venerdì 15 luglio 2005

AlReves: El Salvador [1]


Gli squadroni di D’Aubuisson(Prima parte)

L’origine degli “squadroni della morte” in El Salvador non è più un mistero. A partire dagli anni ottanta, usando gli apparati di sicurezza statali, un piccolo gruppo di ufficiali dei servizi segreti (al soldo delle classi dominanti) cominciò a porre in atto un piano di eliminazione fisica dei “nemici del Paese”.
Negli ultimi tempi, gli sforzi compiuti per riscrivere la storia recente del Salvador - marchiata a sangue e fuoco - sono serviti solamente ad oscurare o a negare il sacrificio di una parte del suo popolo. Tuttavia, svariate inchieste realizzate da ricercatori e giornalisti stranieri (in larga misura nordamericani) hanno contribuito a far luce sulle vicende legate alle attività di queste famigerate bande assassine, facendo emergere dal dimenticatoio della memoria alcune inconfutabili verità.

In nome della sicurezza anticomunista.
Innanzitutto, la più grande di queste verità è che gli squadroni della morte, pagati dall’oligarchia latifondista ed imprenditoriale e diretti dal Maggiore Roberto D’Aubuisson, sono davvero esistiti. E sono esistiti perché un gruppo di reazionari al potere aveva compreso che “se si fosse aperto un piccolo spazio per le riforme sociali, la società civile ai suoi vertici doveva essere ad ogni costo annientata. Costoro posero sullo stesso piano la difesa dei loro privilegi con la sopravvivenza dello Stato salvadoregno e si auto-proclamarono, di conseguenza, unici veri patrioti della nazione.” *
In nome della sicurezza interna, la classe padronale sentì l’obbligo di auto-proteggersi, il che significava difendere lo status quo. Impresari e latifondisti avevano compreso con chiarezza, ad esempio, che un passo verso un’autentica riforma agraria avrebbe aperto una breccia insidiosa per la realizzazione di altre riforme sociali. Qualsiasi concessione alla classe media, ai contadini o agli universitari sarebbe stata interpretata come una debolezza; e con la debolezza sarebbe arrivata la sconfitta. Pertanto, l’unico modo di combattere concretamente il cambiamento era - a loro giudizio - scovare il nemico ed eliminarlo, prima che potesse organizzarsi e prendere parte alla “cospirazione internazionale diretta dai comunisti”. *
Fin dagli anni settanta, nel piccolo stato salvadoregno la minaccia rossa era percepita come reale e pericolosa. Nel 1979, nel vicino Nicaragua la rivoluzione sandinista aveva scalzato dal potere la dinastia dei Somoza, mandando in disgrazia tutta una classe dirigente arricchitasi indebitamente in quarant’anni di dittatura militare; e col dilagare del morbo socialista-rivoluzionario anche in Salvador, l’alleanza tra l’oligarchia e gli ufficiali come D’Aubuisson e Regalado (entrambi provenienti dalle classi medie o medio-basse) si era di fatto resa necessaria per lo sviluppo delle strategie di “controinsorgenza”.
Requisito fondamentale in questo tipo di guerra “sporca” era l’organizzazione di un efficiente servizio di intelligence che fosse in grado di individuare ed annientare il presunto nemico, celato sotto le spoglie di un semplice contadino, di un maestro di scuola, di un religioso o di un giornalista. Con questo sistema, si calcola che in poco meno di vent’anni nel solo El Salvador siano state eliminate (o scomparse) decine di migliaia di persone.

Il ruolo degli Stati Uniti.
A questo punto della storia, in uno scenario già sufficientemente macabro, si inserisce la politica estera degli Stati Uniti, nell’epoca in cui la squadra di governo di Ronald Reagan già considerava i gruppi armati irregolari di estrema destra uno strumento necessario nella guerra contro il comunismo. Invece di affrontare i problemi cronici dell’America Latina in un’ottica di giustizia sociale e di salvaguardia dei diritti umani, i reganiani cominciarono piuttosto a vedere il Centroamerica come un campo di battaglia della Guerra Fredda.
Da questo punto di vista, gli interessi che gli Usa coltivavano in quella regione erano meglio serviti combattendo il comunismo che favorendo l’introduzione di riforme sociali. La squadra di Reagan dovette però fare i conti con l’opposizione politica del Congresso di Washington, la quale metteva i repubblicani nell’impossibilità di fornire assistenza militare agli alleati senza l’elargizione (almeno all’apparenza) di aiuti umanitari. Questa era la condizione imposta dai democratici per un eventuale intervento statunitense in El Salvador.
Ciononostante, per tutti gli anni ottanta e novanta gli Usa continuarono a fornire agli apparati militari e paramilitari salvadoregni armi, munizioni ed attrezzature belliche - nel periodo 1980-1992 sono stati spesi ben 6 mld di dollari in aiuti militari -, ma soprattutto istruttori esperti nelle operazioni di controinsorgenza. Del resto, è ormai risaputo che i quadri dell’esercito regolare e degli “squadroni della morte” erano costituiti da ufficiali formati nella famigerata “School of Americas” (S.O.A.), l’accademia militare con sede a Panama - successivamente trasferitasi a Fort Benning, in Georgia - gestita e finanziata dal governo degli Stati Uniti.
Tra gli ufficiali laureati alla S.O.A. figurano, ad esempio, lo stesso D’Auibuisson e il generale Juan Rafael Bustillo, suo braccio destro e mandante dell’assassinio dei sei padri gesuiti all’Università Centroamericana di San Salvador nel 1989.

Le origini di ARENA.
Nei primi anni ottanta D’Aubuisson, uomo del popolo, assunse la direzione pubblica delle campagne politico-elettorali finanziate dall’alleanza tra l’oligarchia e i settori più conservatori della società salvadoregna, benché egli non sia mai stato il vero “cervello” di ARENA (Alleanza Repubblicana Nazionalista). Questo partito politico si costituì ufficialmente solo quando la classe dominante non poté più tollerare la pressione internazionale che chiedeva di “democratizzare” il Paese.
Roberto D’Aubuisson era un tipo diretto - a modo suo diceva quello che molti altri solo pensavano - e non aveva alcun timore di manifestare pubblicamente l’ideologia della difesa nazionale così come era stata concepita dai suoi artefici: una lotta senza quartiere e senza indulgenze contro i “sovversivi”. Non era lui tuttavia l’ideologo dell’organizzazione; era considerato semplicemente il portavoce di Arena ed un mero esecutore dei suoi piani.
Per gli omicidi più importanti (come l’assassinio di Monsignor Romero, l’Arcivescovo di San Salvador ucciso nel 1980) era la “cupola” dell’organizzazione a prendere le decisioni fatali. Al contrario, per le esecuzioni “meno eccellenti” D’Aubuisson e i suoi stretti collaboratori potevano decidere e pianificare senza alcuna autorizzazione dai vertici.
Lo stato di impunità di cui godevano coloro che parteciparono a questa guerra sporca “faceva sì che qualsiasi membro dell’organizzazione potesse bollare come comunista - ad esempio - un ex amante, un nemico personale o un rivale in affari, garantendone l’immediata liquidazione senza addurre particolari motivazioni”.* In effetti, le liste di eliminazione in mano a D’Aubuisson contenevano molto spesso nomi di individui che nulla avevano a che fare con le “attività sovversive” o “insurrezionali”.  (1-CONTINUA)
Andrea “Chile” Necciai




 
Note:
* “Dietro agli squadroni della morte” di Douglas Farah, giornalista e scrittore statunitense, collaboratore di "Raíces desde El Salvador".

giovedì 14 luglio 2005

AlReves: El Salvador [2]


Gli squadroni di D’Aubuisson (Seconda parte)

L’escalation della violenza.
Quando ARENA - diretto da D’Aubuisson e dal suo Capo della Sicurezza, Hector Antonio Regalado - vincendo le elezioni prese possesso dell’Assemblea Legislativa (1982), la “cupola” capì che quella era un’occasione unica per collocare i gruppi paramilitari in uno spazio in cui non potevano avere accesso le forze dell’ordine nazionali (polizia e vigilantes), né tantomeno gli altri partiti politici.
Al secondo piano dell’Assemblea Legislativa fu insediato una specie di centro operativo in cui erano custodite armi, munizioni ed equipaggiamenti militari. Da qui agenti fidati, usando la copertura del personale di sicurezza dell’Assemblea, uscivano per compiere le loro missioni omicide e terroristiche. E non sempre si trattava di missioni di natura “politica”. Da un certo momento in poi fu messo in atto un nuovo tipo di “pulizia sociale”, diretta anche all’eliminazione di delinquenti comuni e di nemici personali dei capi dell’organizzazione.
Le prove raccolte a suffragio di queste tesi sono schiaccianti: testimoni oculari che parteciparono direttamente alle “operazioni”, documenti di vari gruppi politici, informative dei servizi di intelligence statunitensi e il dossier della “Commissione della Verità” (presentato nel dopoguerra) dimostrano che il Parlamento salvadoregno fu la vera sede degli squadroni della morte, almeno finché ARENA non perse le elezioni del 1984.
Lo stesso D’Aubuisson, in più di un’intervista alla stampa straniera, ammise che il suo personale operò dall’Assemblea Legislativa per effettuare operazioni di guerra sporca. Ed aggiunse anche che quelle azioni “si rendevano necessarie, dal momento che l’estrema sinistra progettava di distruggere ARENA e stava minacciando seriamente la sicurezza dello Stato”.
  
“Ti insegneremo come torturare…”
René Hurtado è lo pseudonimo di un ex agente della “Policia de Hacienda”, oggi vive a Minneapolis. In un’intervista rilasciata ad un quotidiano statunitense, raccontò che la “Polizia de Hacienda” con una certa frequenza sequestrava, interrogava, torturava ed assassinava “elementi politici sospetti”. Confessò di aver partecipato a varie sedute di tortura e compilò anche una relazione dettagliata sulle tecniche più utilizzate. Secondo Hurtado, elementi dei servizi segreti statunitensi impartivano lezioni di intelligence agli ufficiali della “Polizia de Hacienda”; i percorsi formativi includevano anche un addestramento sui “metodi di tortura fisica e psicologica” dei prigionieri. Riportiamo, qui di seguito, un frammento della relazione di Hurtado.

“Per prima cosa, si comincia a torturare il prigioniero psicologicamente. Se è un marxista o un rivoluzionario non sarà facile farlo parlare, perciò è necessario “smontarlo psicologicamente”. Se si tratta di qualche personaggio importante – diciamo, per esempio, di un giornalista, di un professore, di un dirigente di un movimento studentesco, di un sindacalista o di un dirigente politico che è in possesso di informazioni per noi interessanti – almeno all’inizio non deve essere trattato crudelmente. Gli parlerai come ad un amico, tentando di convincerlo gli dirai che, in qualche modo, sei in grado di comprendere il suo idealismo.
Gli potresti chiedere: “Chi sono i tuoi compagni, perché ci uccidono? Quante persone hai ucciso?”. E subito dopo: “Non essere ingenuo. Questi cornuti vogliono fregarti, ti stanno usando. Noi potremmo ammazzarti qui all’istante, ma non siamo degli assassini, non siamo tuoi nemici. Se collaborerai con noi, ti faremo uscire dal paese.” “Dove ti piacerebbe andare? In Europa, in Spagna, in Inghilterra? Ti possiamo mandare in uno qualsiasi di questi paesi. Ti daremo del denaro. Ma devi parlare, perché se non lo fai sarà peggio per te”.
Quando conduci il primo interrogatorio, sforzati di apparire una persona sensibile e decente - non certo un assassino. Confessa al detenuto di non essere un cornuto come gli altri agenti che fanno gli interrogatori. Puoi offrirgli una gazzosa oppure qualcosa da mangiare. Gli domandi dove vivono i suoi genitori, chiedi di sua moglie e dei suoi figli. L’effetto su di lui sarà davvero devastante quando gli dirai che i suoi figli sono stati catturati, ma purtroppo non sai dove si trovano. E dopo questo approccio iniziale, a distanza di qualche giorno o settimana, devi cominciare a rivolgerti a lui con parole e modi più bruschi… fino a passare gradualmente alla tortura “fisica”.
Per prima cosa, rinchiudi il prigioniero in una stanza molto piccola e priva di luce, impedendogli di dormire. Lo metti a sedere, nudo, sul bordo di un letto e lo lasci così per una settimana - senza dormire e con la stanza piena di escrementi ed orina dei detenuti precedenti -, affinché i suoi nervi crollino quando comincerai a torturarlo.
Esistono diversi metodi di tortura fisica: staccare al prigioniero brandelli di pelle, bruciarlo con mozziconi di sigaretta, oppure colpirlo ripetutamente sulle mani e nel ventre… Ma ci sono anche tecniche più “sofisticate” come, per esempio, colpire il detenuto nello stomaco in modo tale da procurargli più dolore possibile, ma senza lasciare traccia di lesioni esterne visibili.
Se dopo uno o più di questi “trattamenti” il prigioniero ancora non parla, puoi utilizzare un secchio pieno di escrementi. Immergi la sua testa nel secchio per trenta secondi o più, ripetendo l’operazione più volte…
Infine, lo ripulisci ben bene e lo conduci nella stanza dell’elettrochoc. Nella sede della “Policia de Hacienda” c’è una camera di tortura “speciale”, nella quale ha accesso solo il personale della “Seccion de Inteligencia”; nessun’altra persona in uniforme ha il permesso di entrarci. La stanza è stata isolata acusticamente, in modo tale che dall’esterno non sia possibile sentire alcun rumore.
A questo punto, si tratta di imparare ad applicare le scosse elettriche nello stomaco, nel cervello, o in altre parti del corpo. Per far questo usiamo un aggeggio che somiglia vagamente ad un vecchio telefono, e che si alimenta continuando a girare una manovella con una mano. Ma ne esiste anche un altro più sofisticato, lungo circa 15 centimetri, che ha l’aspetto di una radio con degli elettrodi collegati. E’ di marca “General Electric”.
Alcune macchine possono generare 20 volt, altre 40. A seconda dell’intensità e della potenza della scossa, si possono produrre sul corpo di una persona effetti più o meno seri…
Devi posizionare gli elettrodi nelle parti vitali del prigioniero, vale a dire tra i denti, nel pene o nella vagina. L’effetto è maggiore se i prigionieri tengono i piedi nell’acqua e sono seduti su oggetti metallici. Inoltre, se prima di dargli la scossa spruzzi sui loro corpi dell’acqua minerale, il risultato che si ottiene può essere addirittura “mortale”.
In genere dopo tutti questi trattamenti, il prigioniero viene in ogni caso eliminato, poiché si suppone che non sia più possibile lasciarlo in vita. Se lo affidassimo ad un giudice, lo lascerebbero libero in poco tempo e ciò implica doverlo catturare un’altra volta. Per giunta, in presenza di un clima di forte pressione da parte di Amnesty International o di qualsiasi altra organizzazione umanitaria straniera, saremmo comunque costretti a liquidarlo.
Bene, a questo punto non rimane che abbandonare il cadavere - con addosso un manifesto di “Mano Blanca”, della “ESA” o della “Brigata Maximiliano Hernandez Martinez” [le sigle più usate dagli squadroni della morte n.d.r.] - in qualche vicolo o strada.”  **

Conclusioni.
Le attività dei paramilitari non furono una casualità, e neppure si può affermare che essi agissero fuori dal controllo dell’estrema destra. Usufruirono anzi dell’appoggio di importanti settori dello Stato e dell’Esercito, poiché erano parte integrante di una guerra durata molti anni e costata decine di migliaia di vittime, soprattutto tra i civili.
In secondo luogo, gli Stati Uniti accettarono tacitamente l’esistenza di questi gruppi eversivi, dal momento che il loro interesse prioritario era combattere il “comunismo internazionale”. Fu solo dopo molti anni, quando a questi gruppi “sfuggì di mano la situazione”, che Reagan si vide obbligato a prenderne le distanze e a far pressioni sugli alleati affinché “moderassero il loro comportamento”. A quel punto, però, gli squadroni della morte avevano già compiuto la loro missione di seminare il terrore tra la popolazione, passando dalla violenza indiscriminata alle esecuzioni selezionate con sistemi più disciplinati, ma pur sempre efficaci.
Negare oggi l’esistenza di questi gruppi e dei loro dirigenti, scagionando gli Usa dalle loro pesanti responsabilità, è il modo più meschino per tentare di riscrivere - o peggio di manipolare - la vera storia del conflitto armato salvadoregno.

Andrea “Chile” Necciai


Dedicato a tutti coloro che furono assassinati dagli “squadroni della morte”, a tutti i figli che rimasero senza genitori, a tutti i genitori che persero i loro figli, a tutti i coniugi che persero la persona da loro amata, a tutti i familiari di quelli che “uscirono un giorno di casa e non tornarono mai più”. E a tutti quelli che ancora oggi si impegnano, a loro rischio, perché la memoria non ceda all’oblio e all’indifferenza, e affinché sia finalmente resa piena giustizia alle vittime della repressione “squadrista”.



 
Note:
* “Dietro agli squadroni della morte” di Douglas Farah, giornalista e scrittore statunitense, collaboratore di "Raíces desde El Salvador".

** Dal “The Progressive” (maggio 1984), articolo di Allan Nairn, traduzione a cura di A.N.

domenica 3 luglio 2005

AlReves: America Latina


Dietro agli squadroni della morte.


Il ruolo di WACL e FSK nella repressione militare in America Latina.

Il nome ufficiale della Fu Shing Kang è “Accademia dei Quadri per la Guerra Politica”, istituzione fondata nel 1951 dal Kuomintang per tenere sotto il suo controllo l’esercito nazionalista cinese sconfitto dalla rivoluzione del 1949. Per diversi anni la scuola fu diretta da Chang Ching-Kuo, figlio del deposto dittatore cinese Chang Kai-Shek, il carnefice che ordinò l’eliminazione di più di 40.000 comunisti cinesi nel massacro di Shangai del 1927. Chang junior era un protetto di Ray Cline, alto funzionario della Cia e responsabile della “guerra sporca” in Cina.
Negli anni 50 gli istruttori della FSK furono selezionati da un gruppo di assistenza militare fornito dagli Stati Uniti. Qualche anno più tardi, la FSK cominciò a collaborare strettamente con la “Lega Anticomunista Mondiale” - o World Anti-Communist League (WACL). Questa organizzazione internazionale semi-occulta raccoglie una buona parte di tutti i paranoici comunistofobi del mondo. Scorrendo le sue liste si possono trovare i nomi di militari latinoamericani, miliardari texani, banchieri svizzeri, fondamentalisti cristiani statunitensi, etc…, tutti accomunati dalla stessa avversione nei confronti dell’ideologia comunista e dei suoi seguaci.
Benché non esista materiale sufficiente a documentare con esattezza le attività della WACL, si può ritenere certo un suo coinvolgimento nelle operazioni militari di repressione anticomunista in America Latina, come il celebre “Piano Condor” teso a rovesciare il governo democratico di Allende in Cile e ad instaurare dittature militari anche in Uruguay, Paraguay, Bolivia e Argentina, obiettivi che - di fatto - furono tutti centrati nel corso degli anni 70-80.

Dentro la Lega.
Il libro dal titolo “Inside the League”, pubblicato nel 1986 dai giornalisti americani Scott e John Lee Anderson, tenta di tracciare la storia della WACL dalla sua nascita ai nostri giorni. L’opera porta un sottotitolo assai significativo: “Rivelazioni sulle infiltrazioni di terroristi e membri degli squadroni della morte latinoamericani all’interno della Lega Anticomunista Mondiale”. In realtà, non sarebbe corretto parlare di “infiltrazioni”, diciamo piuttosto che a partire dagli anni 70 la WACL si dedicò a formare gruppi di terroristi “controinsorgenti” e paramilitari in Centro e Sud America, come ad esempio la terribile ORDEN (Organizzazione Democratica Nazionale) di El Salvador che fu costruita sul modello organizzativo di polizia politica della Fu Shing Kang cinese. Inoltre, affermano gli autori, “gran parte del reclutamento internazionale per l’ingresso dei cadetti alla FSK era coordinato dalla WACL”.
Inside the League ha anche il pregio di svelare i legami intimi esistenti tra la WACL, radicata nella dittatura militare del Kuomintang a Taiwan, e la “Chiesa dell’Unificazione” del reverendo Moon, la maggiore delle sette fondamentaliste cristiane che in Corea del Sud ha sempre goduto dell’appoggio delle lobbies militari di estrema destra. Mentre le sue attività di propaganda anticomunista erano affidate a periodici come il reazionario “Tiempos del Mundo”, varie istituzioni bancarie in Honduras, Uruguay e Brasile si sono occupate per anni del finanziamento e della “copertura” del commercio di armi. Le estese “operazioni” di Moon in America Latina passavano sotto la sigla “CAUSA”.

Le principali “emanazioni” della WACL.
Per tutti gli anni 80 la WACL fu diretta dal generale statunitense John Singlaub, lo stesso che durante la guerra in Vietnam era a capo del “Programma Phoenix”, incaricato dell’assassinio di massa di migliaia di membri e simpatizzanti del movimento “Vietcong”. Effettivamente, l’alto ufficiale era ritenuto un vero specialista nella conduzione dei cosiddetti “affari sporchi internazionali”. L’uomo giusto al posto giusto.
Tra le maggiori organizzazioni latinoamericane affiliate alla WACL spicca senz’altro ARENA (Alleanza Repubblicana Nazionalista) - il partito di estrema destra attualmente al governo in El Salvador -, noto come “il partito degli squadroni della morte” e fondato dall’ex maggiore dei servizi segreti Roberto D’Aubuisson.* Costui, laureatosi alla “School of Americas” panamense e alla solita Fu Shing Kang, era conosciuto fra i suoi colleghi cadetti come “Blowtorch Bob”, data la sua predilezione per il “soplete” come strumento di tortura.
Per restare in Salvador, un altro noto ex alunno dell’”Accademia di Guerra Politica” taiwanese era il colonnello Domingo Monterrosa, comandante al tempo della guerra civile (1980-1992) del sanguinario Battaglione Atlacatl, l’unità dell’esercito salvadoregno responsabile nel 1981 del massacro di El Mozote, località dove furono trucidati più di 800 contadini inermi. Nel periodo della sua formazione militare Monterrosa “si recava spesso a Taiwan per studiare le tattiche di controinsorgenza anticomunista”.**
Altra organizzazione degna di nota facente parte della WACL era il “Movimento per Liberazione del Guatemala” (MLG), diretto da Mario Sandoval Alarcon, camerata di D’Aubuisson nonché padrino degli squadroni della morte guatemaltechi. Anche Sandoval - ovviamente - ricevette la sua formazione politico-militare alla FSK. In Guatemala, nel periodo della dittatura del folle fondamentalista Rios Montt, esercito regolare, milizie filo-governative e squadre della morte sono stati gli artefici di uno dei più imponenti genocidi della Storia. Furono oltre 200.000 le vittime accertate tra la popolazione maya: fino ad oggi la più importante operazione di “pulizia politica” messa a punto dagli accademici militari latinoamericani.
Senza dubbio, il periodo di massimo splendore per la WACL corrispose all’insediamento delle dittature militari nell’America Latina degli anni 80; anni di fuoco e sangue che videro protagonisti alcuni dei suoi più fedeli adepti: Hugo Banzer (Bolivia), Alfredo Stroessner (Paraguay), Jorge Rafael Videla (Argentina).
Nel 1984 Ronald Reagan affidò alla Lega (e in particolare al suo referente militare Generale John Singlaub) la gestione dei finanziamenti privati dell’Irangate, posti sotto la responsabilità diretta del Colonnello Oliver North. Lo scandalo del traffico illecito di armi Iran-Contras che ne seguì (1987) ha molto contribuito a far luce sulle attività segrete della WACL, fino ad allora sconosciute ai più.
Dopo la fine della Guerra Fredda (1989), la WACL ha mutato il suo nome in “Lega per la Libertà e la Democrazia” (sic!) o WLFD, senza però abbandonare la sua tradizionale condotta guerrafondaia e terroristica. Da allora Singlaub e la neo nata WLFD si sono ancora distinti nella creazione di “truppe di assassini”. Particolarmente efficace è stato il loro apporto nelle operazioni militari in Mozambico a sostegno del movimento chiamato RENAMO, autore di un vero e proprio olocausto durante la sanguinosa guerra civile durata 17 anni.

 Andrea “Chile” Necciai



 

 Note:

* [vedi “Gli squadroni di D’Aubuisson” ndr].
** Mark Danner, “The Truth About El Mozote”, New Yorker, 6/12/1993. 
*** [vedi “Guatemala, un genocidio dimenticato” ndr].