venerdì 11 febbraio 2011

Giorno del Ricordo 2011

...ne hanno parlato fino alla nausea negli anni novanta durante i governi dell’Ulivo. “Basta con la storia a senso unico della sinistra, commemoriamo le foibe”, sostenevano gli esponenti ex missini. Ne hanno fatto una bandiera, soprattutto nelle scuole e nelle università. Ma oggi, nonostante 10 anni quasi ininterrotti del governo della destra, in pochissimi sanno cosa sono queste benedette foibe.
Con il graduale collasso della RSI e con i tedeschi in ritirata nel nord Italia, tra il 1943 e il 1945 da est si presentò un nuovo pericolo per il popolo italiano: l’avanzamento delle truppe partigiane jugoslave capitanate da Tito. Pola, Fiume, e Trieste caddero nelle mani slave. Questa nuova occupazione comportò una serie di epurazioni formalmente non basate sull’etnia ma sull’aderenza al fascismo. Così, migliaia di italiani (civili inermi, carabinieri, finanzieri) e centinaia di tedeschi furono gettati, spesso vivi, all’interno di grotte verticali, tipiche del terreno carsico delle province di Trieste e Gorizia. Fu l’ultimo atto barbaro di una guerra che aveva visto carnefici e vittime alternarsi lungo la linea del tempo.

Nonostante rappresenti uno dei fatti, per lo meno a livello simbolico, rappresentativi della barbarie di quella folle guerra, questa tragedia è stata completamente rimossa dalla memoria collettiva. I motivi sono tanti, molteplici, non chiari, e non possiamo qui approfondirli. La tragedia delle foibe è riemersa attraverso l’impegno politico di Alleanza Nazionale che ha invocato una giornata per ricordarla, oltre alla richiesta di inserirla nei programmi scolastici.
Se il 10 febbraio è diventato il “giorno della memoria”, sui libri di scuola ancora non se ne trova traccia. Eppure qualche ex missino le ha paragonate addirittura alla Shoah. Difficile fare un confronto: nelle foibe sono morte circa 7mila persone, molti dei quali appartenenti al partito fascista di un paese considerato dagli slavi invasore, mentre nelle camere a gas naziste sono morti 6 milioni di ebrei, colpevoli solo di essere ebrei.

Le foibe, rispetto al contesto generale, sono state un fatto del tutto marginale, ma certamente molto “italiano”. Per questo hanno comunque diritto alla memoria, come avrebbero diritto alla memoria decine di migliaia di uomini etiopi e libici giustiziate nei campi di prigionia durante il periodo coloniale italiano, e la pulizia etnica attuata dal regime fascista nella provincia di Lubiana (oggi Slovenia). Perché è giusto commemorare i nostri morti ma è ora di riconsiderare quella teoria per la quale: “Italiani, brava gente”.

Paolo Ribichini, Diritto di Critica
 
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A proposito di “Martiri delle foibe”

di Claudia Cernigoi


Dopo tanti anni da quando ho iniziato a fare ricerca storica sulle foibe (cioè dal 1995), dopo tutta la documentazione che ho analizzato e tutte le cose che ho pubblicato (e che nessuno storico serio, finora, ha smentito), quando sento ancora parlare di diecimila “infoibati”, di migliaia di “martiri delle foibe”, non so se mi sento più arrabbiata o più demoralizzata. Perché, mi domando, una ricerca storica seria deve venire snobbata, ignorata, vilipesa, mentre si prosegue a parlare a sproposito di certi argomenti, solo per mantenere viva la propaganda anticomunista ed antijugoslava, sostanzialmente per rivalutare il fascismo?
Un esempio per stigmatizzare la situazione di disinformazione storica nella quale ci troviamo. A novembre, su segnalazione del Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, che ha elevato una protesta riguardo all’intitolazione in quella città di una via ai cosiddetti “martiri delle foibe” (termine che per la sua genericità e vaghezza di definizione necessiterebbe di un’analisi di svariate pagine, ma su cui tornerò più avanti), sono andata a vedere il forum di Alicenonlosa (http://www.alicenonlosa.it/aliceforum/) e di fronte a tanta (peraltro spocchiosa e saccente) ignoranza relativamente ai fatti storici di cui si pretende di parlare, mi sono davvero cadute le braccia.
Leggere di “almeno diecimila” infoibati, di “compagni del CLN” gettati nelle foibe, di paragoni tra Tito e Pol Pot, così come insulti al presidente Pertini, e citazioni fuori tema su Goli Otok (che fu campo di prigionia, orribile fin che si vuole, ma destinato ad oppositori interni e non c’entra per niente con le “foibe”), il tutto per rispondere all’equilibrata e documentata presa di posizione del Comitato antifascista e per la memoria storica mi ha fatto riflettere sul senso che ha cercare di fare ricerca storica circostanziata se poi quello che continua ad essere diffuso sono stereotipi di falsità e propaganda.
Uno dei vari anonimi polemisti, quello che cita i “compagni del CLN” infoibati, dopo avere parlato di “diecimila” vittime, fa i seguenti nomi: Norma Cossetto, i sacerdoti don Bonifacio e don Tarticchio, le tre sorelle Radecchi, i tre componenti della famiglia Adam. Nove persone. Punto. Dove don Tarticchio, Norma Cossetto e le tre sorelle Radecchi furono uccisi nel settembre 1943 in tre distinte località dell’Istria nel corso del conflitto; don Bonifacio scomparve nel 1946 e non si sa che fine abbia fatto, ma visto che è scomparso nel nulla, dice la propaganda, ovviamente è stato “infoibato”; la famiglia Adam, di Fiume, che faceva parte del CLN filo italiano che nell’estate del 1945, quando Fiume era passata sotto sovranità jugoslava operava per riannettere la città all’Italia, in barba a tutti gli accordi tra Alleati, fu arrestata appunto per questa attività eversiva, e non vi è prova che qualcuno dei tre sia stato “infoibato”.
Ed i “compagni” del CLN di cui parla l’Anonimo (diamogli una dignità di nome proprio con un’iniziale maiuscola) chi sarebbero? Non certo coloro (una ventina) che furono arrestati durante l’amministrazione jugoslava di Trieste perché organizzavano attentati dinamitardi contro l’autorità esistente, che amministrava Trieste in quanto potenza alleata; né i tre membri del CLN arrestati per essersi appropriati dei fondi della Marina militare della RSI pur di non lasciarli in mano agli jugoslavi, due dei quali furono rilasciati un paio di anni dopo, mentre il terzo, già malato al momento dell’arresto, morì in prigionia un anno dopo.
Si possono poi considerare “martiri” i membri dell’Ispettorato Speciale di PS che furono arrestati e condannati a morte dal tribunale di Lubiana, perché colpevoli di essersi macchiati di azioni criminali, come Alessio Mignacca, che picchiò una donna arrestata fino a farla abortire, ed uccise almeno tre persone che cercavano di sfuggire all’arresto, sparando contro di loro?
Si potrebbe continuare a lungo con questi esempi, ma il discorso da fare è, a mio parere, un altro, e ritorno sulla questione della definizione “martiri delle foibe”. Innanzitutto la maggior parte di coloro che vengono così indicati non furono veramente uccisi e poi gettati in una foiba: in parte si tratta di prigionieri di guerra morti durante la detenzione (così come accadde in altri campi di detenzione gestiti dagli Alleati, ad esempio in Africa), in parte di arrestati perché accusati di crimini di guerra o di violenze contro i prigionieri (vedi il caso di Mignacca sopra citato, ma anche quello di Vincenzo Serrentino, giudice del Tribunale speciale per la Dalmazia, che mandò a morte moltissimi innocenti) e condannati a morte dopo un processo. Coloro che finirono nelle foibe furono per lo più vittime di regolamenti di conti o di vendette personali, così come Norma Cossetto, così come don Tarticchio, sul quale gravava il sospetto che fosse un informatore dell’Ovra.
Intitolare strade a generici “martiri delle foibe” significa non rendere giustizia a nessuno, tantomeno alle vittime innocenti, serve solo ad eternare la polemica sulla “ferocia slava” che voleva operare una pulizia etnica contro gli italiani nella Venezia Giulia (teoria nazionalfascista che nessuno storico degno di questo nome ha mai avallato).
L’analisi di cui sopra è stata inviata, sempre a novembre 2010, al Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, quale contributo di solidarietà al loro lavoro di informazione per la conoscenza della storia. Non so se l’intervento è stato pubblicato da qualche testata parmense, ma ritengo ora, a ridosso del Giorno del ricordo del 10 febbraio, di diffonderlo più ampiamente, in vista di quanto verrà detto e scritto sull’argomento.

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