mercoledì 1 giugno 2005

AlReves: Ecuador


“Fuera Lucio, fuera todos!”.

 La rivolta popolare dei “forajidos” (gli autoproclamatisi “fuorilegge”) ecuadoriani, scesi in massa pacificamente nelle strade e nelle piazze delle maggiori città, ha prodotto nel paese andino un vero e proprio terremoto istituzionale. Dopo Bucaram e Mahuad, i precedenti governanti dell’Ecuador già caduti sotto il peso delle proteste popolari, il mese scorso è arrivata l’ora di Lucio Gutierrez.
Il “Coronel” era entrato in carica nel gennaio 2003, con il favore di gran parte dell’elettorato e grazie anche all’appoggio dell’influente confederazione indio Conaie. Malgrado le promesse sbandierate in campagna elettorale - che parlavano soprattutto di riforme sociali per le classi più deboli -, il mandato dell’ultimo presidente è stato caratterizzato da misure economiche “di rigore”, tutte finalizzate a ripianare (o meglio rintuzzare) il debito con il Fondo Monetario Internazionale, mentre nulla di rilevante è stato fatto in materia di sviluppo e di assistenza sociale. E pensare che i fondi per finanziare questo tipo di interventi pubblici potevano essere facilmente reperiti.
In uno scenario di crisi petrolifera internazionale l’Ecuador, che possiede numerosi giacimenti, potrebbe opportunamente “approfittare” per incamerare risorse finanziarie da destinare ai programmi sociali, come succede - ad esempio - nel vicino Venezuela bolivariano. Ma Gutierrez, si sa, non è Hugo Chavez, e quest’enorme flusso di denaro “finisce disperso nei mille rivoli della corruzione, oppure direttamente nelle casse del Fmi.” *
Con l’andar del tempo le scelte neoliberiste adottate da Gutierrez, come la contestata “dollarizzazione” dell’economia o l’adesione al Trattato di Libero Commercio imposto dagli Usa, hanno provocato il ritiro delle forze di sinistra dall’esecutivo (e la conseguente crisi di governo del 2004) oltreché un diffuso malcontento popolare.
Ma la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza degli ecuadoriani, già vessati da decenni di malgoverno e corruzione, è stata la riforma dell’apparato giudiziario. Quando il governo Gutierrez ha avviato la procedura per la sostituzione della Corte Suprema di Giustizia - indispensabile per far approvare la cancellazione dei processi di corruzione a carico di Bucaram e Mahuad, entrambi fuggiti all’estero - la misura era ormai colma. E così sin dall’inizio di aprile la gente, spesso radunata in comitati spontanei, ha cominciato ad affollare le grandi città, sfilando in cortei coloratissimi e chiedendo a gran voce le dimissioni del governo.
Nel caso dei “forajidos” ecuadoriani, quella che possiamo senz’altro definire una rivolta “non-violenta” non è stata capeggiata da veri e propri leader o capipopolo; ciò ha fatto temere a molti che “la protesta potesse spegnersi con la stessa velocità con cui è nata”. Un ruolo fondamentale va comunque attribuito a Paco Velasco, direttore di Radio La Luna, che è ha dato spazio a tutte le espressioni della rivolta nella sua particolarissima “arena radiofonica”. E’ dalla radio quitena che si diffondono gli appelli alle colorate manifestazioni della settimana dal 13 al 20 aprile, ed è sempre la voce di Velasco a raccontare in diretta, 24 ore su 24, tutti i focolai del “levantamiento”.
Il 16 aprile Gutierrez dichiara lo stato d’emergenza e la sospensione dei diritti civili, nel vano tentativo di arginare la protesta che intanto dilaga fino a degenerare nello scontro tra manifestanti e polizia davanti alla residenza presidenziale. Il bilancio della tumultuosa nottata del 19 aprile parla di un morto e di ben 182 feriti ricoverati in ospedale per sintomi da asfissia. Ma sarà l’unico sussulto di violenza di una rivolta “civile” e senza armi.
Finalmente, alle 13 del pomeriggio del 20 aprile, i capi della polizia e dell’esercito tolgono ogni sostegno a Gutierrez. Il ritiro dei militari è il segnale dell’imminente caduta del “Coronel”. Poi, verso sera un urlo fa tremare le piazze ricolme di persone: “Lucio è fuggito, Lucio non è più presidente!”, e la folla impazzita si lascia finalmente andare a scene di giubilo incontenibili.
Ma la gioia dura soltanto poche ore. Dopo la precipitosa fuga in elicottero di Gutierrez (che pare abbia ottenuto asilo politico dal Brasile), la poltrona vacante è stata immediatamente occupata dall’ex vicepresidente Alfredo Palacio, il quale sembra ora ben deciso a non mollarla al pari dei 60 deputati rimasti in Parlamento, “quello stesso parlamento corrotto che ha appoggiato le malefatte di Gutierrez e ora reagisce con un colpevole attivismo”…*

In molti ecuadoriani rimane il sospetto che il cambio della guardia Gutierrez-Palacio si sia consumato all’insegna del gattopardismo più subdolo, del “cambiare tutto per non cambiare nulla”. “A poche ore dall’insediamento del nuovo direttivo - racconta Francisco Herrera Arauz, giornalista del periodico “Ecuador Inmediato”, - nella Sala Gialla sono comparsi di fronte a Palacio i suoi “nuovi” collaboratori, tutte figure “conosciutissime” dei governi precedenti; costoro hanno fatto parte delle squadre di governo negli ultimi 25 anni di democrazia ecuadoriana, e sono dunque in larga parte responsabili dello sfacelo di questo Stato. Tutti quanti loro senza eccezioni.” **
Per prima cosa, i componenti del nuovo esecutivo si sono affrettati a disconoscere le ragioni che hanno spinto la gente - e non poca - a reclamare il ritiro del colonnello Gutierrez. Il neo cancelliere Gil ha subito voluto rassicurare i mercati e la Casa Bianca, dichiarando con piglio severo: “il nuovo governo garantisce gli accordi internazionali, e specialmente quelli riguardanti la base militare statunitense di Manta”. Eppure, il messaggio lanciato nei giorni della protesta dai “forajidos” esasperati era parso a tutti evidente: “Signor Presidente, Signori Ministri, la cittadinanza non accetta più questo stato di cose, non l’ha mai tollerato. Perciò è uscita nelle strade di Quito, per gridare: NO al Trattato di Libero Commercio. NO alla Base di Manta. NO al consociativismo dei partiti. NO, NO e NO... Ma i politici non fanno più caso ai reclami e si continua ad agire senza voler ascoltare l’opinione della gente.” **
E’ terminata la protesta. Le strade di Quito si svuotano e la calma riprende a regnare in tutto il paese. Quel che conta ora per Alfredo Palacio è rimanere al potere almeno fino al 2007, “forajidos” permettendo…

Andrea “Chile” Necciai

[Un sentito ringraziamento all’amico Dennis Garcia, coordinatore del “Forum sociale dell’Ecuador sull’acqua”, per la collaborazione prestata nella ricerca delle fonti.]

 

Note:
* “I forajidos di Quito” di Giovanni Allegretti - dal settimanale  “Carta” del  5/11 maggio 2005.
** “A comerse lo vomitado” di Francisco Herrera Arauz - da “Ecuador Inmediato” del 28/04/2005.