domenica 1 febbraio 2004

AlReves: Colombia


I misfatti del “Plan Colombia”

 Una terra sterminata con quasi 40 milioni di abitanti; un paradiso di biodiversità (oltre 2.000 le specie di uccelli) in una galassia di paesaggi multiformi e variopinti: foreste pluviali, savane, vulcani e montagne di oltre 5.000 metri, una rete fluviale colma di risorse idriche. E’ la Colombia, paese meraviglioso e ricco di contrasti. La sua economia è una delle meno disastrate dell’America Latina, grazie soprattutto all’abbondanza di merci esportate: petrolio, gas naturali, carbone, smeraldi e caffè in primis, senza contare i traffici illegali di coca ed eroina.
Ancora oggi, però, 8 milioni di colombiani vivono in condizioni di povertà estrema; il grave squilibrio sociale nel paese porta il 10% più ricco a possedere un reddito 133 volte maggiore del 10% più povero. La Colombia è anche la nazione che “vanta” il più alto numero di omicidi e di assassini politici del continente (quasi 90 ogni 100.000 abitanti), con un vasto campionario di vittime che comprende, oltre alla gente comune, anche sindacalisti, esponenti politici, giornalisti ed attivisti dei diritti umani. Ormai la violenza non risparmia più nessuno, in un ginepraio di contrasti interni alimentati da una guerra civile che dura da oltre cinquant’anni e dalle lotte armate per il controllo del narcotraffico.
La lunga spirale di violenza ha inizio nel 1948 con la contrapposizione tra i due principali attori della scena politica: le forze liberali e progressiste da una parte e i nazional-conservatori legati alla difesa dei privilegi delle classi dominanti, dall’altra. Durante gli anni della Guerra Fredda, gli scontri si intensificano anche a causa dell’ingerenza degli Stati Uniti. I Gringos temono il diffondersi del “morbo comunista”, dopo il successo della rivoluzione cubana e la crescente attività dei movimenti insurrezionali in tutto il continente latinoamericano.
La strategia politico-militare che gli Usa applicano in quella porzione di mondo si rifà alla celebre “Dottrina della Sicurezza Nazionale”. Essa prevede essenzialmente l’invio di finanziamenti e di supporti logistici a tutte quelle forze “reazionarie” (in genere contingenti regolari, corpi paramilitari, oppure eserciti privati a servizio di “terratenientes”) presenti nelle aree più esposte al “pericolo rosso”. In realtà, nel caso colombiano, lo scopo non dichiarato è quello di pervenire al controllo diretto delle risorse energetiche indispensabili all’industria nordamericana, ed altrettanto necessarie alle compagnie multinazionali interessate ad incrementare il “prelievo” sottocosto di materie prime.
Anche oggi il copione non è mutato, con gli americani impegnati a fondo nella realizzazione del “Plan Colombia” proposto nel 1998 dal governo Pastrana: un mastodontico progetto di aiuti militari ed economici che in poco tempo ha fatto della Colombia uno dei maggiori beneficiari dell’assistenza militare statunitense. In gioco ci sono importanti investimenti nell’area delle Ande, come il consolidamento dell’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) e la salvaguardia di interessi in attività legali e illegali.  
Nel quinquennio 1996-2000, con il pretesto della lotta al narcotraffico, il governo colombiano ha ricevuto dagli Usa e da altri partner più di 1.300 milioni di dollari in aiuti di vario genere (in prevalenza apparati militari e sistemi d’arma). Questa spesa è destinata ad aumentare anche nei i prossimi anni, dal momento che le forze armate rivoluzionarie (FARC e ELN) controllano una porzione consistente di territorio ed hanno raggiunto col tempo un livello di organizzazione e di efficienza pari a quello di un esercito professionale.
Attualmente le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, la formazione guerrigliera più numerosa dell’America Latina) presidiano la zona sudorientale della nazione, vale a dire giacimenti petroliferi, allevamenti intensivi, coltivazioni di coca e principali fiumi. Al più piccolo ELN (Esercito di Liberazione Nazionale, gruppo filocubano di 5.000 combattenti) resta il controllo dell’area occidentale e del bacino dell’Orinoco (piantagioni di cotone e, in parte, caffè, coca e papavero). Completano il quadro delle unità combattenti colombiane i paramilitari di destra delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia), milizie locali al soldo di latifondisti e narcotrafficanti.
Le AUC rivendicano la propria presenza in 350 municipalità colombiane, circa la metà del totale, con l’obiettivo di contrastare i guerriglieri di sinistra. Per ammissione degli stessi capi, i paramilitari controllano sia coltivazioni di coca sia raffinerie di cocaina, e considerano le Farc come semplici concorrenti di una piccola parte dell’enorme affare della cocaina in Colombia.
Senza ombra di dubbio, dietro all’uso propagandistico del problema droga si cela il tentativo di tagliare le finanze alle forze insurrezionali ed assegnare ad enti istituzionali filo Usa il controllo di un affare che sfugge almeno per il 30%. Tuttavia, “mentre si continuano a criminalizzare i produttori di droga - commenta il ricercatore Ricardo Vargas Meza - si lascia fuori ogni disposizione internazionale in fatto di riciclaggio e di contrabbando di armi e non si tocca minimamente il tema dell’importazione nel paese di precursori chimici per il processamento degli stupefacenti (l’80% proviene legalmente dagli Usa, il 16% dall’Europa e il resto da Venezuela Messico e Cina [n.d.r.]), diluendo così la responsabilità dei paesi del nord del mondo, loro principali esportatori”.
D’altronde, neppure le grandi multinazionali sono estranee al gigantesco giro d’affari legato alla commercializzazione degli stupefacenti, sembrano anzi aver raggiunto il monopolio
sull’importazione dei composti chimici più comunemente utilizzati nella raffinazione del prodotto.
La Shell, per esempio, è l’unica fornitrice di acetone, la cui importazione è giustificata a favore di una propria fabbrica di sigarette a Cali, mentre i carichi di carbonato di sodio vengono autorizzati per le esigenze di alcune case di dentifrici, tra cui la Colgate.
Nel corso degli anni, l’applicazione del “Plan Colombia” ha prodotto effetti devastanti anche sull’ecosistema andino. Fin dagli anni 70, l’uso massiccio di diserbanti chimici e di fumiganti sulle coltivazioni di coca e marijuana è causa di danni rilevanti alla flora ed alla fauna del paese e di un preoccupante incremento di malattie nella popolazione esposta.
Tra i principali responsabili del disastro ambientale c’è il “Fusarium oxysporum”, un fungo creato in laboratorio attraverso esperimenti di manipolazione genetica “in grado di attaccare piante e microrganismi presenti nel suolo sino a 50 cm di profondità”. Inoltre, è stato rilevato che i terreni infestati da questa spora “non possono più servire per nessun processo di coltivazione alternativa”. Questo fenomeno costringe intere masse di popolazione contadina ad esodi forzati verso territori ancora incontaminati.
Secondo il rapporto dell’Università di Medellin sui “Danni ambientali del Fusarium oxysporum”, al micidiale fungo verrebbe attribuita “l’origine dell’esplosione dei casi di cancro e leucemia tra la popolazione [nelle zone rurali con presenza di coltivazioni illegali] e una riduzione delle difese immunitarie dalle infermità che derivano da affezioni virali o da denutrizione”.
Anche i composti chimici trovano in Colombia larghe possibilità di impiego. Tra i più conosciuti (e deleteri) figurano gli erbicidi “Paraquat” e “Triclopyr” - già sperimentati dagli americani “con successo” in teatri d’operazione come Vietnam ed Indocina - e il micidiale defoliante “Tebuthiuron”, ritirato dal commercio in Perù a causa dei “danni irreversibili agli ecosistemi terrestri ed acquatici e agli stessi esseri umani”.
Dall’autunno del 2001 la denominazione “Plan Colombia” è stata sostituita con la più convincente “Iniziativa Regionale Andina” (IRA). Ma la sostanza e gli scopi del progetto non sono cambiati.
Dalla Colombia, intanto, continuano a giungere notizie di massacri di civili (opera per lo più delle forze dell’AUC), in aggiunta ai consueti bollettini di guerra che parlano di ingenti perdite di tutti i contendenti in campo.
(Chile)