sabato 15 maggio 2004

AlReves: USA


La guerra perpetua degli Usa

Chiuso il doloroso capitolo della guerra irachena con il suo stillicidio di lutti e devastazioni “umanitarie”, ci si avvia verso un periodo di normalizzazione caratterizzato dalle rinnovate velleità imperialiste degli Stati uniti.
Intanto l’amministrazione Bush incassa soddisfatta il premio per i suoi successi militari, ottenuti contro un esercito di straccioni surclassati numericamente e tecnologicamente dalla potenza di fuoco degli alleati. Esultano petrolieri e guerrafondai e c’è già chi pregusta il boccone più appetitoso: la gestione degli appalti per la ricostruzione già assegnati alle imprese più meritevoli, quelle legate cioè – neanche a farlo apposta – agli ambienti della Casa Bianca.
Il torbido intreccio di affari e politica è sufficiente da solo a spiegare i veri motivi dell’intervento armato Usa in Afghanistan e Iraq. Smascherato il “casus belli” di tutta l’operazione, ovvero il controllo diretto delle risorse energetiche (petrolio e minerali) nel Golfo Persico, l’argomento della lotta al terrorismo diventa un mero pretesto per mascherare la pratica della guerra imperialista.
Per giunta, le mire espansioniste nordamericane raggiungono il loro apice proprio nel momento in cui il treno dell’economia Usa subisce un brusco rallentamento e il sistema finanziario mondiale inizia a scricchiolare sotto i colpi degli scandali conseguenti alla bancarotta di colossi come la Enron e la Worldcom. Sull’argomento riportiamo un breve frammento dell’intervento di Giulietto Chiesa alla conferenza tenutasi a Bastia Umbra, pochi mesi fa, alla vigilia della guerra in Iraq.
“Questa Enron aveva due caratteristiche "divertenti": era il più grande gigante energetico del mondo e la settima impresa mondiale nella graduatoria. Se crolla una cosa di questo genere, che era nell'elenco dei primi 100 potenti del mondo, è come dire non tanto che sono state messe sul lastrico circa 50 mila persone a cui hanno rubato anche le pensioni, ma è come se ci dicessero che il Belgio è affondato, sparito. Nel 2001 l'intero gruppo dirigente della Enron si è portato via qualcosa come 1.000 miliardi di dollari. Questo sarebbe niente se non fosse anche che la Enron ha finanziato la campagna elettorale di Bush, Cheney, Rumsfield, e altri membri di questa amministrazione che praticamente è tutta composta di ex funzionari o dirigenti della ENRON CORPORATION”.
Così le lobbies politico-militari Usa tirano dritto per la linea dura. Malgrado l’ostinata opposizione dell’Onu e di alcuni governi europei (Francia e Russia in primis), la dottrina della “guerra preventiva” cerca attuazione nel folle disegno di conquista del mondo da parte dell’unica superpotenza rimasta.
Dopo l’Iraq e l’Afghanistan l’attenzione dei “gendarmi del mondo” si sposterà presumibilmente sull’Iran e la Siria - quest’ultima ripetutamente oggetto di intimidazioni e minacce per aver osato dichiararsi solidale verso il regime del raiss iracheno –, con il rischio di far precipitare tutto il mondo islamico in una guerra santa contro l’Occidente.   
I “signori della guerra” devono però fare i conti con l’ondata di dissenso manifestata da gran parte dell’opinione pubblica mondiale. Dovunque nel mondo, dal Chiapas zapatista al medioriente islamico (che non accetta i modelli economico-sociali imposti dall’Occidente), passando per il folto schieramento dei movimenti “no global”, si leva alta la protesta antimperialista. Da tempo non si vedeva un fronte antagonista così vasto e variegato (qui in Italia si va dall’area cattolica terzomondista ai centri sociali) di quelle forze che in tutto il mondo, in nome della democrazia e della pace, continuano ad opporsi all’ondata di repressione scatenata dal gigante nordamericano, braccio armato del neoliberismo economico.
Si prospettano ancora scenari inquietanti per i destini del mondo, con l’estensione dei conflitti verso aree geografiche sinora risparmiate dagli orrori della guerra. Non rimane che confidare nella buona volontà di tutte quelle forze della “società civile” che quotidianamente - spesso all’ombra delle cronache delle testate che “contano” - si adoperano con fatica per far prevalere nel mondo la pace e la concordia tra i popoli.
(Chile)

sabato 1 maggio 2004

AlReves: El Salvador


La destra trionfa in Salvador

 Elias Antonio Saca, ex cronista sportivo e imprenditore radiotelevisivo, è stato eletto il mese scorso Presidente della Repubblica del Salvador. La tornata elettorale, svoltasi in un clima di generale tranquillità (salvo alcuni atti di intemperanza tra le opposte fazioni politiche), ha visto imporsi largamente il partito di estrema destra ARENA - fondato negli anni 80 dal fanatico Roberto D’Aubuisson, mandante dell’assassinio dell’Arcivescovo Romero oltre che responsabile di massacri e torture negli anni della guerra civile (75.000 vittime e 8.000 desaparecidos) - con il 59% dei suffragi.
Sull’altra sponda, il Frente Martì para la Liberacion Nacional (il partito nato dalle ceneri della guerriglia insurrezionale) con il suo candidato Schafik Handal si è dovuto accontentare del 35%, pur raddoppiando i consensi rispetto alle elezioni amministrative e per il rinnovo del Parlamento del marzo 2003. In quell’occasione, il FMLN riuscì a conquistare una quota significativa di seggi nell’Assemblea Legislativa (31 su 84) e a prevalere in numerosi municipi del Paese. 
La sorprendente affermazione di ARENA è il frutto di una campagna elettorale incentrata sulla demonizzazione dell’avversario (a questo proposito, è stato determinante il ruolo svolto dai media radiotelevisivi schierati all’unisono a favore di Saca), e finalizzata a suscitare terrore tra i salvadoregni per i pericoli derivanti da un’eventuale vittoria del Frente.
Gli spauracchi sventolati dalla destra, come la minaccia del comunismo o la rottura delle relazioni con gli Stati Uniti, hanno fatto buona presa su quella fetta di elettori ancora indecisi sulle intenzioni di voto. Ma più di tutto, in questo mare di propaganda ingannevole, ha pesato l’argomento del blocco delle remesas - le rimesse in denaro dei salvadoregni emigrati per lavoro negli States, indirizzate ai parenti rimasti in patria, che rappresentano oggi una fondamentale fonte di reddito per migliaia di famiglie. “Non ci saranno più remesas con la sinistra al governo”, hanno intonato in coro gli areneros nel corso della loro campagna elettorale, ribattezzata da molti come “sucia”.
Secondo i rapporti redatti dagli osservatori stranieri, il monitoraggio elettorale ha fatto rilevare un gran numero di casi di irregolarità durante lo svolgimento del voto. Svariate denunce presentate al Tribunale Supremo Elettorale raccontano di persone pagate con piccole somme (da 20 a 50 dollari) affinché si convincessero a votare per ARENA; molti altri elettori, in larga parte dipendenti di imprese private, non hanno potuto esercitare il diritto al voto a causa del ritiro del loro documento d’identità (DUI) da parte dei datori di lavoro.
Inoltre, è stato accertato che migliaia di cittadini (non residenti) sono stati fatti affluire in massa dai paesi confinanti (Honduras, Nicaragua e Guatemala), dietro pagamento e con DUI falsi, con l’istruzione di recarsi ai seggi loro indicati e votare per ARENA. Questo fatto spiega anche l’incredibile record di affluenza al voto raggiunto in questa consultazione: ben il 73% degli aventi diritto - secondo i dati ufficiali - su una popolazione di 6 milioni di abitanti, fenomeno ben raro per un popolo che ha sempre palesato segni di disamore nei confronti della sua classe politica dirigente.
Altri “fattori esterni” hanno contribuito ad alterare la regolarità del processo elettorale. Il ruolo giocato nell’ombra dagli Usa per impedire la vittoria del FMLN non si è limitato al solo sostegno economico (si parla di milioni di dollari di finanziamenti ricevuti dal governo di ARENA come contributo alla campagna elettorale).
Alla vigilia del voto in Salvador, il Sottosegretario di Stato per gli Affari dell’Emisfero Occidentale, Roger Noriega, aveva più volte dichiarato che gli Stati Uniti non avrebbero mai permesso “un’eventuale presa di potere da parte di un’ex formazione guerrigliera”. In tal caso - tra l’altro - la Casa Bianca avrebbe visto seriamente compromessa la realizzazione del TLC (Trattato di Libero Commercio) - l’accordo multilaterale tra gli Usa e gli Stati del Centroamerica che attende la ratifica dell’Assemblea Legislativa salvadoregna entro la fine del 2004 -, nei confronti del quale i vertici del FMLN si sono sempre dimostrati ostili.
In ballo c’è anche il futuro del Piano Puebla Panama, che dovrebbe dotare tutti i Paesi del Centroamerica (ivi incluso El Salvador) delle infrastrutture necessarie per mettere in atto gli accordi sul libero commercio.
Il PPP, nato principalmente dall’esigenza di soddisfare la richiesta di fonti energetiche dell’ingordo mercato Usa, prevede la costruzione di 25 dighe (per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica), il rafforzamento della rete viaria Messico-Panama e la realizzazione di “corridoi naturali” per facilitare la ricerca biologica delle compagnie chimico-farmaceutiche. E’ inutile rammentare che l’attuazione di questo megaprogetto avrebbe, per tutte le nazioni coinvolte, conseguenze socio-ambientali davvero devastanti.  
Dal punto di vista militare, l’importanza strategica che la piccola repubblica del Salvador riveste nello scacchiere mesoamericano - la base statunitense di Ilopango (non molto distante dalla capitale) è uno dei maggiori capisaldi della regione - conferma gli sforzi compiuti dalla Casa Bianca per mantenere in loco un’amministrazione “subalterna” ai suoi interessi. Non è un caso, infatti, che dal 1994 (anno delle prime elezioni del dopoguerra) ad oggi, non vi sia mai stata alternanza al governo.
Ora, per ARENA comincia il terzo mandato presidenziale consecutivo. Durerà fino al 2009.
Nel frattempo, società civile e opposizione frentista fanno quadrato in vista della ripresa delle lotte contro il processo, lento ma progressivo, delle privatizzazioni (nel mirino delle “corporations” straniere ci sono già sanità e fonti idriche). Per il ”Pulgarcito dell’America Latina” si prospetta un altro quinquennio di sacrifici.  
(Andrea Chile Necciai)