lunedì 1 marzo 2004

AlReves: Venezuela


Il sogno bolivariano di Hugo Chavez

 “Non mi darò pace finché ogni essere umano che vive in questa terra non avrà casa, lavoro e un mezzo di sostentamento”. Così, in una delle tante interviste rilasciate al New York Times, il presidente venezuelano Hugo Chavez ribadisce i propositi delle “riforme bolivariane” introdotte dal suo governo. Riforme che lo hanno reso, nel tempo, un personaggio molto amato nella sua nazione ma altrettanto discusso all’estero.   
I suoi detrattori (se ne contano molti anche in Europa) lo definiscono con disprezzo “demagogo populista” e “comunista amico di Castro” per la popolarità che si è conquistato presso i ceti poveri e la simpatia, sempre ostentata, per il “lider maximo” cubano.
Oggi, per gli stessi motivi, il “caudillo” venezuelano è inviso ai massimi centri del potere economico (FMI e Banca Mondiale) nonché agli ambienti della Casa Bianca. In effetti, l’ostilità dichiarata nei confronti dei programmi di austerità del Fondo Monetario Internazionale - il principale responsabile, secondo lo stesso Chavez, del sottosviluppo dei paesi latinoamericani - continua a danneggiare la sua credibilità all’estero e soprattutto agli occhi dell’Occidente.
Dopo il fallito colpo di stato contro il corrotto governo in carica (1992), l’ex colonnello dei paracadutisti Hugo Chavez sale al potere nel 1998 mediante libere elezioni. In quel passaggio cruciale per il processo democratico in Venezuela,  riesce a sconfiggere duramente entrambi i partiti tradizionali - Accion Democratica e Copei avevano spadroneggiato per decenni, spartendosi il 90% dei voti - e a relegarli ad uno striminzito 9%, forte del sostegno popolare che lo proietta al 57% dei consensi.
Appena insediato, il nuovo governo comincia a varare un vasto pacchetto di riforme economiche (ben 49) per mettere mano alla ristrutturazione di interi settori dell’economia del Paese. Le misure più controverse riguardano, in particolare, agricoltura e risorse energetiche (petrolio e idrocarburi).
La tanto contestata “Legge sulla Terra”, promulgata nel 2001, conferisce allo Stato pieni poteri per la confisca e la ridistribuzione dei terreni privati coltivati “che eccedano una certa dimensione e che siano giudicati improduttivi”. Inoltre, come recita la legge, “gli agricoltori sono tenuti a mostrare i titoli di proprietà delle terre che utilizzano a partire dal 18 dicembre (8 giorni dopo l'entrata in vigore del provvedimento) onde evitare l'espropriazione”.
Come è facile rilevare, il senso di questa riforma agraria va nella direzione di una più equa distribuzione della terra, a tutto vantaggio delle piccole “haciendas” e dei contadini “sin tierra” sempre penalizzati dallo strapotere del grande latifondo. Per di più, la legge stabilisce una severa regolamentazione della proprietà dei terreni coltivabili: una misura quanto mai necessaria per far fronte al fenomeno dilagante dell’occupazione abusiva.
Il Miami Herald, riportando uno studio fatto dall'Istituto Nazionale Agricolo del Venezuela, stima che quasi il 95% dei proprietari terrieri non possiede titoli legali sulle proprietà che occupa. Ecco perché nelle ore convulse del golpe del 2002 - quello ordito dalla Cia e dalla confindustria venezuelana per rovesciare Chavez - si sono visti i grandi latifondisti protestare in piazza: la terra agli indios poveri sarebbe stata per loro una vera “ingiustizia”.
Sul versante della politica petrolifera, Chavez intende continuare l’esportazione dell’”oro nero” a Cuba ad un prezzo ridicolo, puntando viceversa ad un innalzamento dei prezzi negli scambi verso Usa e paesi ricchi. Il suo vero obiettivo è rendere il Venezuela (il maggior esportatore dell’America Latina e l’unico stato della regione a far parte dell’Opec) sempre più indipendente nella gestione dell’estrazione e della commercializzazione del greggio. Come è ovvio, tale orientamento politico risulta particolarmente sgradito agli Usa - principali fruitori del petrolio venezuelano - che, di conseguenza, continuano a mettere in atto azioni di rappresaglia contro il paese andino.
Nel 2001 dopo la presidenza Clinton, “i repubblicani cominciarono ad accusare Chavez di appoggiare i gruppi guerriglieri di tutta la zona della Cordigliera ed iniziarono a percepire la sua politica come ulteriore elemento di instabilità”. Da quel momento la Casa Bianca ha puntato a bloccare l'economia interna venezuelana, come nel 1973 fece per Salvador Allende, sostenendo un coacervo di forze che facevano resistenza a Chavez, fino a giungere al golpe (fallito) dell’aprile del 2002 che intendeva consegnare il governo a una giunta di esponenti legati a doppio filo con l’oligarchia confindustriale e terriera del Paese. Giunta capeggiata dall’imprenditore Pedro Carmona Estanga, leader della potente Federcameras (la confindustria locale).
Oggi, a quasi due anni dal colpo di stato contro-bolivariano, l’opposizione a Chavez è andata rafforzandosi, contando vieppiù sull’appoggio di stampa e mass media. Il potente apparato televisivo venezuelano “funziona praticamente all’unisono, a reti unificate 24 ore al giorno, talvolta con una propaganda apertamente terrorista che fa sfacciatamente appello alla violenza e alla ribellione militare, violando tutte le leggi in materia”. I principali network nazionali, controllati direttamente o influenzati dalla destra militare e imprenditoriale, mettono in onda incessantemente “un micidiale cocktail di menzogne, manipolazione dell’informazione e violenza psicologica” nel tentativo di screditare il governo costituzionale e di attirare nuovi settori del Paese in appoggio ad una soluzione violenta della crisi.
Ma a dispetto dell’ossessiva campagna di diffamazione mediatica, il sostegno della popolazione a Chavez si mantiene ben saldo (negli strati medio-bassi come nell’esercito). E, per il momento, né l’ostruzionismo dell’opposizione né l’ostilità degli Stati Uniti sembrano in grado di arrestare quest’originale processo di trasformazione del Paese che passa sotto il nome di “Nuova Rivoluzione Bolivariana”.
(Chile)


“Siamo qui per portare alla vittoria la rivoluzione e lo dimostreremo consegnando ancora una volta ai contadini titoli di proprietà della terra e titoli di credito agevolato per intraprendere un’attività autonoma, o meglio, in cooperativa. E’ con questa distribuzione della terra dei latifondi eccedenti i 5.000 ettari, come con l’assegnazione dei titoli di proprietà urbana agli abitanti dei quartieri poveri, che avanzano le nostre riforme e che si compie una vera rivoluzione sociale. Noi abbiamo una priorità: insieme al pane vogliamo restituire  la dignità.” (Hugo Chavez Frìas)