venerdì 1 ottobre 2004

AlReves: Ecuador


Il tradimento del “Coronel”.

 La “luna di miele” tra il presidente ecuadoriano Lucio Gutiérrez e le comunità indigene amazzoniche può considerarsi definitivamente conclusa. La popolarità che l’ex-colonnello si era conquistato prendendo parte alla rivolta degli indios nel gennaio 2000 è adesso in caduta libera.
Nel novembre 2002, dopo aver sconfitto il suo diretto avversario, l’imprenditore bananiero Alvaro Noboa al secondo turno, Gutiérrez aveva affermato che da quel momento iniziava “la parte più difficile, quella di vincere il terzo turno, cioè di realizzare le aspettative dei settori popolari che lo avevano portato alla presidenza del paese. Con le attuali premesse il terzo turno è iniziato tutto in salita.”*
Come Dottor Jeckill e Mister Hide, El Coronel si è presto rivelato un personaggio ambiguo, capace di trasformarsi, a seconda delle opportunità del momento, da difensore dei diritti degli indios in paladino delle ricette neoliberali e nel “miglior alleato degli Stati Uniti” (come lui stesso ebbe modo di dichiarare pubblicamente). Spingendosi oltre, aveva anche affermato di condividere l’impegno degli Usa contro il narcotraffico e il terrorismo (con riferimento al Plan Colombia e alla guerra in Iraq), facendosi addirittura applaudire dallo staff del presidente Bush quando si è lanciato all’attacco di Cuba sostenendo che "la popolazione dell’isola non deve soffrire le conseguenze della politica di Castro".   
Nell’arco di nemmeno due anni sono state stravolte tutte le promesse sbandierate con successo in campagna elettorale. Promesse - e programmi - che parlavano di buon governo e di lotta alla corruzione, ma soprattutto di politiche sociali in favore delle classi meno agiate (circa l’80% degli ecuadoriani vive ancora in condizioni di povertà).
A ben vedere, questa sorprendente metamorfosi si era rivelata fin dall’inizio del mandato presidenziale. Non ancora compiuti i suoi primi 100 giorni, il governo ecuadoriano aveva già raggiunto un accordo con il FMI che prevedeva “l’aumento dei prezzi dei carburanti e dell’energia elettrica, il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici e l’eliminazione del sussidio al gas domestico”, il tutto condito con nuove privatizzazioni e misure di flessibilità della forza lavoro. D’altronde, il fatto che nei posti chiave dell’amministrazione statale fossero stati nominati due banchieri di taglio ortodosso, non poteva che confermare - fin da principio - la vocazione liberista del nuovo mandatario.
In linea con la politica di “austerità e sacrifici”, la manovra economica detta "pinchazo" (puntura) - messa a punto dal ministro dell’economia Mauricio Pozo e vincolata all’ottenimento di un prestito di 500 milioni di dollari dal FMI - ha provocato il risentimento, e in taluni casi la rivolta, di vasti settori popolari.
L’anno 2003 è stato scandito da una lunga sequela di scioperi e manifestazioni di protesta ad oltranza. Vi hanno aderito persino i vecchi sostenitori di Gutiérrez, gli indios dell’influente Conaie; mentre un altro protagonista della vittoria elettorale del 2002 (nonché alleato di governo), il Movimento Popolare Democratico di ispirazione marxista-leninista, al colmo dell’indignazione si è visto costretto a ritirare i suoi rappresentanti dall’esecutivo in carica, sfiorando una clamorosa crisi di governo.
Come se non bastasse, a complicare il già precario rapporto tra governo e parti sociali c’è la questione relativa all’estrazione del petrolio nell’Amazzonia Ecuadoriana, causa principale della distruzione dell’ecosistema locale e del progressivo impoverimento delle sue popolazioni.
E' dal lontano 1941, quando arrivò la Shell a Pastaza, che le popolazioni indigene della zona si trovano aggredite in nome degli interessi finanziari dalle imprese di turno come Shell, Tri-Petrol, CGC (la compagnia argentina), ma anche dalle italiane AGIP ed ENI. Lo stato ecuadoriano, da parte sua, ha sempre fatto poco per difendere gli interessi dei popoli indigeni, malgrado la Legge Forestale Ecuadoriana proibisca le attività estrattive nei territori degli indios, laddove questi possano vantare i loro titoli di proprietà (come nel caso di Pastaza).
Inoltre, le organizzazioni indigene “continuano con insistenza ad appellarsi all’Accordo Internazionale n°169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), accordo che è peraltro incluso nell'attuale costituzione dell'Ecuador e che prevede l'obbligo di consultare i popoli indigeni, di rispettare i loro interessi, le loro istanze organizzative, di assicurare loro benefici per le attività che si sviluppano nel loro territorio e l'indennizzo per gli impatti ambientali.”** Le leggi tuttavia, se non applicate, continuano a rimanere “lettera morta”.
E così il governo ecuadoriano, all’insegna del continuismo con il recente passato, prosegue imperterrito nella concessione di autorizzazioni alle imprese petrolifere, calpestando esigenze e diritti delle comunità indios amazzoniche.
Mentre la popolarità del presidente sprofonda - secondo i sondaggi - ad un misero 5%, dalla bio-riserva di PashPanShu il leader indigeno Bolívar Santi tuona contro i petrolieri sfruttatori: “voi state rubando più di 38.000 barili di petrolio al giorno e questo succederà per 20 anni nel campo di Villano. Per noi popoli indigeni: fame, malattie, distruzione culturale ed ambientale, senza nessun indennizzo per i danni ambientali. No grazie, signori. Non vi permetteremo di distruggere il nostro paese, continueremo a protestare, trincea dopo trincea.”
Il “Coronel” Gutiérrez è avvisato.
(Chile)


 

Note:
* “I primi passi del Presidente Gutiérrez” e “Ecuador: i primi 100 giorni” di Giona Di Giacomi.
** “Il genocidio del petrolio ha impronte italiane, ma non solo”, Commissione Popoli Indigeni e Direttivo “Arco Iris”.

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