sabato 19 agosto 2006

AL REVES: le mani su Cuba



Torna in auge il più folle dei progetti di G.W. Bush.  

Il 20 maggio del 2004 il presidente Bush annunciò con grande clamore di aver messo a punto un piano infallibile per abbattere l'odiato regime castrista e gettare così le basi per una futura “annessione” di Cuba. La divulgazione del documento, che risultava essere composto da più di 450 pagine, scatenò sulle prime una pioggia di critiche all’indirizzo del suo incauto autore, per piombare subito dopo nel dimenticatoio.
Dopo più di due anni di imbarazzante silenzio sul tema, ecco riapparire sul sito del Dipartimento di Stato americano, in data 20/6/2006, l’estratto di un nuovo “progetto” per la dissoluzione di Cuba, che alcuni media di Miami (molto vicini agli interessi della comunità anticastrista locale) hanno già ribattezzato, enfaticamente, “borrador”. In questo nuovo documento vengono annunciate nuove e più severe misure “per accelerare la caduta della Cuba socialista”.
Per raggiungere finalmente lo scopo tanto agognato, cioè porre fine a quasi cinquant’anni di rivoluzione cubana, il governo nordamericano - seguendo i suggerimenti del “Piano Bush” - dovrà percorrere tre fondamentali linee d’azione:
1)      Ulteriore inasprimento del blocco economico, probabilmente attraverso un irrigidimento della già “asfissiante" legge Helms-Burton;
2)      Aumento dei finanziamenti a favore dei gruppi di dissidenti politici (e di mercenari-terroristi) che operano all’interno e al di fuori della nazione cubana;
3)      Intensificazione della campagna di propaganda e disinformazione, per delegittimare il regime castrista ed aumentarne il discredito soprattutto a livello internazionale.
Secondo il “Piano Bush” una volta raggiunto il controllo dell’isola, il necessario processo di transizione dal sistema socialista al nuovo “capitalismo dei Caraibi” sarà affidato ad una specie di governatore generale, con funzioni analoghe a quelle di Paul Bremer (l’ex amministratore dell’Iraq occupato), investito del pomposo incarico di “Coordinatore della ricostruzione di Cuba”.
Il nuovo burocrate - che pare sia già stato nominato (!), confidando evidentemente nelle più rosee previsioni circa l’esito di un’eventuale invasione - si dovrà occupare innanzitutto della restituzione agli antichi possessori di tutte le proprietà confiscate dalla Rivoluzione dopo il 1959, con conseguente sfratto di migliaia di famiglie che ne stanno tuttora beneficiando; l’operazione dovrà compiersi sotto la supervisione dell’apposita “Commissione del Governo degli Stati Uniti per la devoluzione delle proprietà di Cuba”.
Un altro importante capitolo da affrontare riguarderà la privatizzazione dell’economia del Paese, compresi i settori dell’educazione e dei servizi sanitari (vale a dire, i due più importanti benefici di cui può ancora godere il popolo cubano): “tutte le cooperative verranno sciolte e sarà immediatamente ripristinato il vecchio sistema del latifondo; sarà inoltre eliminato il vecchio apparato di assistenza sociale e chiuse tutte le strutture per anziani (pensionati e ricoveri)”.* Di tutto ciò si dovrebbe occupare un altro fondamentale apparato governativo, il “Comitato permanente del Governo degli Stati Uniti per la ricostruzione economica di Cuba”.
Ora però, per muovere una guerra contro Cuba (e sempre che si opti per una soluzione militare), gli Usa saranno costretti a trovare un pretesto più che credibile. Storicamente, esiste già al riguardo un’impressionante serie di precedenti che partono dall’(auto)affondamento della corazzata “Maine” nel Mar dei Caraibi (che provocò nel 1898 l’inizio della guerra ispano-americana), passando per Pearl Harbour (7 dicembre 1941), fino ad arrivare all’attentato dell’11 settembre 2001, il casus belli dell’invasione dell’Afganistan e dell’Iraq.
Del resto, già a partire dal lontano 1962 Cia e Pentagono avevano cominciato ad elaborare strategie per giustificare un attacco contro Cuba. Ciò è testimoniato dall’esistenza di numerosi documenti declassificati chiamati “Piani Northwoods”. Ad esempio, nella sezione denominata “Annex to appendix to enclusure A” di uno di questi fascicoli i compilatori, alcuni brillanti esperti di strategia militare del Dipartimento della Difesa, suggerivano di:
·         Diffondere a Cuba voci false utilizzando radio clandestine;
·         Dare vita a finti attacchi, sabotaggi e rivolte nella baia di Guantanamo, sede della base americana, accusando poi le forze cubane;
·         Bruciare con bombe incendiarie i raccolti di nazioni come Haiti, Repubblica Dominicana o altre, fornendo poi prove della responsabilità cubana.
Ma forse il vero problema per Bush è che l’invasione di Cuba da parte di soldati americani sarebbe - in qualsiasi caso - mal tollerata dalla comunità internazionale, per non parlare poi del rischio di  subire ingenti perdite. Perciò nell’eventualità di un attacco all’isola, il “lavoro sporco” toccherebbe ai soliti gruppi di paramilitari prezzolati (stile “contras”) - come già accaduto nel 1961 nel caso del fallito tentativo di invasione alla Baia dei Porci - evitando in tal modo situazioni di guerra “molto imbarazzanti” che vedrebbero coinvolte truppe regolari dell’esercito degli Stati Uniti.
Perfettamente adatte a questo scopo sono le decine di unità paramilitari di estrema destra che da anni compiono in Florida i loro cicli di addestramento, tollerate quando non incoraggiate dalle stesse autorità statunitensi. I loro capi sarebbero disposti, e senza alcuna esitazione, ad impegnarsi in incursioni sul territorio cubano, come ha più volte dichiarato pubblicamente Romy Frometa, sedicente comandante dell’unità denominata “Commando F-4”, già responsabile in passato di attività terroristiche e di sabotaggio a Cuba e in Venezuela.
In aggiunta ai guerriglieri di destra altri “enti” foraggiati dalla Cia, come la “Fondazione Caribe” o la ben più celebre “Fondazione Nazionale Cubano Americana” (FNCA), continuano a rivelarsi delle preziose fonti di appoggio alla causa anticastrista, sia a livello propagandistico che sotto un profilo logistico-militare. José Antonio Llama, ex direttore della FNCA, durante un’intervista rilasciata ad un’emittente televisiva americana, ha confessato di aver personalmente provveduto ad acquistare per conto della sua fondazione “un elicottero da carico, 10 aerei ultraleggeri, 7 imbarcazioni, 1 lancia veloce e del materiale esplosivo”, in vista di un loro l’impiego in operazioni di sabotaggio sull’isola caraibica.
E così, mentre Mr. Bush non perde occasione per lanciare crociate contro “stati canaglia” e fantomatiche centrali del terrorismo internazionale, il governo da lui presieduto continua a proteggere e a far circolare a piede libero terroristi del calibro di Orlando Bosch e di Antonio Posada Carriles (membro, quest’ultimo, del commando che nel 1976 fece esplodere un aereo di linea cubano con centinaia di passeggeri a bordo), garantendo loro l’assoluta impunità. Al contrario i cinque informatori cubani, arrestati ingiustamente nel 1998 mentre stavano indagando sulle attività terroristiche dei gruppi anticastristi presenti in Florida, rimangono tuttora reclusi nelle carceri di massima sicurezza americane; anche di fronte all’intervento dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu che ha dichiarato arbitraria ed illegale la detenzione dei cinque cubani, sollecitando il Governo degli Stati Uniti a risolvere detta situazione. 
Tutto questo continua ad accadere, oggi, nel Paese che si propone al mondo intero come alfiere della libertà e della democrazia.

Andrea “Chile” Necciai


 

Note:
* “Il Piano Bush di assistenza a una Cuba libera”. Cronaca di una guerra annunciata.
Ricardo Alarcón de Quesada.