10 aprile 2011.

Guardo ai terremoti, agli tsunami, alle immense tragedie Nucleari di Fukushima ed Onagawa in Giappone.
Penso alla scelta del Popolo Italiano, nel novembre del 1987, di rinunciare alle Centrali Nucleari... ed alla opposta decisione dell'attuale Governo Berlusconi di... imporle all'Italia...
Cerco in Internet l'elenco dei ...Terremoti che hanno tormentato il nostro bel Paese nel XXI secolo... provate a leggerlo anche voi...
Vado a rivedere in particolare la notizia del terremoto nell'arcipelago delle Eolie dello scorso 16 agosto 2010 di cui sono stati testimoni oculari il presidente del Senato Renato Schifani e la Ministra all'Ambiente Stefania Prestigiacomo (erano nei paraggi in barca...)
Rifletto che il Governo Berlusconi ha scelto di realizzare comunque il PONTE di MESSINA ....(con quali garanzie di stabilità, con quanti e quali finanziamenti ?) ... su sponde siciliane e calabresi che franano rovinosamente e producono decine di morti... anche solo con le ricorrenti piogge di media intensità...e non si mettono in sicurezza...per mancanza di fondi...

Guardo alla crescita impetuosa delle Energie Eco-Compatibili in Europa (da tempo ben governate in Germania, Austria, Norvegia, Scozia... malissimo, invece, nel nostro Paese ).
Penso alla decisione di qualche giorno fa del Governo Berlusconi di tagliare tutti gli incentivi a chi nel nostro Paese stava aumentando l'occupazione nella produzione ed installazione di impianti per l'autoproduzione di energie pulite e rinnovabili, con conseguenti risparmi delle famiglie, diminuzioni del debito Italiano per gli
acquisti all'estero di energie fortemente inquinanti e diminuzioni dei relativi immensi danni alla salute dei cittadini...
Volete chiedervi il perché di questi tagli ? Vogliamo chiedere perché ai ministri Tremonti, Romani e Fazio ?
 Constato che nel nostro bel Paese le scelte virtuose delle raccolte differenziate dei Rifiuti solidi Urbani, delle riduzioni, dei recuperi, riusi, riciclaggi di materie prime-seconde è ampiamente contrastata dai delinquenti di CENTRO DESTRA – DI CENTRO - DI CENTRO SINISTRA - che continuano ad affidare impunemente alle Mafie- Camorre e n'Dranghete gli affari delle DISCARICHE e degli INCENERITORI- cancrovalorizzatori certificati dal prof. VERONESI ...
Constato che a Napoli i cittadini stanno autogestendo iniziative di raccolte differenziate...mentre Berlusconidi e Bersaniani continuano a rimanere egualmente sepolti dalla monnezza putrescente delle loro rappresentanze locali...
Constato che nessuno degli attuali parlamentari osa affrontare con la necessaria energia e visibilità il tema del controllo, della riduzione, della NEUTRALIZZAZIONE dei RIFIUTI INDUSTRIALI NOCIVI E TOSSICI...
Anche con le alluvioni in Nord Italia, dove le acque sono abbondanti... si va di male in peggio...esorbitanti quando piove...scarse quando fa caldo... perché ?

Le notizie dicono: CEMENTI ED ASFALTI DOVUNQUE... sottraggono terreni all'agricoltura, alla vitalità degli eco-sistemi e dissestano irreversibilmente i sistemi idro-geologici ...
Si vogliono cento nuove Super-Autostrade a pagamento mentre si lasciano le vecchie provinciali e comunali all'abbandono.
Si progettano nuovi fantasiosi tracciati ferroviari sopraelevati o interrati...mentre quelli vecchi, normali... sono ampiamente sottoutilizzati.
Si costruiscono New Towns, Centri Commerciali e Direzionali mentre migliaia di nuovi appartamenti, villette e capannoni industriali rimangono invenduti o sfitti e inimitabili Architetture e Centri Storici sono lasciati al completo decadimento...
A Pompei crolla la casa dei Gladiatori... lungo il Fiume Brenta fra Venezia e Padova il Paesaggio Tipico delle Ville Settecentesche cade a pezzi o annega nel "moderno" più invasivo e sgrammaticato...
Si avviano Mega parchi dei divertimenti... Città dei Motori... l'Europa in Miniatura... mentre non ci sono fondi per adeguare i fabbricati scolastici alle norme di sicurezza, alle più basilari esigenze della didattica moderna ed abbattere i consumi energetici...

Che dice la Prestigiacomo sulle alluvioni? E che dicono Galan ora Ministro dei Beni Ambientali, già Ministro dell'Agricoltura, già Presidente della Regione Veneto ed il suo complementare Luca Zaia, già Ministro dell'Agricoltura ed ora Presidente della Regione Veneto sulle Alluvioni, sul Decadimento del Patrimonio Monumentale e sulle Cementificazioni - Asfaltature che, ..come in molte altre Regioni Italiane..in Veneto..sono state legittimate dal Piano territoriale di cordinamento 2009 della Giunta Galan-Leghisti?
Mentre le Crisi Economiche e Finanziarie obbligano al massimo rigore nella spesa pubblica... il Governo, per scelta dell'acuto e risparmioso ministro MARONI decide di disaccoppiare le elezioni per i rinnovi
delle Amministrazioni Locali dai Referendum su Nucleare e Acqua Bene Pubblico ...

I maligni dicono che qualcuno teme che i referendum, raggiungendo il quorum, obblighino il Governo a prendere atto che le sue scelte non corrispondono a quelle dei cittadini...
Di fatto a quanto ammonterà la maggiore spesa pubblica per dilazionare e ridurre la più ampia espressione del Popolo Sovrano ?
Non è un vero e proprio delitto finanziario buttare al vento almeno 250 milioni di € sottratti a mille altre possibilità di spesa per beni e servizi essenziali di tanta povera gente?

Spese enormi per Armi e Guerre in continuo aumento...
Non si può fare a meno di prendere atto che il Presidente del Consiglio paga al Dittatore Gheddafi 5 miliardi di € per i danni della Guerra Fascista alla Libia e per il servizio di blocco, chissà con quali mezzi... degli emigranti in fuga dalle guerre del Centro-Africa... e il giorno dopo fa partire da Aviano e da tutte le altre indispensabili basi di guerra italiane... i Bombardieri della "Santa Alleanza" che sparano proiettili all'Uranio Impoverito in Cirenaica come in Tripolitania... mentre il Presidente della Repubblica afferma che non siamo in Guerra con quello che i giornali Italiani... di destra, di Centro e di Sinistra... all' improvviso descrivono come
il Dittatore Libico massacratore del suo popolo...

Non vi pare che tanto nella famiglia del Governo quanto in altre nel Parlamento Italiano e al Quirinale ci sia qualche schizofrenia, qualche mortale contraddizione ?
Non vi pare che di fatto, con la farisaica benedizione dei soliti cappellani militari, le più alte oligarchie partitiche di maggioranza, di opposizione, e del main- stream intellettuale ed interreligioso Italiano si continuino a non voler vedere le sistematiche violazioni dell'art. 11 della Costituzione Italiana e dei più elementari principi di VERITA' ?
Tutti sanno che produzioni e traffici di Armi, di Prostituzioni, di Droghe, di Capitali Sporchi sono fra di loro strettamente collegati e resi possibili da connivenze diramate in molti corpi dello stato, nel sistema bancario, nel sistema dei trasporti...
Non vi pare che se questi traffici aumentano, come lo stesso Governatore della Banca d'Italia afferma, ...qualcuno deve pure pagarli...? ? ?
Non vi pare che nel nostro Paese la disoccupazione crescente, in particolare quella giovanile e femminile, il precariato ed i sotto-salari siano l'altra faccia del consumo di prostitute/i, di droghe, di residenze e di beni di lusso senza limiti intrecciati con le speculazioni finanziarie, le evasioni ed elusioni fiscali, i commerci illeciti, le guerre sindacali, finanziarie ed ARMATE che producono la moneta con cui i citati consumi non essenziali vengono pagati ?
Non vi pare che aumentando la disoccupazione o l'occupazione schiavizzata aumenteranno inevitabilmente le possibilità di reclutamento di nuovi affiliati alle bande delinquenziali di chi comunque intende non morire d'inedia ?

Vogliamo provare a chiedere ai Ministri Sacconi, Carfagna, Maroni, come intendono portare a zero la disoccupazione, il precariato ed i sottosalari di tutti coloro che risiedono nel Territorio Italiano ...
per prosciugare l'acqua in cui nuotano le mafie di tutti i colori ...?
Non vedo, Non sento, Non parlo ... è la regola della società OMERTOSA...
Dunque, poiché di certo nessuno dei ministri nominati appartiene a cosche, cricche o altre associazioni segrete... volete...vogliamo porre contemporaneamente a tutti i nominati le domande indicate... ?
Vogliamo ascoltare con attenzione le chiare, complete e tempestive risposte che vorranno darci...? ? ?

Il mondo intero, da un bel po', osserva attorno al Presidente del Consiglio la continua girandola di: Tangentisti inconsapevoli alla Scajola; Ministri per finta... bisognosi di immunità parlamentari come Brancher o il nuovo addetto all'Agricoltura; Deputati o Senatori interni o collaterali alle cosche come dell'Utri, Cuffaro, Cosentino ed altri; Escort, Mercenari di tutte le provenienze... Fascisti che vogliono ricostituire ufficialmente il partito di Benito, famelici Azzeccagarbugli - legislatori ad personam con spese a carico dei cittadini; e, dulcis in fundo, Padani impegnati a contemplare il proprio ombelico...

Ritenete infondato il sospetto che una simile corte di berlusconidi sia ad un tempo causa ed effetto di un Presidente del Consiglio zombie, pestilenziale, mortifero per l'Italia ?
Molti pensano che chi voglia davvero voltar pagina e risanare il Paese deve rimuovere il Burattino che non fa più ridere nessuno, ma anche riconoscere, isolare e neutralizzare pacificamente tutti i portatori consapevoli del contagio mortale....come non fu fatto alla caduta del noto Bettino... fuggito in Tunisia...
Pochi, invece, pensano che chi ha subito l'infezione in buona fede e vuole guarire... non può evitare di porre a se stesso e ai propri cari le domande di cui sopra... per riuscire, con un pò di coraggio, a cercare e trovare le nuove, giuste prospettive ALTERNATIVE...

Anch'io penso che questo passaggio autocritico è e diventerà sempre più inevitabile per chi desideri vedere riconosciuto il proprio legittimo diritto di cittadinanza, a pieno titolo, in una società Completamente Nuova... per tutti Giusta ed in Armonia con la Natura.


Massimo Marco Rossi

martedì 12 aprile 2011

Guida ragionata ai referendum

A giugno gli italiani saranno chiamati ad esprimere il loro parere su due temi fondamentali: l'acqua e il nucleare (oltre che sul legittimo impedimento). Di seguito un vademecum per capire quali sono le principali questioni legate ai quesiti referendari e perché sarà di estrema importanza che almeno 25 milioni di persone si rechino alle urne e votino (per 4 volte sì). 

 

di Andrea Degl'Innocenti
Il Cambiamento
(11 Aprile 2011) 


Il 12 e 13 giugno si voterà su due temi di fondamentale importanza: l'acqua e il nucleare

Di seguito cercheremo di capire perché è importante – ma più che importante fondamentale, essenziale – che il 12 e il 13 giugno prossimi una gran folla di gente vinca l'apatia dell'afa estiva, si stacchi dal ventilatore e si rechi alle urne a votare. Mi scuso fin da subito per i toni un po' più colloquiali e spicci di quanto si dovrebbe che userò nel corso dell'articolo, ma è bene intendersi fin da adesso: qui è in gioco una buona fetta del nostro futuro, e di quello dei nostri figli e nipoti.
Sono quattro i referendum in questione: due riguardano l'acqua, uno il nucleare, uno il legittimo impedimento. Di quest'ultimo non ci occuperemo in questa sede, dato che si tratta di un argomento molto circostanziato, che poco ha a che fare con gli altri due.
Iniziamo col chiarire un aspetto tecnico, che so per esperienza non essere così immediato. Chi vorrà affermare, in sede referendaria, che l'acqua è un bene comune e che il nucleare deve essere messo definitivamente al bando, dovrà votare per tre volte SI. Poi analizzeremo nel dettaglio cosa significa ciascuno di questi sì, ma vorrei fosse chiaro fin da ora che anche per dire no al nucleare va sbarrata la casella del sì. Se infatti è abbastanza intuitivo che si debba votare sì per l'acqua pubblica, potrebbe apparire un controsenso, a chi non abbia qualche nozione giurisprudenziale, barrare il sì per fermare il nucleare.
La ragione di questo apparente controsenso va ricercata nelle regole dell'istituto referendario. Sebbene nel nostro paese siano costituzionalmente previste quattro diverse forme di referendum, l'unica di fatto utilizzata è il referendum abrogativo. Quello cioè che chiede agli elettori se vogliono abrogare – ovvero sopprimere – una determinata legge o parte di essa. Tutti i referendum abrogativi iniziano così: “volete voi che sia abrogato” eccetera eccetera. Ecco quindi che per dire no al nucleare vi sarà chiesto di abrogare la norma che sancisce la sua introduzione nella legislazione italiana. Fatta questa doverosa precisazione andiamo ad analizzare più nel dettaglio i contenuti dei tre referendum.
L'ACQUA
Acqua bene comune
L'acqua è un bene comune che appartiene a tutti
Partiamo dall'acqua, e scusatemi se mi dilungherò un po' nelle spiegazioni, ma è giusto che chi andrà a votare abbia tutte le informazioni necessarie per prendere liberamente e consapevolmente la sua decisione. La mia esperienza ai banchetti di raccolta firme mi dice che molto poco si sa sul processo di privatizzazione da anni in atto in Italia. A chi volesse approfondire l'argomento, consiglio di leggere il libro di L'acqua è una merce di Luca Martinelli. Qui ci limiteremo a richiamare le due principali tappe della privatizzazione: la legge Galli ed il decreto Ronchi.
La legge Galli, numero 36 del 1994, suddivideva il territorio italiano in una serie di Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) all'interno dei quali “l'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue” doveva essere gestito da un unico soggetto 'affidatario'. Le caratteristiche dell'affidatario potevano essere le seguenti: una società per azioni a totale capitale pubblico (che prende il nome di in house); un partner privato da affiancare al vecchio gestore pubblico, scelto con gara aperta a tutti i concorrenti europei; un soggetto privato. La legge, inoltre, introduceva il principio del full recovery cost: sanciva cioè che tutto il costo della gestione del servizio idrico fosse caricato sulla bolletta e non rientrasse più fra gli ambiti della fiscalità generale (fatto di dubbia costituzionalità, visto che così il prezzo perde ogni rapporto con il reddito di chi usufruisce). In particolare veniva stabilito un addebito in bolletta che garantisse un 7% di guadagno minimo al gestore. L'acqua fu resa, di colpo, un investimento molto appetibile.
Il decreto Ronchi, decreto legge numero 135 del 2009, trasformata nella legge Ronchi-Fitto nel novembre dello stesso anno, ha completato l'opera di privatizzazione mettendo definitivamente al bando tutti quei comuni che avevano scelto la gestione in house. Si tratta di una legge sull'attuazione degli obblighi comunitari e i servizi pubblici locali che all'articolo 15 – quello incriminato – recita “adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici di rilevanza economica”. È chiaro fin da subito, dunque, che l'acqua è considerata alla stregua di una merce. Nella legge, poi, sono presenti alcune incongruenze che rendono chiaro come la tanto sbandierata “liberalizzazione dei servizi” si traduca in una svendita a favore dei grandi investitori privati. La prima viene definita da Daniele Martinelli “paradosso del mercato”: si prevede che tutti i soggetti privati scelti con affidamento diretto per affiancare i gestori pubblici mantengano le proprie quote, e che la partecipazione degli enti locali in queste società scenda sotto la soglia del 30 per cento entro il 2015. In altre parole, da un lato viene rivelato che alcuni soggetti privati si sono inseriti nella gestione pubblica dei servizi idrici senza passare per alcuna gara (come invece previsto dalla legge Galli); dall'altro viene concesso a tali soggetti di restare “in sella”, anzi di accrescere la propria partecipazione a discapito del pubblico, contraddicendo la legge del mercato (e della concorrenza) sul cui altare sono state sacrificate le gestioni in house. La seconda incongruenza viene definita “fallimento del mercato”: la legge prevede infatti che in alcune “situazioni eccezionali”, determinate da “caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale […] l'affidamento può avvenire a società a capitale interamente pubblico”. Ciò significa che il privato sarà libero di investire solo laddove ritiene possibile garantirsi un profitto.
Dopo questo excursus negli aspetti giurisprudenziali del processo di privatizzazione, occorre smentire alcuni luoghi comuni, confezionati ad arte, che circolano da tempo fra coloro che osteggiano i referendum e continuano a ripetere come un mantra che “privato è bello”. Eccoli di seguito.
Privatizzazione=efficienza, efficacia, economicità. Partiamo da quello forse più utilizzato dai fautori delle privatizzazioni: le famose “3 e” che caratterizzerebbero in positivo il privato rispetto ad un pubblico per assioma lento, inefficiente e caro. Partiamo dall'ultima “e”, l'economicità, dimostratasi fin da subito del tutto inveritiera. I comuni che hanno già sperimentato l'affidamento privato sanno bene che nella maggior parte dei casi le bollette hanno subìto impennate significative. In Toscana, una delle prime regioni ad adeguarsi quasi completamente alle norme di privatizzazione, si beve l'acqua più cara d'Italia, con un aumento tariffario che nell'ultimo anno è stato dell'11,8 per cento. L'aumento dei prezzi – che gli stessi fautori della privatizzazione si sono trovati costretti ad ammettere – viene generalmente giustificato con la scusa degli investimenti: le bollette sono più care perché sono stati fatti più investimenti per migliorare le reti idriche, che in Italia versano in condizioni disastrose (si perde quasi il 50 per cento dell'acqua potabile). Ma non è così. Gli investimenti necessari sono tanti di tale portata che nessun privato ha la capacità – e l'intenzione – di sobbarcarseli. Lo dimostra un'indagine di Mediobanca: il miglior acquedotto d'Italia – a livello infrastrutturale – è quello di Milano e provincia, gestito da Metropolitana Milanese (100% del Comune di Milano) e da Amiacque (100% pubblica); il peggiore è quello romano, gestito da Acea, una delle società più invischiate nel processo di privatizzazione, sulla quale hanno già messo le mani il Gruppo Caltagirone ed una multinazionale francese del calibro di GDF Suez.
Privatizzare=liberalizzare. Un'altra tecnica molto in voga al giorno d'oggi è quella di cambiare le parole lasciandone invariato il significato. Ecco quindi che i temibili inceneritori diventano dei più rassicuranti “termovalorizzatori”, ed ecco che le privatizzazioni diventano liberalizzazioni. Ma se già questa pratica di scambio è odiosa a prescindere, nel caso dell'acqua risulta persino spudoratamente menzognera. Quando si parla di liberalizzazione infatti, si parla di apertura al mercato e alla concorrenza. Nella gestione del servizio idrico, invece, non c'è nessuna concorrenza. Una volta che il privato si è aggiudicato la gara d'appalto, egli resta in una condizione di assoluto monopolio per 20-30 anni, la durata del contratto. Altro che liberalizzazione, qui si sostituisce il tanto biasimato “monopolio pubblico” – già di per sé una contraddizione in termini – con un ben peggiore “monopolio privato”.
Gestione privata=acqua pubblica. Infine ecco il più infido degli inganni, quello che vuole che ad essere privatizzata sia solo la gestione del servizio, mentre l'acqua, la sostanza, rimarrebbe un bene comune inalienabile. E ci mancherebbe! Nessuno sarebbe in grado, anche volendo, di appropriarsi e ingabbiare una risorsa che sgorga dalla terra e cade dal cielo. Ma ciò che interessa l'uomo nella sua vita di tutti i giorni è la sua gestione: chi porta l'acqua nella sua casa, a che prezzo e di quale qualità. Ci interessa che venga garantito a tutti il libero accesso alla risorsa. Che importa che questa sia formalmente di tutti se poi non tutti possono permettersela?
Ecco allora che per riaffermare la proprietà – o gestione che dir si voglia – comune dell'acqua sono stati elaborati due quesiti referendari (erano inizialmente tre ma uno non ha passato il vaglio della Corte Costituzionale).
Il primo richiede l'abrogazione dell'art. 23 bis Legge 133/08 e sue successive modifiche introdotte con l'Art. 15 del famoso Decreto Ronchi, di cui abbiamo già parlato prima (D.L. 135/2009); annullando tale articolo – che stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati o a società a capitale misto pubblico-privato – si vuole contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici.
Il secondo richiede l'abrogazione della parte dell'art. 154 del Decreto Ambientale 152/06 relativa alla remunerazione del capitale investito; si tratta di un decreto che, integrando e in parte sostituendo la Legge Galli, stabilisce che “la tariffa è determinata tenendo conto [...] dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito [...]”; abrogando questa parte di articolo si annulla il principio del profitto minimo garantito, rendendo l'acqua un investimento non più così conveniente.

IL NUCLEARE
Per quanto possa sembrare strano, non tutti sanno che l'Italia ha un trascorso abbastanza significativo di produzione di energia nucleare. La storia del nucleare nel nostro paese è iniziata nel 1963, con la costruzione della prima centrale, a Latina. Seguirono, nel giro di neanche un decennio, le centrali di Sessa Aurunca, Trina e Caorso. Già nel 1966 l'Italia era il terzo paese per produzione di energia nucleare al mondo, dopo Usa e Inghilterra. Poi nel 1987 il mondo intero fu scosso dal disastro di Černobyl' e l'energia nucleare si rivelò all'improvviso per quello che è: un pericolosissimo ordigno pronto ad esplodere in qualsiasi istante. In Italia si decise di correre ai ripari indicendo un referendum. Quasi 30 milioni di elettori accorsero alle urne per bandire definitivamente, così almeno speravano, le centrali nucleari dal nostro paese. Nel 1990 l'ultima centrale venne dismessa. Dunque è durata poco più di vent'anni l'esperienza nucleare italiana, ma questi sono bastati a produrre scorie radioattive di cui il paese non sa come liberarsi, che ancora oggi inquinano mari e terreni coltivati.
Poi, a 18 anni di distanza, con il decreto-legge numero 112 del 2008 il Governo ha deciso di tornare indietro, annullando la volontà dei cittadini e reintroducendo l'energia nucleare. Il decreto è stato poi convertito nella legge 133/2008, approvata dal Senato con 154 voti a favore, un solo voto contrario e un solo astenuto, con Pd e Idv che hanno abbandonato l'Aula al momento del voto. A poco sono valse le proteste ed i ricorsi intentati dalle regioni: il nucleare in Italia “s'ha da fare”.
Il problema maggiore che si sono trovati ad affrontare il Governo e la potente lobby del nucleare, è stato come convincere le persone – in buona parte le stesse che nell'87 dissero di no – che il nucleare è cosa buona e giusta; come mascherare la belva da cucciolo. Ecco allora che, scervellandosi, si sono inventati una sequela di fandonie persino più colossali ed abbondanti di quelle sull'acqua.
Un'ottima ricognizione è quella fornita da Legambiente in un ampio contributo che rendiamo disponibile a lato di questo articolo. Alcune sono menzogne spudorate: “il nucleare è una fonte di energia rinnovabile”, “il nucleare sarà la prossima fonte energetica del futuro nel mondo”; è ovvio che il nucleare non è un'energia rinnovabile in quanto si basa sullo sfruttamento di una materia prima, l'uranio, presente in natura in quantità finite (per non dire scarse), e di conseguenza è altrettanto palese che l'energia del futuro non sarà quella nucleare. Altre più sottili: “il nucleare è pulito”, “il nucleare aiuta a ridurre il surriscaldamento del pianeta”; certo il nucleare è più pulito rispetto ad una centrale a carbone in termini di emissioni, ma come vedremo le perdite radioattive in seguito agli incidenti ed il problema delle scorie rendono quella nucleare un'energia tutt'altro che pulita. Altre ancora, infine, erano considerate quasi dei dati di fatto assodati prima che l'ennesimo disastro, quello di Fukushima, svelasse al mondo intero la loro natura menzognera: “il nucleare di nuova generazione è sicuro”, “un disastro come quello di Černobyl' non potrà più ripetersi”.
Questa sequela di luoghi comuni e falsità serve a coprire le tre grandi aree problematiche che riguardano il nucleare: la sicurezza, lo smaltimento delle scorie e l'antidemocraticità.
La sicurezza. Dicevamo che la lobby dei nuclearisti era quasi riuscita a convincere il mondo sulla sicurezza delle nuove centrali nucleari. È stato necessario un altro disastro di portata planetaria per svelare le fragili basi su cui poggiavano i loro teoremi. Ma Černobyl' e Fukushima sono solo due dei casi più eclatanti di una miriade di incidenti che costellano la storia dell'energia nucleare. In 50 anni si sono verificati circa 150 incidenti nucleari, di cui 14 compresi fra i livelli 4 e 7 della scala di pericolosità stilata dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica. Il fatto è che la presunta sicurezza delle centrali si basa su una concezione di rischio relativa a ciascuna zona. In Giappone, ad esempio, nessuno pensava che potesse arrivare un terremoto superiore agli 8,5 gradi della scala Richter, dunque le centrali erano progettate per resistere a scosse fino a quella entità. Poi è arrivato un sisma di 8,9 e le strutture non hanno retto. Le centrali italiane saranno costruite per resistere a delle scosse di circa 7,1 gradi, ma nessuno ci assicura che un giorno non arriverà un sisma più potente. Quello della sicurezza, poi, non è certo l'unico problema relativo all'energia nucleare. Forse è il più eclatante, probabilmente non il più pericoloso.
Lo smaltimento delle scorie. I rifiuti delle centrali nucleari, le cosiddette scorie, restano radioattive per un tempo che supera i 200mila anni. In queste poche parole sta racchiuso l'aspetto più oscuro e spaventoso dell'energia nucleare. È evidente infatti che, per quanto si affannino in molti a ribadire la sicurezza dello stoccaggio delle scorie, non esiste nessun materiale, né il vetro, né l'acciaio (attualmente i due materiali più usati per contenere i rifiuti radioattivi) capaci di durare tutto questo tempo. Stiamo caricando delle bombe ad orologeria sulle spalle delle generazioni a venire. Ci abbiamo riempito il mare, rimpinzato il ventre della terra. La follia di questa operazione risulta evidente da un dibattito attualmente in corso fra i “filosofi” del nucleare: se sia meglio segnalare la presenza delle scorie alle future generazioni o nasconderle in luoghi dove si pensa che nessuno andrà a scavare. Da una parte c'è chi ipotizza di costruire degli enormi segnali di pericolo in un linguaggio comprensibile alle future civiltà in corrispondenza delle discariche di scorie, poste in genere a grandi profondità in bolle di argilla. Dall'altro c'è chi si chiede se una costruzione non possa invece sortire l'effetto contrario, ovvero attirare l'attenzione e spingere ad indagare, scavando; dunque, se non sia meglio stipare i rifiuti tossici in luoghi il più possibile anonimi e privi d'interesse. Ma chi può prevedere come sarà un luogo fra 200mila anni? Chi può immaginare come sarà il mondo allora? È come se l'uomo di Neanderthal si fosse dovuto preoccupare di comunicare con noi: siamo sicuri che avremmo recepito il messaggio?
L'antidemocraticità. Un'ultima area problematica relativa all'energia nucleare è quella della mancanza di democrazia nella sua gestione. Le centrali nucleari, nel mondo, sono sotto il diretto controllo degli eserciti o di collegi specifici, che possono decidere quali informazioni diramare, quali tenere segrete. Come ammette Renaud Abord de Chatillon, ingegnere membro del Corps des Mines (il collegio che controlla il nucleare in Francia), “l'industria del nucleare non sa che farsene della democrazia, è simile ad un'aristocrazia repubblicana. E dove c'è aristocrazia non c'è spazio della democrazia”. La segretezza che circonda il nucleare ha indotto molti a pensare che il nucleare civile, quello usato per la produzione di energia, nella maggior parte dei casi non sia che una mera copertura per i programmi nucleari militari. Come sostiene il fisico Amory Lovins, “l'elettricità in una centrale nucleare non è che un sottoprodotto”.
Per fermare il ritorno del nucleare in Italia il quesito referendario presentato dall'Italia dei Valori propone di abrogare l'articolo 7, comma 1, lettera d del decreto-legge 112 del 2008, che prevede la "realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare".
CONNESSIONI
Nucleare e acqua: due tematiche fortemente correlate
Lungi dall'essere due temi distanti l'uno dall'altro, acqua e nucleare presentano una fitta rete di connessioni. L'acqua infatti è sempre il primo elemento a fare le spese dell'inquinamento radioattivo, e la contaminazione delle falde acquifere da parte delle scorie nucleari è ad oggi uno dei rischi maggiori per il pianeta. Nell'attuale cataclisma Giapponese l'acqua del mare nei pressi della centrale di Fukushima è stata uno dei rilevatori più lampanti del tasso di contaminazione raggiunto (la radioattività era di 7,5 milioni di volte superiore al normale).
Inoltre è con l'acqua che si raffreddano le centrali e nell'acqua vengono lasciate riposare per 5-10 anni le barre di uranio dopo essere state utilizzate nelle centrali. Dunque sbarrare un sì contro il nucleare significa anche garantirsi un accesso ad un'acqua sicura e non contaminata, mentre riaffermare che l'acqua è di tutti significa anche avere il controllo sugli usi che se ne fanno e sul suo stato. Se l'acqua è privatizzata, niente impedisce a chi gestisce una centrale nucleare di controllare localmente la risorsa idrica, di modo da bypassare i controlli e poter riversare liberamente i liquami radioattivi.
DEMOCRAZIA DIRETTA E PARTECIPATIVA
Vorrei concludere questa panoramica con una considerazione sul valore simbolico dello strumento referendario all'interno del processo di riappropriazione di due beni comuni fondamentali come l'acqua e l'energia. Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, l'unico – se si escludono le leggi di iniziativa popolare, così poco considerate in Parlamento – che permette ai cittadini di dire la loro, di incidere sulla configurazione societaria senza passare per interposta persona.
Ma il referendum è anche il punto culminante di un cambiamento sociale di cui tutti noi ci possiamo fare portavoce. Un cambiamento che è già in atto e che afferma che non tutto può essere considerato una merce, che esistono dei beni che appartengono a tutti e degli argomenti su cui tutti hanno il diritto di prendere decisioni. Il compito che ci spetta non si può ridurre all'atto di andare a votare. Quello sarà solo l'ultimo atto. Se vogliamo veramente riappropriarci della nostra facoltà decisionale, di quella sovranità che ci è assegnata dalla costituzione e sottratta, ogni giorno, da chi usa la politica come uno strumento per curare i propri interessi, dobbiamo darci da fare fin da adesso. Dobbiamo immettere le nostre conoscenze in rete, fare rete noi stessi. E per reti non intendo semplicemente il web, o internet; internet è solo un esempio di rete. La rete è piuttosto una forma, un modello sul cui stampo si configurano le relazioni sociali contemporanee. Dunque mettere un contenuto in rete significa condividerlo all'interno delle proprie reti di relazioni sociali, con i mezzi di cui si dispone. Si può fare un video e metterlo su Youtube, o realizzare un progetto assieme ad altre persone, così come si possono condividere le proprie informazioni con il barista che ti prepara il caffè la mattina, o con il fornaio o i colleghi di lavoro. Solo così sarà possibile diffondere il cambiamento. Solo così potremo sperare che il 12 e 13 giugno 25 milioni di italiani e più escano di casa e vadano a votare per i referendum.

Andrea Degl'Innocenti

lunedì 11 aprile 2011

Alle comunità cristiane

APPELLO di A. Zanotelli

“Donna , dammi da bere!” chiede un Gesù, stanco ed assetato, a una donna samaritana, nel Vangelo letto in terza domenica di Quaresima, in tutte le Chiese cattoliche del mondo.
“Dateci da bere!; gridano oggi milioni di impoveriti. In un Pianeta dove la  popolazione sta crescendo e l’acqua diminuendo per il surriscaldamento, quel “dateci da bere!”, diventerà un grido sempre più angosciante. Nei volti di quelli assetati, noi credenti vediamo il volto di quel povero Cristo che ci ripeterà: ”Avevo sete…. e non mi avete dato da bere!.”   
L’ONU afferma che, entro la metà del nostro secolo, tre miliardi di esseri umani non avranno accesso all’acqua potabile. E’ un problema etico e morale di dimensioni planetarie che ci tocca direttamente. Di fatto, per noi cristiani  l’acqua è sacra, l’acqua è vita, l’acqua è la madre di tutta la vita sulla terra. Senz’acqua gli esseri umani non possono vivere, per cui diventa, fin dalla nascita, un diritto fondamentale umano.
E allora, come mai le comunità cristiane non hanno protestato coralmente e alzato la voce, quando il nostro Parlamento (primo in Europa!) ha votato il 19 novembre 2009 la legge Ronchi, che dichiara l’acqua un bene di rilevanza economica?
Per noi cristiani l’acqua ha un enorme valore simbolico e sacramentale. E’ stato lo stesso Papa Benedetto XVI ad affermare nella sua enciclica sociale Caritas in veritate che l’acqua è un diritto fondamentale umano.. Per questo è ancora più sorprendente il silenzio dell’episcopato italiano sulla privatizzazione dell’acqua nel nostro paese. L’insegnamento papale è stato invece ripreso sull’Osservatore Romano, in un articolo per la Giornata Mondiale dell’Acqua ( 22 marzo 2011) di  Gaetano Vallini, dal titolo :”Una ricchezza da sottrarre alle leggi del mercato” - “In Italia si voterà un referendum che chiede di evitare di intraprendere la strada verso la privatizzazione dell’acqua – afferma Gaetano Vallini. Un referendum che ha visto impegnate anche alcune realtà ecclesiali nel comitato promotore, segno dell’attenzione del mondo cattolico verso un tema delicato e cruciale. Si tratta di un’attenzione quasi insita nel DNA  dei credenti.
Di fatto, nel Comitato Promotore per il referendum ci sono settori ecclesiali:la diocesi di Termoli, gli istituti missionari italiani, le ACLI e l’Agesci. Ma anche la Rete Interdiocesana Nuovi Stili di Vita sta promuovendo una campagna per il tempo di Pasqua sull’acqua come dono di Dio e bene comune, firmato da 24 diocesi e 5 uffici diocesani, sottolineando “sarà importante, quindi, partecipare attivamente al dibattito legato al referendum sulla gestione dell’acqua, che mira a salvaguardarla come bene comune e diritto universale, evitando una merce privata e privatizzabile.”
Come cristiani non possiamo accettare la legge Ronchi, votata dal nostro Parlamento (ricordo: primo in Europa) il 19 novembre 2009, che dichiara l’acqua come bene di rilevanza economica.
Per questo, alla vigilia del referendum, ci appelliamo a tutte le comunità cristiane perché si impegnino, insieme a tutti i cittadini, in questa fondamentale sfida referendaria.
Ci appelliamo nuovamente alla Conferenza Episcopale italiana perché aiuti i credenti a capire che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e che dobbiamo togliere il profitto dall’acqua. E su queste due domande si fonda il referendum del 12 e 13 giugno.
Ci appelliamo ai sacerdoti e ai catechisti perché proclamino nelle omelie, nelle celebrazioni e nelle catechesi  il valore sacrale dell’acqua.
E ci appelliamo a tutti i cristiani perché si impegnino a difendere “sorella acqua” come diritto fondamentale umano e a far nascere una cultura di profondo rispetto e risparmio di un bene così prezioso e così scarso.
Inoltre, sollecitiamo tutte le comunità cristiane a promuovere momenti di incontro, di riflessione, di approfondimento sull’acqua come bene comune e diritto fondamentale, grande dono di Dio che non può mai diventare merce.

Pochi hanno espresso così bene questa visione cristiana sull’acqua come il vescovo cileno Luis Infanti della Mora nella sua lettera pastorale Dacci oggi la nostra acqua quotidiana: ”La crescente politica di privatizzazione è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria sociale: gli esclusi. Alcune imprese multinazionali che cercano di impadronirsi di alcuni beni della natura e soprattutto dell’acqua, possono essere padrone di questi beni e dei relativi diritti, ma non sono eticamente  proprietarie di un bene da cui dipende la vita dell’umanità. E’ un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà facendo sì che la natura sia la più sacrificata e la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri , in particolare.”
                                                                                        Padre Alex Zanotelli
(Napoli, 3 aprile 2011)

sabato 9 aprile 2011

AlReves: Messico


Il sangue dei narcos
Messico: la “guerra della droga” ha già provocato 30mila morti in quattro anni

Nel 2001, il Segretario di Stato Usa, Colin Powell, a proposito della lotta al narcotraffico in America latina dovette riconoscere che il problema della droga, che da decenni affligge la regione, non è endemico, bensì “dipende da ciò che succede nelle strade di New York e nelle vie di tutte le nostre grandi città”. In altre parole, il narcotraffico nell’area latinoamericana cresce e si alimenta grazie alla domanda di stupefacenti che proviene, prevalentemente, dagli Stati Uniti.

In Messico dopo l’adozione del Plan Mérida, che prevede aiuti economici per 350 milioni di dollari all’anno, il governo panista di Felipe Calderón aveva cominciato una vera e propria guerra contro i cartelli della droga, mobilitando migliaia di soldati tra effettivi dell’esercito, della marina militare e della polizia federale. A distanza di qualche anno, i “risultati” raggiunti sono ora sotto gli occhi di tutti: i massacri all’ordine del giorno, le operazioni di polizia anticrimine degenerate in guerra civile e il Paese trasformato in un gigantesco, orrendo, mattatoio.

In teoria, e secondo gli accordi presi con i vicini nordamericani, la guerra ai narcotrafficanti avrebbe dovuto impedire alla droga proveniente dal Sudamerica di fare il suo ingresso in Messico, attraverso la frontiera con Guatemala e Belize, per poi essere smistata verso gli Stati Uniti. Ma nei fatti, l’offensiva poliziesco-militare non ha prodotto alcun effetto positivo. Anzi, nel sud del Messico regna incontrastata la famigerata banda dei “Los Zetas” che si arricchisce, oltre che con la droga, anche con il traffico dei migranti centroamericani, in cerca di fortuna al nord, sfruttando questo enorme serbatoio di mano d’opera a buon mercato nella prostituzione e nella schiavitù del lavoro nei campi.

Secondo molti analisti, i fautori di questa guerra inutile, il presidente Calderón e i suoi mèntori nordamericani, continuano ad ignorare - o forse fanno finta di non sapere - che per affrontare opportunamente la questione narcotraffico si dovrebbe tener conto, anzitutto, di tre fattori fondamentali. E tutti e tre riconducibili alla medesima matrice.

In primo luogo, la maggiore richiesta di stupefacenti proviene dalla stessa nazione che più si impegna a combattere la proliferazione del narcotraffico in tutta l’America latina. Negli Stati Uniti, infatti, vivono milioni di consumatori di droga che si servono di un terzo di tutta la cocaina prodotta nel mondo: un giro d’affari gigantesco che fa gola un po’ a tutti, coinvolgendo anche le banche statunitensi. Dalla XII Conferenza Internazionale sul Riciclaggio è emerso che gli istituti di credito Usa, solo nell’ultimo decennio, avrebbero accolto nei loro caveaux tra i 2,5 ed i 5 trilioni di dollari, frutto di attività illecite come - appunto - il narcotraffico.

Dunque, meglio farebbero le autorità statunitensi a concentrarsi di più sugli aspetti legati alla prevenzione del fenomeno (magari investendo più risorse in programmi sociali per limitare il consumo di droghe nella popolazione), anziché insistere unicamente sul versante della repressione manu militari.

In secondo luogo, dagli Stati Uniti arrivano anche le armi per i cartelli messicani, grazie ad una fitta rete di “collaboratori”, tra funzionari di frontiera compiacenti e poliziotti corrotti, e alle protezioni a livello politico-imprenditoriale di cui godono gli stessi narcos.

Ed infine, andrebbero esaminate più a fondo alcune tra le più disastrose conseguenze del NAFTA, lo sciagurato accordo di libero commercio tra Stati Uniti, Canada e Messico, entrato in vigore a fine anni ’90. Il NAFTA, oltre a provocare l’impoverimento progressivo di intere masse di popolazione, ha costretto milioni di contadini svantaggiati ad abbandonare per sempre le loro terre, oppure a dedicarsi a coltivazioni più redditizie, passando dal mais all’oppio (e/o alla marijuana). Ciò risulta pure da un recente dossier pubblicato dal periodico “La Jornada”, che denuncia la presenza nel nord del Messico di grandi latifondi coltivati ad oppiacei, molti dei quali sono addirittura sorvegliati dai militari. Secondo le stime più ottimistiche, un quarto di tutta l’economia messicana sarebbe già nelle mani dei narcos.

Per molti Paesi dell’America latina, decidere di adottare la strategia nordamericana di contrasto al narcotraffico, con i suoi metodi repressivi, significa esporsi sempre di più all’ingerenza della Casa Bianca nei propri affari interni, con il rischio di cadere - o ricadere - sotto il suo controllo militare, economico e politico. Come nel caso messicano, in cui la sovranità del Paese è stata consegnata agli Stati Uniti in cambio dell’adozione di una politica antidroga cinica e spietata. Ed è ovvio che dietro il paravento della lotta al crimine organizzato si nascondono soprattutto ingenti interessi economici. Così, mentre il sangue di tanti messicani scorre a fiotti nelle strade, pochi privilegiati si ingrassano con i lauti profitti della “narcoguerra”.

Andrea Necciai