venerdì 31 luglio 2009

AL REVES: Honduras, un golpe alla democrazia



Una breve analisi degli avvenimenti, ad un mese dal Colpo di Stato

L’Honduras, con più di sette milioni di abitanti e un tasso di povertà assoluta che raggiunge il 66 per cento della popolazione, è il paese del Centroamerica che più di tutti presenta ancora oggi gravi condizioni di disuguaglianza e di immobilismo sociale. 

1. I fatti
Domenica 28 giugno, il presidente Manuel “Mel” Zelaya Rosales, eletto democraticamente nel 2005, viene prelevato con la forza dalla sua abitazione da un commando militare e “trasferito” in Costa Rica. Ha inizio il colpo di stato in Honduras.
L’ordine di destituire il presidente legittimo era partito dal Congresso Nazionale (il Parlamento honduregno) con il sostegno “legale” della Corte Suprema di Giustizia, entrambi controllati dall’oligarchia economica e dalla classe politica conservatrice che ha ideato e messo in atto il golpe.
Subito dopo, lo stesso Congresso Nazionale  si affretta a nominare un presidente “de facto”, l’ex presidente del Parlamento Roberto Micheletti. Da questo momento in tutto il Paese è decretato lo “stato d’assedio” e imposto il “toque de queda” (coprifuoco), ma soprattutto viene introdotta una sorta di legge marziale che, di fatto, sospende le libertà e i diritti individuali garantiti dalla Costituzione honduregna, aprendo la strada ad una feroce repressione da parte dell’Esercito e delle Forze di Sicurezza nei confronti degli oppositori al nuovo regime.

2. Gli interessi in gioco
Il “pomo della discordia” che ha scatenato la reazione violenta delle classi dominanti honduregne contro il presidente Zelaya è stato il referendum popolare (che avrebbe dovuto svolgersi lo stesso giorno in cui è stato deposto) per decidere se convocare o no l'elezione di un'Assemblea Costituente, un primo passo per avviare una serie di riforme istituzionali ed economiche per far cambiar volto ad uno dei paesi più poveri e disastrati di tutta l’America latina.
Quella per l'Assemblea Costituente sarebbe stata la "quarta urna", una svolta che secondo i sondaggi è voluta da almeno l'85% degli hoduregni, ma indesiderata dalle élite tradizionali, dal sistema dei partiti (incluso quello di Zelaya, il Partito Liberale) dalla Chiesa e dai mass media che in Honduras, come nel resto del continente, sono dominio esclusivo del potere economico. Ma queste compagini non vogliono una nuova Costituzione né - tantomeno - accettano di verificare se la maggioranza della popolazione la desidera.
In questi quattro anni di governo “Mel” Zelaya, membro di una tra le più ricche famiglie di allevatori e candidato per il centro-destra, aveva già fatto abbastanza per inimicarsi i “poteri forti” del suo Paese: l’ingresso nell’ALBA (Alternativa Bolivariana per le Americhe) e la conseguente “sterzata a sinistra” verso l’asse “chavista” con la firma dell’accordo energetico “Petrocaribe”; l’intenzione di convertire in aeroporto civile l’attuale Base militare statunitense di Palmerola (sempre nell’ambito degli accordi dell’ALBA); i decreti esecutivi a favore delle classi meno abbienti (come la legge sull’aumento del salario minimo). Queste ed altre azioni di governo promosse da Zelaya hanno provocato nel tempo una profonda “frattura” con la classe dirigente hoduregna.   

3. I registi del Golpe
Le forze coinvolte o implicate in diversa misura nell’organizzazione e nell’attuazione del Colpo di Stato in Honduras si possono individuare nelle seguenti “aree di interesse”:

Economia
Il Consejo de la Impresa Privada (la Confindustria locale); la FENAGH (l’associazione di latifondisti e allevatori) contraria al miglioramento delle condizioni di lavoro dei braccianti e alla “riforma agraria”; le imprese importatrici di petrolio, danneggiate dall’acquisto di carburanti a basso prezzo dal Venezuela di Chavez (accordi “Petrocaribe”); e poi ancora il settore finanziario (banche ed assicurazioni), industrie farmaceutiche e i mezzi di comunicazione (emittenti televisive e radio di proprietà delle stesse classi dirigenti).

Politica interna
I partiti politici ostili a Zelaya: Democrazia Cristiana, PINU, alcuni settori dello stesso partito del presidente legittimo (il Partito Liberale) come l’ala più conservatrice capitanata da Carlos Flores Facusse, ex presidente della Repubblica.

Altre istituzioni
Altre istituzioni come la Chiesa Cattolica e quella Evangelica, il Ministerio Publico, la Corte Suprema de Justicia e persino il Comisionado Nacional de Derechos Humanos, tutti compromessi con gli interessi dell’ex Presidente della Repubblica Facusse e attuale Presidente dell’Associazione dei Mezzi di Comunicazione.

Multinazionali e corporations straniere
Con il graduale allontanamento del governo honduregno dalle politiche neoliberiste di stampo nordamericano (Trattato di Libero Commercio, Plan Mérida etc…), corporations statunitensi ed altre imprese transnazionali – prima tra tutte la United Brands (ex United Fruit Co/Chiquita), ma pure le spagnole Union Fenosa (energia elettrica) e Movistar (telecomunicazioni) – hanno cominciato a preoccuparsi della minaccia di una possibile “deriva socialista”, a causa delle riforme democratiche e dell’entrata dell’Honduras nell’ALBA.

4. Le Forze Armate honduregne 
Nel periodo degli anni ’60 e ’70 l’Honduras ha conosciuto dittature militari tra le più repressive che nell’arco di due decadi sono confluite nei cosiddetti governi “democratici” degli anni ’80 e ’90 (o meglio nelle “democrature”, come le definisce correttamente Galeano). Tuttavia, l’influenza e il potere della casta militare si sono sempre mantenuti inalterati nel tempo.
Le F.F.A.A. dell’Honduras sono, a tutti gli effetti, una “creatura” del Pentagono. Fanno parte infatti della “Forza Congiunta Bravo” (JTF-B) dell’Esercito degli Stati Uniti, un contingente costituito da effettivi dell’esercito, dell’aviazione, delle forze di sicurezza congiunte (reparti di intelligence e di polizia militare) e dal 1/228 Reggimento dell’Aviazione militare statunitense.
Il leader dei generali golpisti è proprio il Capo di Stato Maggiore della Forza Congiunta, Gen. Romeo Vazquez Velazquez, destituito da Zelaya per aver disobbedito ai suoi ordini (si era infatti rifiutato di provvedere alle operazioni di allestimento dei seggi referendari), mentre il “numero due” è il Gen. Luis Price Suazo, Comandante in Capo dell’Aviazione. Si tratta quindi dei più alti ufficiali in comando, entrambi formati e laureati presso la tristemente nota “Scuola delle Americhe”, l’accademia militare Usa che ha “sfornato”, nel suo mezzo secolo di storia, buona parte dei futuri dittatori dell’America latina (come Pinochet, Rios Montt, DAubuisson, Stroessner etc…) e che ha sede a Fort Benning, nella Georgia.

5. Il ruolo degli Stati Uniti
Al di là delle dichiarazioni iniziali del presidente Obama e della Segretaria di Stato Hillary Clinton, favorevoli al presidente legittimo e malgrado il non-riconoscimento del governo golpista “de facto”da parte dell’ONU, dell’OSA (Organizzazione degli Stati Americani) e di tutta la comunità internazionale (con l’eccezione di Israele), “Mel” Zelaya non è riuscito a rientrare nel suo Paese (rischierebbe l’arresto immediato) e a riprendere le redini del governo, mentre esercito e polizia continuano ad attuare una feroce repressione contro i suoi sostenitori rimasti in patria. 
Ufficialmente, la Casa Bianca non ha ancora dichiarato il caso honduregno un “Colpo di Stato”, forse perché questo farebbe scattare la legge del Congresso che prevede la sospensione degli aiuti economico-militari all’Honduras.
Né Obama né la Clinton hanno chiesto ai generali del Pentagono di interrompere i loro rapporti con i generali golpisti, loro sottoposti perché inferiori di grado. E neppure hanno osato richiamare da Tegucigalpa il loro ambasciatore, Hugo Llorens (tra l’altro, un esperto di guerra fredda e di operazioni di controinsorgenza): sarebbe stata la mossa più logica per significare la rottura delle relazioni diplomatiche. Al contrario il Dipartimento di Stato continua a prendere tempo, alla luce del fallimento della mediazione del presidente costaricense Oscar Arias (personaggio assai chiacchierato e “pedina”  degli Usa nella regione), forse con l’obiettivo di arrivare - alla fine - a legittimare il governo di fatto dell’Honduras, una volta terminata questa situazione di stallo che potrebbe durare fino alle prossime elezioni di novembre.
Se Zelaya non potrà più correre, allora i due candidati delle destre si disputeranno il potere con l’avallo dei golpisti e degli Stati Uniti. E addio riforme democratiche…
 Andrea Necciai


“Nessuno deve obbedienza a un governo usurpatore né a coloro che assumano funzioni o incarichi pubblici mediante l’uso della forza oppure usando mezzi che contrastino o disconoscano ciò che questa Costituzione e le sue leggi stabiliscono. Gli atti verificati da tali autorità sono pertanto nulli. Il popolo ha il diritto di ricorrere all’insurrezione in difesa dell’ordine costituzionale”.
Articolo 3 della Costituzione dell’Honduras.