mercoledì 2 gennaio 2008

AlReves: America Latina


“SHOCK ECONOMY” IN SALSA LATINA.

Negli ultimi decenni l’America Latina ha rappresentato il principale laboratorio di sperimentazione delle “terapie di shock”- l’insieme delle misure economiche cosiddette “di emergenza”, assai gradite alle grandi corporations e multinazionali - come le privatizzazioni su larga scala e i drastici tagli alla spesa sociale; misure che depauperano e indeboliscono lo Stato in nome del dogma del Libero Mercato.
In uno dei suoi saggi più letti, il defunto economista Milton Friedman (considerato a ragione uno degli artefici della dottrina neoliberista), che sembrava aver trovato la panacea per il capitalismo moderno, affermava che “soltanto una crisi, autentica o supposta, può produrre un cambiamento reale. Quando si produce una crisi, le azioni che si adottano devono dipendere dalle idee dominanti”.
Friedman seppe come sfruttare una crisi “su grande scala” a metà degli anni 70, quando entrò in contatto con il dittatore cileno Augusto Pinochet. In quel frangente il Cile, che già dovette sopportare lo shock improvviso del colpo di stato militare ai danni del governo legittimo del socialista Allende, stava soffrendo un periodo di grave crisi economica dovuto all'iperinflazione.
Di conseguenza, l’arguto Friedman raccomandò a Pinochet di imporre una repentina trasformazione dell'economia a base di tagli alle tasse, libero commercio, privatizzazione dei servizi pubblici, drastica riduzione della spesa sociale e “deregulation”. Il risultato fu la più grande trasformazione capitalista mai realizzata nella storia del Continente (meglio conosciuta come “Rivoluzione della Scuola di Chicago”); ma le conseguenze furono soprattutto: licenziamenti di massa, disoccupazione crescente e aumento delle povertà.
Mentre analoghi processi si stavano sperimentando negli stessi anni in Brasile, Uruguay ed Argentina, sempre contando sull’aiuto dei “cervelli” dell'Università di Chicago e sotto l’ala protettrice di brutali dittature militari, vale la pena ricordare che queste importanti riforme economiche, indubbiamente ideate “per il bene del paese”, furono propinate alle popolazioni interessate mediante terapie non proprio indolori in molte sale di tortura sudamericane, grazie al meticoloso lavoro di soldati e poliziotti addestrati negli Stati Uniti.
Negli anni 80 e 90 le dittature lasciavano lentamente spazio a fragili democrazie, ma l'America Latina non riuscì lo stesso a sfuggire alla “dottrina dello shock”. Anzi, nuove crisi preparavano il terreno per un'altra sfilza di “terapie d’urto” di stampo liberista: il problema dell'indebitamento agli inizi degli anni 80, seguito da un'ondata di iperinflazione e dal crollo dei prezzi delle materie prime, dalle cui esportazioni - del resto - dipendono ancora oggi molte economie della regione.
Oggi, in virtù di questi trascorsi, appare logico che la rivolta contro il neoliberismo abbia la sua avanguardia proprio in America latina, dove con coraggio intere popolazioni, istituzioni e movimenti politici continuano ad opporsi ad un modello economico che mostra sempre più le corde ma ha ancora la forza di imporsi come sistema dominante.
Come “cavie” del primo “laboratorio di shock” i latinoamericani hanno avuto molto tempo per capire i meccanismi di funzionamento delle politiche neoliberali, ma ora sembrano aver sviluppato i giusti anticorpi per proteggersi da nuovi, minacciosi venti di crisi. E pare anche che molti governi si siano gettati alle spalle, forse definitivamente, i fantasmi di un sistema economico devastante che per decenni ha avuto il solo merito di moltiplicare sofferenze e povertà dal Rio Bravo alla Terra del Fuoco.

Andrea Chile Necciai