giovedì 30 aprile 2009

AL REVES: il FMLN vince le elezioni presidenziali in Salvador



La sconfitta della paura
 
Dopo due decenni di guerra civile e di governi dispotici, in Salvador il bastione di una delle oligarchie più reazionarie dell’intero continente latinoamericano si è finalmente sgretolato. Alle elezioni presidenziali tenutesi il mese scorso il candidato del Fronte Farabundo Martì (FMLN), Mauricio Funes, si è imposto con il 51% dei suffragi sul candidato della destra nazionalista dell’Alleanza Repubblicana Nazionalista (ARENA), espressione di un regime ventennale solo formalmente “democratico” ma nella sostanza repressivo e sanguinario.

La storica affermazione elettorale del FMLN, il partito nato dalla guerriglia che negli anni 80 e 90 seppe tener testa al più potente e meglio armato esercito salvadoregno, testimonia che il Salvador è finalmente riuscito a “vincere la paura”. La paura delle possibili rappresaglie di Washington in caso di una svolta “a sinistra” di questo piccolo Paese dove 2 milioni di lavoratori emigrati negli Stati uniti contribuiscono attraverso le loro “remesas” in denaro a tenere a galla la sua fragile economia; ma soprattutto la paura di non farcela, anche questa volta, a vincere il confronto elettorale con ARENA, dopo le precedenti “sonore” sconfitte segnate da brogli clamorosi e da campagne di terrore montate dall’oligarchia salvadoregna, sempre con il supporto finanziario e propagandistico degli Stati uniti.

La vittoria della sinistra salvadoregna giunge nel momento in cui in tutta la “Patria grande” soffiano venti di cambiamento. Trascinate dall’esempio del Venezuela di Hugo Chavez e dal suo progetto di  “Alternativa Bolivariana per le Americhe” (ALBA), che parla finalmente di autonomia e di integrazione per tutti i Paesi dell’America latina, le forze progressiste guadagnano terreno ora anche in Centroamerica, da sempre considerato il “cortile di casa” degli Stati uniti, vale a dire terra di sfruttamento, di golpes e di “repubbliche delle banane” amministrate dai soliti dittatori-fantoccio.

L’affermazione del FMLN è anche il frutto di un ventennio di lotte che ebbero il loro apice tra il 1980 e il 1992, l’epoca del conflitto armato che provocò almeno 75.000 vittime tra combattenti e civili, e che vide parte della popolazione imbracciare le armi come estremo gesto di ribellione alla miseria e alle ingiustizie sociali.

Dopo la firma degli Accordi di Pace del 1992, il FMLN è diventato per tutti i Paesi dell’area un solido punto di riferimento per la lotta contro le politiche neoliberiste, miranti a facilitare la privatizzazione di imprese e servizi sotto l’egida dei governi filoamericani e sotto la protezione degli apparati di sicurezza locali. In questa difficile tappa i dirigenti e i militanti farabundisti, nonostante molti dissidi interni ed alcuni errori strategici, hanno saputo sviluppare un’indubbia maturità politica e, dopo aver subito non poche batoste elettorali, sono infine riusciti a rafforzare il loro legame con le fasce più deboli della popolazione, sostenendone istanze e diritti.

Così, dopo i successi alle ultime elezioni amministrative dello scorso gennaio, il FMLN centra finalmente l’obiettivo delle Presidenziali e si propone come nuova forza di governo per il prossimo quinquennio. Il presidente eletto Mauricio Funes, che inizierà il suo mandato a giugno, si impegnerà a mettere in pratica un ambizioso programma frutto di mesi di consultazioni con le basi popolari e con gli altri settori della società salvadoregna. Il progetto di Funes è incentrato sulla “responsabilità dello Stato nell’assicurare il diritto del popolo all’istruzione, alla salute, alla cultura, al cibo e alla parità dei sessi; anche l’economia sarà orientata al conseguimento di questi obbiettivi. Nel suo programma si legge chiaramente la volontà di rivendicare i diritti delle popolazioni indigene, la priorità della creazione di nuovi posti di lavoro grazie al sostegno alle piccole e medie imprese, la ferma opposizione a nuove privatizzazioni nel settore dei servizi pubblici e la lotta alla corruzione.”*

Realizzare tutti questi propositi richiederà uno sforzo straordinario in termini di mobilitazione di tutte le parti sociali, ma anche – e soprattutto – di negoziazione con le altre forze politiche e imprenditoriali. Un’altra debolezza è rappresentata dal fatto che il FMLN non possiede la maggioranza in parlamento (cosa che potrebbe, in taluni casi, mettere a rischio la governabilità del Paese). Per di più la destra, sebbene sia uscita sconfitta dalle elezioni, è ancora in grado di “influenzare” il sistema giudiziario e mantiene saldamente il controllo delle Forze armate, della Polizia e di gran parte degli apparati burocratici statali. A tutto ciò si deve aggiungere che l’economia del Salvador dipende quasi totalmente da quella statunitense - a causa dei Trattati di Libero Commercio imposti sotto le ultime legislature di ARENA - e dalle “rimesse” dei lavoratori emigrati negli States.

Il compito è davvero improbo, in una realtà dove la miseria, la disuguaglianza e la violenza, vale a dire le tre maggiori piaghe del “Pollicino d’America”, rappresentano i veri nemici da combattere. Il popolo salvadoregno ha scelto per il cambiamento, ora tocca al nuovo governo fare la sua parte.

Andrea Necciai


Note
* Da “El Salvador: la esperanza venció al miedo” – La Jornada, Angel Guerra.