sabato 31 luglio 2010

AlReves: Cile


Shock economy in salsa latina
Il Cile di Pinochet e le “cavie di laboratorio” dei Chicago Boys

Negli ultimi decenni l’America Latina è stata il principale laboratorio di sperimentazione delle cosiddette “terapie di shock”, un insieme di misure economiche “di emergenza” (molto gradite a corporations e multinazionali) che comprendevano privatizzazioni su larga scala e drastici tagli alla spesa sociale. Applicati secondo i paradigmi del “libero mercato”, tutti questi provvedimenti hanno contribuito nel tempo a indebolire e depauperare interi Stati e popolazioni.

In uno dei suoi saggi più letti, il defunto economista Milton Friedman, considerato uno dei padri fondatori della dottrina neoliberista, sembrava aver trovato la panacea per il capitalismo moderno quando affermava che “soltanto una crisi, autentica o supposta, può produrre un cambiamento reale. Quando si produce una crisi, le azioni che si adottano devono dipendere dalle idee dominanti”. E Friedman seppe come sfruttare una crisi “su grande scala” quando, a metà degli anni 70, entrò in contatto con il dittatore cileno Augusto Pinochet.

In quel tragico capitolo della sua storia il Cile, già prostrato dal colpo di stato militare ai danni del governo legittimo del socialista Allende, stava soffrendo un periodo di grave crisi economica dovuto all'iperinflazione. Friedman colse la palla al balzo e raccomandò a Pinochet di imporre una repentina trasformazione dell'economia a base di tagli alle tasse, libero commercio, privatizzazione dei servizi pubblici, drastica riduzione della spesa sociale e deregulation. Il risultato fu la più grande trasformazione capitalista mai realizzata nella storia del Continente (meglio conosciuta come “Rivoluzione della Scuola di Chicago”). Ma le conseguenze furono soprattutto licenziamenti di massa, disoccupazione crescente e aumento delle povertà.

Nel frattempo analoghi processi venivano sperimentati negli stessi anni anche in Brasile, Uruguay ed Argentina, sempre contando sull’aiuto dei “cervelli” dell'Università di Chicago e sotto l’ala protettrice delle dittature militari. Vale la pena ricordare che queste importanti riforme economiche, messe in atto per il bene dei paesi “cavia”, venivano propinate alle popolazioni interessate con l’ausilio di terapie invasive in molte sale di tortura sudamericane, e grazie al meticoloso lavoro di soldati e poliziotti addestrati negli Stati Uniti.

Negli anni 80 e 90, epoca in cui le dittature lasciarono lentamente spazio a fragili democrazie, l'America Latina non riuscì lo stesso a sfuggire alla “dottrina dello shock”. Anzi, nuove crisi prepararono il terreno ad un'altra sfilza di “terapie d’urto” di stampo liberista: il problema dell'indebitamento agli inizi degli anni 80, seguito da un'ondata di iperinflazione e dal crollo dei prezzi delle materie prime, dalle cui esportazioni - del resto - dipendono ancora oggi molte economie della regione.

In Cile, malgrado dal 1990 sia in corso un singolare processo di transizione alla democrazia, “i dirigenti della Concertacion para la Democracia, la coalizione formata da democristiani, radicali e socialisti post Allende, avevano negoziato con la dittatura il ritorno ad una normalità democratica vigilata da Pinochet. Conosciamo alcuni dei diktat della dittatura: il modello economico imposto con successo a forza di sangue e terrore non doveva essere toccato; la costituzione fatta dal dittatore per garantire l’egemonia delle forze armate sulla società civile non doveva essere riformata; la sinistra sarebbe rimasta ai margini della partecipazione politica e si sarebbe continuato a stigmatizzare qualsiasi forma di dissidenza dal modello economico liberista, perché la nuova democrazia cilena era questo, un prodotto della nuova situazione di mercato. Tutta la vita sociale, culturale e politica doveva essere funzionale al modello economico.”*

In virtù di questi trascorsi, è logico ritenere che la rivolta contro il neoliberismo stia concentrando le sue avanguardie proprio in America Latina, dove intere popolazioni, istituzioni e movimenti politici continuano ad opporsi ad un modello economico che mostra sempre più le corde ma che ha ancora la forza di imporsi come sistema dominante.

Come “cavie” del primo laboratorio di shock i popoli latinoamericani hanno impiegato parecchio tempo a comprendere i meccanismi di funzionamento delle politiche neoliberali (e i loro disastrosi effetti); ma ora sembrano aver sviluppato i giusti anticorpi per proteggersi da nuovi, minacciosi venti di crisi. Alla ricerca di sistemi sociali più giusti ed egualitari, molti governi cercano oggi di gettarsi alle spalle - forse definitivamente - i fantasmi di un sistema economico devastante che per decenni ha avuto il solo merito di moltiplicare sofferenze e povertà dal Rio Bravo alla Terra del Fuoco.

Andrea Necciai

Note
* “Il potere dei sogni” di Luis Sepulveda - TEADUE, marzo 2008.

sabato 10 luglio 2010

AlReves: El Salvador


Un terrorista chiamato “El Panzón”
Chi è Francisco Chávez Abarca, il braccio destro di Posada Carriles

I servizi di sicurezza venezuelani sono riusciti a mettere le mani sul terrorista salvadoregno Francisco Chávez Abarca, considerato il braccio destro di Luis Antonio Posada Carriles - l’ex agente della CIA attualmente in attesa di giudizio negli Usa per violazione della legge sull’immigrazione -, responsabile dagli anni ’70 di una serie di attentati contro Cuba e di altre “operazioni eversive” compiute in vari paesi del subcontinente.

Chavéz Abarca, meglio conosciuto con il nomignolo di “El Panzón", stava tentando di entrare in Venezuela munito di credenziali e passaporto falsi. Le intenzioni del criminale salvadoregno sono ancora sconosciute, ed è probabile che neppure gli interrogatori del Sebin (il servizio di intelligence bolivariano), o dell’Interpol, porteranno a qualche confessione.

Cosa è andato a fare El Panzón in Venezuela? Che tipo di incarico o di missione è stato chiamato a svolgere nel paese bolivariano? E per conto di chi? Per il momento il quadro della situazione è ancora oscuro; sono invece ben conosciute le attività criminali a cui si è fin qui dedicato il personaggio in questione.

Se si scorre il curriculum vitae di Francisco Chávez Abarca, la sequenza dei crimini da lui commessi è davvero impressionante: si va dal traffico di droga agli attentati dinamitardi, passando per le truffe e il furto di automobili. Per quest’ultimo reato il nostro uomo ha già scontato due anni di prigione in Salvador, insieme ad altri 21 membri della banda specializzata in “robo de carros”; secondo la magistratura salvadoregna si trattava di “una delle principali organizzazioni criminali a livello centroamericano, specializzata nel furto e nella rivendita di autoveicoli”.

Nel corso degli anni ’90, El Panzón fu pure implicato in altre attività illecite come il narcotraffico, la vendita di armi e il riciclaggio di denaro sporco, operando questa volta in Guatemala.

Nonostante questi ed altri precedenti penali, nell’ottobre del 2007 un giudice salvadoregno decise a sorpresa la scarcerazione di Chavéz Abarca, senza che il detenuto fosse mai stato chiamato a rispondere davanti alla giustizia dei suoi delitti più gravi, quelli legati al terrorismo internazionale.

Alla fine degli anni 80’, quando El Panzón si mise a servizio dell’agente segreto della CIA Posada Carriles, quest’ultimo era impegnato ad organizzare il traffico illegale di armi per i “Contras”, i mercenari addestrati dagli Usa ed utilizzati nella guerra “sporca” e mai dichiarata contro il Nicaragua sandinista.

Per tutti gli anni ‘90, utilizzando diversi pseudonimi, il criminale salvadoregno si rese utile all’organizzazione clandestina di Posada, svolgendo un’infinità di “missioni” tra El Salvador, Honduras, Guatemala e Nicaragua, soprattutto come reclutatore di uomini adatti a compiere attentati o sabotaggi. Come nel caso della campagna terroristica del 1997 contro Cuba, concepita dalla Fondazione Nazionale Cubano Americana (FNCA) - un ente socio/culturale di “copertura” utilizzato dalla CIA in funzione anticastrista - e diretta personalmente da Posada dal suo quartier generale situato in un rifugio segreto a San Salvador.

Chavéz Abarca ricevette l’incarico da Posada Carriles di selezionare dei mercenari e di addestrarli all’uso di esplosivi per compiere attentati dinamitardi sul suolo cubano. Alla fine, fu scelto Ernesto Cruz León, un salvadoregno “degno di fiducia”, per collocare le bombe in alcune strutture alberghiere de L’Avana.

Il primo ordigno, confezionato con 600 grammi di esplosivo C-4, esplose nella discoteca Aché dell’Hotel Meliá Cohíba, il 12 aprile del 1997, causando soltanto danni materiali. Il 30 aprile venne disinnescato un altro ordigno (di 400 grammi di C-4) nascosto in un vaso nel corridoio del 15° piano dello stesso albergo. Qualche giorno più tardi, mentre El Panzón si trovava in Messico, un’altra bomba fu fatta detonare. In quell’occasione l’obiettivo scelto erano gli uffici della compagnia cubana Cubanacán che opera a Città del Messico.

Infine, una quarta bomba fu collocata nell’atrio dell’Hotel Copacabana, sempre a L’Avana e sempre dagli stessi attentatori. Esplose il 4 settembre 1997, provocando la morte del giovane imprenditore italiano Fabio Di Celmo.

Chávez Abarca, El Panzón, sarà presto estradato a Cuba dove verrà giudicato per terrorismo, al contrario del suo “principale” Posada Carriles che, alla veneranda età di 84 anni, può ancora godersi il suo “esilio dorato” negli Stati Uniti, in attesa di un giudizio che - probabilmente - non arriverà mai.

Andrea Necciai